Nessuna barriera fra me e il cielo
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Nessuna barriera fra me e il cielo

La mia nuova vita da disabile e SuperAbile

  1. 132 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Nessuna barriera fra me e il cielo

La mia nuova vita da disabile e SuperAbile

Informazioni su questo libro

"Non arrenderti mai davanti agli ostacoli, anche quelli apparentemente piccoli e banali, ma imponiti di trovare il modo per superarli o aggirarli. Non dare mai per scontato di non poter più fare ciò che vuoi fare, avere quello che vuoi avere, raggiungere quello che ti serve. Ogni rinuncia, fosse pure piccolissima, innalza di un centimetro la gabbia che vedi all'esterno e ne proietta l'ombra dentro di te. Lentamente ti trasformi nel tuo stesso carceriere, perdi ogni fiducia in te stesso e ogni autostima. Se c'è una cosa che ho imparato negli anni, è che il modo in cui ti guarderanno gli altri dipende da come sai guardarti tu. Esattamente come l'amore, che non può mai raggiungere nessuno se non è prima di tutto amore di sé."

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804643302
eBook ISBN
9788852053887

1

28 luglio 2008. È lunedì. Il cielo è terso, solo qualche nuvola piccola e bianca che un sole caldo contorna di luce. Ho consultato il meteo una decina di volte questa notte. Temevo che l’estate mi giocasse un brutto tiro e che stamattina mi sarei svegliata nel bel mezzo di un temporale, con un vento cattivo che avrebbe mandato all’aria il mio progetto. Ma l’estate non mi ha tradita. Il sole splende e il vento è perfetto.
So di essere in anticipo. Molto in anticipo. Sono solo le otto del mattino e l’appuntamento con Alex e i due istruttori di volo è fissato per le nove in punto.
Al Pull Out, il centro di lancio dell’aeroporto Baracca di Ravenna, tutto è fermo. Non c’è nessuno.
Il mare è a neppure dieci minuti da qui. Sento il suo odore e mi rallegro. Penso che è rimasto ad aspettarmi per tutta la notte, senza muoversi. Che mi sta tenendo compagnia anche ora, prima che tutto cominci davvero. Prima che si accendano i motori e si parta, finalmente, per un sogno che inseguo da tre anni e che – non ho dubbi, ormai – dev’essere nato con me, il 22 ottobre di trentasei anni fa, tra le montagne e il vento di Sigillo, in Umbria.
La notte appena passata è stata lunghissima, è durata un secolo.
Avevo deciso di stare da sola alla vigilia del mio primo lancio, ed era stata la scelta giusta. Immaginavo che il tempo mi sarebbe apparso eterno, aggrovigliato attorno a un unico pensiero, ma non c’era altro modo di vivere questa attesa se non come un rito di passaggio solitario. Un tempo di mezzo per concentrarmi. Per ascoltarmi.
Non ho dovuto neppure chiederlo o spiegarlo: gli amici veri capiscono prima che tu ti sforzi di trovare il modo giusto per farlo.
Ho promesso a tutti che avrei cercato di dormire almeno un po’.
Dormire, certo... Credo di averlo fatto a un certo punto: rannicchiata sul divano come in un sacco a pelo, in una tenda. Il letto mi sembrava immenso e troppo rassicurante.
Devo essermi assopita di colpo, dopo aver lungamente parlato con gli oggetti di casa e aver rimuginato ansie, cercando di rilassarmi.
La causa della mia insonnia non era esattamente la paura, quanto piuttosto la forza di emozioni potentissime che mi attraversavano completamente, che rimescolavano il passato lontano a quello più recente.
Tanti, troppi eventi della mia vita si materializzavano improvvisamente, di fronte a me, dentro di me. Avrei resistito all’impatto di un presente così presente, che mi esplodeva nel cuore, facendomi trasalire?
Davanti a me ora c’erano il direttore del Pull Out e due istruttori.
«Buongiorno, Laura. Oggi il cielo è davvero splendido» mi ha detto l’istruttrice sorridendomi. «Dài, non perdiamo tempo. Cominciamo a prepararci!»
Quelle parole mi hanno fatto sobbalzare, riportandomi alla realtà.
Nelle due ore successive, che sono passate in un lampo, io e Chiara abbiamo meticolosamente ripetuto una per una tutte le manovre, verificato i comandi, effettuato le prove di sgancio della vela. Non solo. Abbiamo pazientemente ipotizzato tutti i possibili imprevisti che mi sarebbero potuti accadere in volo, valutato le correnti nelle quali mi sarei potuta imbattere. Infine, quando pensavamo di aver sciolto ogni più piccolo e banale dubbio che ancora mi attanagliava, ho detto con piglio deciso e improvviso: «Chiara, io vorrei fare ancora un ultimo volo tandem prima del mio lancio da sola».
Gli occhi di Chiara mi hanno fissato per un secondo con una tale intensità che mi è parso che mi si conficcassero nella pelle come due ami. L’aria si è di colpo raggelata.
«Perché Laura? Sarebbe il tuo settantaquattresimo lancio tandem! Non ne hai bisogno, sei pronta! Ne sono certa, e lo sai bene anche tu. Ne abbiamo già parlato ed eravamo d’accordo.»
