La primavera, a Scaisbrooke Hall, era senza dubbio il periodo più bello dell’anno. Lo dicevano tutte le ex studentesse, ricordando i meli in fiore nel cortile e l’erba che cresceva alta e giovane lungo il ruscello, dove le ragazze nascondevano le bottiglie vietate di Coca-Cola per tenerle fresche in vista di una bevuta clandestina prima dello studio serale in biblioteca. In primavera i maglioni di lana, sempre troppo larghi, le gonne blu in tinta e le pesanti scarpe stringate venivano rispediti a casa per essere sostituiti dagli abitini blu e dalle calzature più leggere dell’uniforme estiva. Scaisbrooke era stato fondato sessant’anni prima sul modello dei collegi inglesi, e nelle sue buie sale dagli alti soffitti si respirava il peso della tradizione. In questo periodo dell’anno le allieve barattavano il pallore invernale dello studio e della pallacanestro al chiuso con la prima abbronzatura: apparivano fresche e piene di salute quando camminavano per i viali e insieme si fermavano a ridere nei cortili ombrosi.
Le finestre della camera di Courtney Farrell erano aperte sulla lussureggiante primavera del Connecticut. La sua compagna di stanza, Janet Parker, se ne stava nuda, sdraiata in una striscia di sole sul letto. Courtney era un’esile quindicenne dai capelli scuri e dalla pelle chiara, con i colori accesi degli irlandesi. Gli occhi, quasi verdi, alla luce del sole diventavano più profondi. Erano grandi, ribelli, e c’era, in quegli occhi, una freddezza che una ragazza di quindici anni non avrebbe dovuto conoscere. Il volto aveva già perso quasi tutta la sua rotondità infantile. Mentre si arrovellava sulla versione di Cesare, il suo mento ben modellato, proteso in avanti, le dava un’aria decisa, come di sfida.
La dolcezza del pomeriggio penetrò nella stanza dalla finestra, arrivò al suo letto e l’avvolse. Courtney fece un profondo sospiro e la primavera ebbe la meglio sullo studio. Abbandonò il quaderno e chiuse il vocabolario di latino. Prese una banana dalla scatola di latta accanto al letto e la lanciò a Janet. Poi ne sbucciò un’altra per sé.
«Mi sento davvero rilassata» disse Courtney. «Dopo le vacanze il collegio mi piace molto di più.»
«A me non piace mai» disse Janet. «Soprattutto dopo le vacanze. Mi sono divertita di brutto, questa primavera» aggiunse soprappensiero. Poi si rivolse alla compagna di stanza: «Anche a te è andata bene, no? Insomma, lì al Plaza con tua madre e compagnia bella.» Fece una smorfia. «Peccato che tu abbia dovuto ritardarle di un paio di giorni.»
«Non ha fatto una gran differenza» rispose Courtney a bocca piena. «La mamma era furiosa e ha dato tutta la colpa a mio padre. Era convinta che lui sarebbe tornato dalle Isole Vergini in tempo. Allora lui mi ha scritto una lettera per dirmi che la mamma avrebbe dovuto saperlo che lui si sarebbe fermato ancora una settimana – la solita storia sul suo lavoro di editor, che non riesce a staccare neanche in vacanza e ha tanto bisogno di riposare... Comunque la mamma non era impegnata sul set e le hanno permesso di lasciare subito la West Coast. Era davvero furiosa all’idea che io fossi rimasta qui in collegio due giorni in più, ma a me non fregava molto.»
«Allora di che ti lamenti? Quando ti ho vista, mi è sembrato di capire che te la passassi bene. Il Plaza è decisamente meglio di Scaisbrooke.»
«Sì, ma è così stressante. Mamma e io andavamo molto d’accordo, una volta. Adesso non più, naturalmente, ma bisogna fare finta di niente.» Si girò di colpo verso Janet: «Secondo te perché dobbiamo sempre fingere con i genitori?».
