Con un cuore di furibondi desideri
Tutti pronti al mio comando,
Con un’ardente lancia e un cavallo d’aria,
Verso la terra selvaggia io parto.
Con un cavaliere di spettri e d’ombre
Chiamato sono al gran torneo,
Dieci leghe oltre la fine dell’ampio mondo…
Mi pare che codesto non sia un viaggio.
TOM-A-BEDLAM
Il vecchio anno inacidì mentre una pestilenza avvelenava i pianeti. La guerra guadagnò accelerazione, e da una remota questione di romantiche incursioni e schermaglie nello spazio si trasformò in un olocausto molto concreto. Diventò chiaro che le guerre mondiali erano terminate ed era iniziata la prima guerra solare.
Lentamente, i belligeranti ammassarono uomini e materiali per l’apocalisse. I Satelliti Esterni introdussero la coscrizione universale, e i Pianeti Interni, per forza di cose, li imitarono. Vennero arruolati gli uomini dell’industria, del commercio, della scienza, dell’artigianato e delle professioni; poi furono introdotte leggi ferree e oppressione. Esercito e Marina requisivano e comandavano.
Il commercio obbedì, perché quella guerra, come tutte le guerre, era la fase bellica di una lotta commerciale. Ma le popolazioni si ribellarono, e le fughe jauntiche da coscrizione e lavoro obbligatorio divennero problemi critici. Si diffuse la fobia delle spie e delle invasioni. Gli isterici diventarono informatori e specialisti del linciaggio. Orribili presentimenti paralizzarono ogni casa dall’isola di Baffin alle Falkland. L’ultimo periodo dell’anno venne ravvivato solo dall’avvento del Circo Sette Chilometri.1
Quello era il soprannome popolare per il grottesco entourage di Geoffrey Fourmyle de Cerere, un ricco e giovane buffone originario del più grande degli asteroidi. Fourmyle de Cerere era enormemente ricco; era anche enormemente divertente. Era il classico bourgeois gentilhomme, il nouveau riche di ogni epoca. Il suo entourage era un incrocio fra un circo di campagna e la ridicola corte di un reuccio bulgaro, com’è testimoniato dal suo tipico arrivo a Green Bay, Wisconsin.
Alle prime ore del mattino, un avvocato che portava il cappello a cilindro di un clan legale apparve con un elenco di terreni adatti al campeggio in una mano, e una piccola fortuna in tasca. Scelse un prato di quattro acri di fronte al lago Michigan e lo prese in affitto per una cifra esorbitante. Lo seguì una gang di geometri del clan Mason & Dixon. In venti minuti, i geometri prepararono il campo in maniera acconcia, e si sparse la voce che stava arrivando il Circo Sette Chilometri. Indigeni del Wisconsin, del Michigan e del Minnesota corsero a godersi lo spettacolo.
Si materializzarono venti manovali, ognuno dei quali portava sulla schiena una tenda pieghevole. Ci fu una possente ouverture di ordini abbaiati, urla, imprecazioni, e il gemito d’agonia dell’aria compressa. Venti tende gigantesche si gonfiarono a pallone; le superfici in lacca e lattice brillavano sotto il Sole invernale che le asciugava. Gli spettatori lanciarono urrà .
Un elicottero a sei motori si abbassò e rimase sospeso sopra un gigantesco trampolino. Il suo ventre si aprì e ne scese una cascata di arredi. Servi, valletti, chef e camerieri jauntarono lì. Arredarono e decorarono le tende. Le cucine cominciarono a emettere fumo, e sul campo si diffusero gli odori di arrosti, bolliti, fritti. La polizia privata di Fourmyle era già in azione: pattugliava i quattro acri, teneva indietro l’immane folla di spettatori.
Poi, in aereo, in automobile, in autobus, in camion, in bicicletta e via jaunto, arrivò l’entourage di Fourmyle. Bibliotecari e libri, scienziati e laboratori, filosofi, poeti, atleti. Vennero erette rastrelliere con spade e sciabole, e materassine da judo e un ring per la boxe. Una piscina lunga centocinquanta metri venne affondata nel terreno e riempita da una pompa che succhiava acqua dal lago. Sorse un interessante alterco tra due atleti dal fisico taurino; si trattava di decidere se riscaldare l’acqua per il nuoto, o congelarla per il pattinaggio.
Arrivarono musicisti, attori, giocolieri e acrobati. Il frastuono divenne assordante. Una squadra di meccanici preparò un pozzetto di lavoro e cominciò a scaldare i motori della collezione di trebbiatrici diesel d’annata di Fourmyle. Per ultimi arrivarono tutti quelli che gravitavano nell’orbita dell’accampamento: mogli, figlie, amanti, prostitute, mendicanti, imbroglioni e bidonatori. A metà mattina, il caos del circo si sentiva a sette chilometri di distanza, ed era da quello che nasceva il soprannome.
A mezzogiorno, Fourmyle de Cerere si presentò con uno schieramento di mezzi di trasporto così bizzarro da avere spinto al riso bambini di sette anni malati di malinconia cronica. Un gigantesco idrovolante si annunciò da sud con rombi di tuono e atterrò sul lago. Dall’aereo emerse una chiatta che corse sull’acqua fino a riva. La sponda anteriore si abbassò, formando un ponte levatoio da cui spuntò un’auto di rappresentanza del Ventesimo secolo. Meraviglia si aggiunse a meraviglia per i deliziati spettatori, perché l’automobile percorse una ventina di metri, arrivò al centro dell’accampamento, e poi si fermò.
«Adesso cosa può saltare fuori? Una bicicletta?»