«Che ne so! Legittima difesa, forse. Be’, se mio padre sapesse che pomicio con i ragazzi e che certe volte mi sbronzo, mi ucciderebbe. Probabilmente ci abituiamo a fingere per non farli preoccupare. Non so. Certo che fai delle domande!»
Courtney si accontentò di quella risposta e per un po’ rimasero in silenzio.
«Oh! A proposito» disse a un tratto Janet. «Dimenticavo di dirtelo: Miss Rosen ha chiesto di te mentre eri a prendere il sole. Ha bisogno di parlarti.»
Courtney sollevò la testa, improvvisamente interessata.
«Ha detto di che si tratta?»
«Non gliel’ho chiesto.»
Janet lanciò la buccia di banana nel cestino della carta, prese uno specchio e cominciò a strapparsi le sopracciglia. Aveva sedici anni, era una ragazza allegra, spontanea, bella anche se esagerava col trucco, e detestata dalle donne di ogni età. A Scaisbrooke, dove erano proibiti il rossetto e le pellicce, si compiaceva di mostrarsi trasandata, con l’uniforme stazzonata e le scarpe spolverate quel tanto da superare l’ispezione del mattino. Ma a New York, da dove era appena tornata, aveva frequentato night-club e feste studentesche tutte in tiro, ragione per cui prese inavvertitamente a strapparsi le sopracciglia.
«Non capisco questa cosa che c’è tra voi due» proseguì. «Insomma, prima di pranzo sono salita in camera di Alberts e Clarke e loro stavano parlando di te e di Miss Rosen. È da un sacco di tempo che volevo affrontare l’argomento. Prima però devo fare un po’ di stretching. Procurati un’altra banana o quello che vuoi.»
Courtney osservava la sua compagna di stanza allungarsi voluttuosa al sole d’aprile, abbracciare il cuscino sotto di lei, incrociare le gambe, contrarre e distendere i muscoli ricavandone quel senso di rilassamento che solo in giovanissima età si può trarre da un’azione tanto semplice. Aveva un fisico splendido e atletico, con una leggera traccia di abbronzatura in corrispondenza del segno del costume.
«Copriti» disse Courtney.
«Perché, ti eccito?» scherzò Janet.
«Come non detto. Su, parla.»
«Allora, è ovvio che in questi collegi da psicolabili tutte hanno una cotta per una ragazza più grande o un’insegnante. È una forma di idolatria, ecco. Ma tu sei andata oltre, ti sei tagliata fuori dal giro, quasi tutta la tua vita ruota attorno a Miss Rosen. Le ragazze sono risentite. Hanno l’impressione che tu le snobbi.»
«È proprio così.»
«Ok, tesoro, se tu avessi come me dei ragazzi e una vita sociale oltre alla scuola andrebbe anche bene, ma tu hai solo tua madre e i suoi amici. Devi provare a farti un giro qui. Che tu lo ammetta o no, cose come ricevere incarichi scolastici ed essere accettati dalla cricca sono molto importanti per te, perché al di fuori di questo non hai nulla. Lo so che vuoi diventare direttrice della “Lit Review”, e te lo meriteresti perché scrivi da dio. Ma sarai anche cosciente del fatto che gli incarichi non vengono dati per merito. Sono una specie di riconoscimento dell’approvazione sociale. Quindi ti conviene ammettere che vuoi essere accettata e smetterla di rifugiarti nel tuo rapporto con Miss Rosen. Tesoro, se non stai attenta passerai all’altra sponda anche tu. Alberts dice che sei innamorata di Miss Rosen.»
«Ma a loro che cosa interessa? Se è per questo, lei mi ha anche detto che mi ama, ma ama tutti i suoi amici. Cioè, lei usa questa parola in senso spirituale.»
«Tesoro, lascia stare tutte le sciocchezze che ha imparato al corso di assistente sociale a Chicago. Stando a quello che dici, è proprio una lella. E poi questa storia che tu vai a trovarla ogni sera per chiacchierare di letteratura o quel che è...»
«Ma cosa pensi che facciamo?»
«Ehi, non scaldarti. Non dico che fate l’amore. Probabilmente non sapresti neanche da dove cominciare.»
«La stai facendo diventare una cosa sconcia.» Courtney si distese e incrociò le braccia sotto la testa. «Lei è un’insegnante. Sa bene che la letteratura inglese mi annoia a morte così mi passa libri come Finnegan’s Wake, i versi di T.S. Eliot e altre letture stimolanti che altrimenti non scoprirei da sola. Poi la sera ne discutiamo come farebbero due uomini che commentano la partita. Tutto qui.»
«Lei non è solo una professoressa di inglese, e tu lo sai. Non ho mai visto nessuno cambiare come è successo a te quest’anno. All’inizio facevi la stronza ogni tanto ed eri egoista e lunatica come tutti, ma adesso ti sei messa in testa di diventare una santa dei nostri tempi, di amare le masse e tutte quelle cavolate dell’Università di Chicago con cui ti ha rimbambito lei. Ti sei così ritirata in te stessa che non ti arrabbi più e cacci tutto dentro, dove non so. Sei diventata critica da morire e ti atteggi a essere superiore. Ma guarda che tu non sei così, non puoi rifugiarti nel mondo di Miss Rosen, assorbire la sua natura. Siete due persone completamente diverse, venite da ambienti sociali e intellettuali diversi.»
«Ma smettila, Parker, non capisci nulla. Io non mi piacevo com’ero prima, non ci arrivi? E poi ecco che incontro questa professoressa che sembra accettarsi e possedere una calma interiore. Non avevo mai conosciuto una persona come lei. Un giorno a pranzo ci ritroviamo a parlare di un libro e lei si offre di prestarmene un altro che secondo lei potrebbe piacermi. Allora ne discutiamo e man mano che entriamo in confidenza comincio a raccontarle alcune cose della mia vita. È intelligente e con lei sento di potermi aprire.»
«Senti, Court, non c’è bisogno di alterarsi così. Sto solo cercando di aiutarti perché, anche se frequentiamo lo stesso corso, ho un anno più di te, e ho l’impressione che tu stia mandando all’aria la tua vita qui per concentrarti solo sulla tua fuga. Tutto qui. Ricordati che in un anno ho imparato delle cose che tu non sai.»
Courtney prese un’arancia dalla scatola e la lanciò. Si spiaccicò sul muro con un effetto piuttosto piacevole.
«Court» disse Janet in tono paziente, «in questi casi mi ricordo che hai solo quindici anni. Quelle arance sono anche mie.»
«Rieccoci con le lezioni di vita di Mamma Parker. Io esco a fare una passeggiata. Tienimi il posto a mensa.»
Janet sospirò e riprese a strapparsi le sopracciglia.
All’ingresso dello studentato Courtney incontrò la direttrice.
«Buongiorno, Farrell.»
«Buongiorno, signora Reese.»
«Ho sentito che hai ricevuto un’altra nota per un libro non consentito.»
«Sì, signora Reese. Era il Finnegans’ Wake di James Joyce. Credevo che Joyce fosse nella lista degli autori consentiti e non ho pensato a controllare.»
«Non basta credere» rispose fredda la direttrice. «Bisogna essere certe.»
«Lo so, signora Reese.» Quanto detestava mostrarsi educata e sottomessa con gli insegnanti! «Capisco di aver sbagliato.»
«Bene, la prossima volta stai più attenta» disse la signora Reese, addolcita. L’ammissione di colpa funzionava sempre. «Una ragazza intelligente come te, Farrell, non dovrebbe collezionare tante note. Contavo su di te, quest’anno, per raddrizzare la tua compagna di stanza, invece ora vi mettete nei guai tutte e due.»
«Sì, signora Reese.»