«No, pattini a rotelle.»
«Uscirà su un monociclo.»
Fourmyle superò le più folli aspettative. Dall’auto di rappresentanza spuntò la bocca di un cannone da circo. Ci fu il bang! di un’esplosione da polvere da sparo, e Fourmyle de Cerere venne sparato dal cannone, in un aggraziato arco, fino alla porta della sua tenda, dove quattro valletti lo acchiapparono con una rete. L’applauso che lo accolse si poté udire a dieci chilometri di distanza. Fourmyle si arrampicò sulle spalle dei suoi valletti e, a cenni, chiese il silenzio.
«Dio! Quella cosa terrà un discorso.»
«Quella cosa? Vorrai dire quell’uomo.»
«No. Impossibile. Non può essere umano.»
«Amici, romani, compatrioti» attaccò di buona lena Fourmyle. «Prestatemi orecchio. Shakespeare. 1564-1616. Per la miseria!» Quattro colombe bianche uscirono dalle maniche di Fourmyle e volarono via. Lui le guardò con stupore, poi continuò: «Amici, salute, salve, bonjour, bon ton, bon vivant, bon voyage, bon… E che diavolo?». Le tasche di Fourmyle presero fuoco e spararono fuochi d’artificio. Lui cercò di spegnere le fiamme. Spruzzò stelle filanti e coriandoli. «Amici… Zitti! Terrò questo discorso come si deve. Zitti! Amici…» Fourmyle abbassò gli occhi su se stesso, stupefatto. I suoi abiti si stavano sciogliendo, mettendo a nudo una biancheria intima color rosso scarlatto. «Kleinmann!» urlò Fourmyle, furibondo. «Kleinmann! Che fine ha fatto il tuo stramaledetto addestramento ipnotico?»
Una testa molto capelluta sbucò da una tenda. «Tu ha stutiato cuesto discorso ieri sera, Fourmyle?»
«Maledettamente vero. Io ha stutiato per due ore. Non ho mai tirato fuori la testa dall’ipnoforno. Kleimann sulla prestidigitazione.»
«No, no, no!» ululò il capellone. «Cuante volte io te lo teve ripetere? Prestitigitazione non è arte di tenere tiscorsi. È magia. Dummkopf! Tu ha fatto l’ipnosi sbagliata!»
La biancheria intima scarlatta cominciò a sciogliersi. Fourmyle saltò giù dalle spalle tremanti dei suoi valletti e sparì nella tenda. Ci fu un ruggito di risate e applausi, e il Circo Sette Chilometri accelerò il ritmo. La cucina emise fumo e sfrigolii. Ci fu un succedersi perpetuo di cibi e bevande. La musica non si fermò mai. Il vaudeville non si interruppe mai.
Nella tenda, Fourmyle si cambiò d’abito, cambiò idea, si cambiò un’altra volta, si svestì di nuovo, cacciò a calci in culo i suoi valletti e chiese del suo sarto in un misto bastardo di francese, lingua dotta, e affettazione. Infilato a metà in un nuovo abito, ricordò che aveva dimenticato di fare il bagno. Prese a schiaffi il sarto, ordinò di versare in piscina cinque litri di profumo, e venne colto dall’ispirazione poetica. Convocò il suo poeta residente.
«Scrivi questo» ordinò. «Le roi est mort, les… Cos’è che fa rima con luna?»
«Duna» gli suggerì il suo poeta. «Runa, cruna, bruna, opportuna, cuna, fortuna, sfortuna…»
«Mi sono dimenticato del mio esperimento!» esclamò Fourmyle. «Dottor Bohun! Dottor Bohun!»
Mezzo nudo, corse precipitosamente in laboratorio, dove si scaraventò addosso al dottor Bohun, il suo chimico residente. Finirono tutti e due per terra, in mezzo alla tenda. Mentre cercava di rialzarsi, il chimico si trovò afferrato alla gola in una morsa molto dolorosa e umiliante.
«Noguchi!» gridò Fourmyle. «Ehi, Noguchi! Ho appena inventato una nuova presa di judo!»
Fourmyle si alzò, tirò su il chimico ormai cianotico, e jauntò al tappeto da judo, dove il piccolo giapponese studiò la presa e scosse la testa.
«No, plego.» Il giapponese emise un sibilo di cortesia. «Fff. Plessione su tlachea non semple letale. Fff. Io ti mostla plego.» Afferrò l’inebetito chimico, lo fece roteare nell’aria e lo depositò sul tappeto in una posizione di autostrangolamento perpetuo. «Tu osselva, plego, Foulmyle?»
Ma Fourmyle era in biblioteca, a martellare la testa del suo bibliotecario con Das Sexual Leben di Bloch (quattro chili, tre etti e venti grammi) perché l’infelice non era in grado di trovare un testo sulla costruzione delle macchine del moto perpetuo. Poi corse nel laboratorio di fisica, dove distrusse un costoso cronometro per un piccolo esperimento con le rotelle dentate; jauntò al palco della banda, dove afferrò una bacchetta e portò l’orchestra alla confusione totale; si mise i pattini e cadde nella piscina profumata. Quando lo tirarono fuori, lanciava improperi al fulmicotone per la mancanza di ghiaccio. Poi qualcuno lo sentì esprimere il desiderio di un po’ di solitudine.
«Voglio entrare in comunione con me stesso» disse Fourmyle, calciando i suoi valletti in tutte le direzioni. Russava prima che l’ultimo dei valletti zoppicasse alla porta della tenda e la chiudesse.
Il russare si interruppe e Fourmyle si...