Courtney uscì nel cortile con un senso di sollievo e cominciò subito il suo giro di corsa, perché aveva quindici anni ed era una splendida giornata di primavera. Percorse il campo da hockey e saltò dall’altra parte del ruscello, sulla riva dove andavano sempre a perdersi le palline. Lo slancio la fece cadere sull’erba e le venne da ridere e subito si rialzò. Salì la collinetta fino alla pista in terra battuta che circondava i campi da tennis, quella dove andava a correre ogni mattina prima di colazione, per tenersi in allenamento per l’hockey. Quando giunse al secondo campo si fermò perché lì cominciava il territorio della signora Reese, dove erano ammesse soltanto le studentesse dell’ultimo anno che andavano a prendere il tè da lei. Era senza fiato, si lasciò cadere sull’erba tagliata di fresco, tenera e odorosa. D’estate l’erba era calda e umida, ma in primavera profumava di nuovo, un vero sollievo per chi era abituato al tanfo di chiuso dei corridoi di Scaisbrooke.
Si distese sulla schiena e sorrise ancora e restò a guardare il cielo. Era immenso, immenso. D’estate certe volte faceva il morto, sulle acque del Pacifico, e tentava di convincersi che il cielo non avesse quella forma e che lei si trovasse sull’orlo di un pianeta rotondo. Il Rubaiyat dice che il cielo è una “grossa ciotola capovolta” e Courtney, in fondo, era dello stesso parere. Gli scienziati, pensava, si dannano per convincerci che le cose non sono come le vediamo e, scomponendo meraviglie incommensurabili come il cielo o le montagne in atomi minuscoli, credono di riuscire a persuaderci che siano infinitesimali. Courtney non aveva mai visto un atomo, né desiderava vederlo perché la ripugnava l’idea che gli esseri umani e le montagne fossero soltanto diverse combinazioni dello stesso elemento.
Il suono lontano della campana della cena interruppe le sue riflessioni. Doveva far presto e correre a cambiarsi perché ogni minuto di ritardo era una nota di biasimo.
Mentre mangiava pensava solo al momento in cui avrebbe visto Miss Rosen. Quando stava da lei si sentiva al sicuro e a suo agio. Era piacevole attraversare il campus fino al dormitorio delle insegnanti. Superati i due cortili, arrivò a un sentiero che fiancheggiava la cappella protestante, delimitato da alti alberi appena rinverditi, tra i cui rami si scorgeva qualche fiore. Era appena tramontato e la sagoma dell’edificio si stagliava contro il cielo limpido. Courtney entrava spesso nella cappella. Per lei, cattolica, quel posto non aveva alcun valore religioso, ma era tranquillo e ombreggiato, lì poteva riflettere in pace e immaginare di essere a Hollywood.
Quella sera non si fermò, aveva fretta di incontrare Miss Rosen. Sotto braccio aveva la sua copia del Finnegan’s Wake. Non l’aveva capito, sebbene si fosse arrovellata su tutti quegli astrusi paragrafi e il possesso del libro le fosse costato tre ore di servizi e il divieto di uscire dal collegio per due settimane. Salì la tetra scalinata e, dopo la seconda rampa, svoltò a sinistra. La porta era semiaperta e si sentivano le note di un disco di Bach. In pratica Miss Rosen ascoltava sempre Bach, e per Courtney il senso di solidità e di sicurezza della sua musica era legata a doppio filo all’insegnante, almeno quanto lo era la sua biblioteca di meravigliosi libri. Molti anni dopo, sentendo Bach, l’immagine di quella stanza e il senso di calore l’avrebbero investita con la stessa forza, come se ancora stesse salendo quelle scale a lei così note.
Miss Rosen aveva da poco superato la ventina, era alta, con il busto tozzo e le spalle un po’ curve. Gli occhi erano grandi, castani e intensi. Non poteva dirsi bella, ma dopo qualche minuto trascorso con lei la sua profondità e la sua disponibilità facevano passare i difetti in secondo piano. Era fidanzata con un giovane professore incontrato all’Università di Chicago che adesso insegnava filosofia a Harvard.
Quando Courtney entrò, sorrise e le indicò una ...