La mia richiesta la stava irritando. Stavo forse cedendo ai timori, indietreggiando, proprio adesso che quello che avevo sempre inseguito e desiderato era a un soffio da me? Ero di fronte a una resa, a un ripensamento?
Niente di tutto questo. C’era una ragione più profonda che mi spingeva a chiedere un altro volo tandem, un’ultima esercitazione preliminare prima della grande sfida, ma non potevo certo pretendere che Chiara mi leggesse nel pensiero...
Nel paracadutismo è la testa che conta, la concentrazione. Le emozioni ti raggiungono e ti attraversano con una forza incredibile, per questo devi essere ben salda e stringere il timone, per non perderti nel viaggio, per tenere la rotta. Non c’è altro modo di viverle fino in fondo se non quello di saperle orientare, senza strappi, senza forzature, dolcemente ma con determinazione.
La conosco bene quella sensazione leggera di perfetto equilibrio tra mente, cuore e corpo mentre sei in caduta libera. Ogni dettaglio conta. Non c’è solo l’abbandono, come magari tutti pensano, ma un distacco più complicato dalla terra, un allontanamento progressivo – anche se apparentemente rapidissimo – dal suolo.
«Lo so bene!» le dico con tono sicuro «Ma so anche che questo sarà l’ultimo. D’ora in avanti volerò da sola. Ho bisogno di “sentirmi” ancora una volta in aria, per capire se davvero ho superato ogni timore.»
La mia richiesta, dopo aver provocato lo sconcerto generale, è stata accolta bene da tutti. Volevo assecondare le mie emozioni fino in fondo, essere del tutto serena.
Quell’ultimo lancio tandem mi ha completamente rassicurata. Tutto quello che è venuto dopo è stata la conferma che avevo fatto la scelta giusta.
Alle 14.30 eravamo in campo. Il Pilatus verde era lì, pronto per il decollo. Piccolo e ruggente.
Il rumore dell’accensione dei motori, che avevo sentito già tante volte, suonava stranamente nuovo. Mi sembrava più forte, più intenso e perfettamente in sintonia con il pulsare del mio cuore che prendeva velocità.
Non lo dimenticherò mai.
Il briefing non è durato a lungo. Avevamo già esaminato insieme la zona di lancio e quella di atterraggio. La manica a vento sembrava impaziente quanto me. Sono salita a bordo.
Ora ero lì, nella sua pancia, con tutto il mio equipaggiamento: paracadute, radiolina, tutori, la mia tuta nera e rossa che aderiva al corpo come una seconda pelle.
Respiravo sentendomi sollevare in aria, leggera come vapore, e mentre raggiungevamo i quattromila metri, in brevissimo tempo, ho sentito che tutta la mia vita era compresa in quel momento, come se qualcuno avesse acceso un interruttore e una luce chiarissima, abbagliante, l’avesse illuminata.
Eravamo in quota.
Alex, il mio allenatore, era di fronte a me, come ogni volta da più di un anno. Non mi aveva mai lasciata sola, e con me aveva percorso ogni tappa che aveva preceduto e preparato quel momento. La sua presenza mi rassicurava.
Mi aveva sempre incoraggiata, ascoltata. Aveva creduto in me anche nelle fasi più dure, nei periodi più sconfortanti, quando tutto attorno sembrava ricordarmi a voce alta, perentoriamente, che non avrei potuto e dovuto concedermi un’avventura tanto pericolosa, tanto estrema. Un rischio così grande. Perché non tutti possono farlo.
Infinite volte mi sono sentita ripetere che si trattava solo di una stupida, cocciuta, insensata pretesa di dimostrare al mondo l’indimostrabile. Quelle parole, pronunciate con superficialità, non corrispondevano al vero e mi ferivano gratuitamente.
Ma i sogni fabbricano complici e se ne nutrono.
Eravamo amici, io e Alex, e le nostre vite si sono sempre guardate dal giorno fortunato del nostro primo incontro. Sapeva che la mia esistenza era stata scossa nel profondo e aveva tremato dalle radici. Sapeva che non mi ero mai data per vinta. Avevo lottato, e lottavo perché tutto non rimanesse fermo. Perché il vento ricominciasse a soffiare anche per me.
Era inevitabile che in quel momento, a un passo dal salto in cielo aperto, fosse il suo lo sguardo che cercavo famelicamente. Quello sguardo che valeva più di tante parole e che nessuno poteva sostituire.
Anche quando l’ho visto immerso nei suoi pensieri, a testa bassa mentre l’altimetro confermava che eravamo in quota, a quattromila metri, non ho mai dubitato del suo potere miracoloso che sarebbe arrivato a sollevarmi. Al momento giusto, come mille altre volte.
La voce del pilota è stata come un clic che mi ha scollegata da qualunque emozione, o precipitata in tutte in un solo momento.
L’aereo ha rallentato e il portellone si è aperto.
Ora non c’era più alcuna diga tra me e l’immensa vasca del cielo.
Ero in porta, in posizione per il distacco. Pronta al salto.
Aspettavo solo il segnale d’uscita. Il mio esatto punto di lancio.
«Exit!» ha urlato il pilota.
Un istante dopo ero in aria. Da sola.
Le braccia tese alla ricerca della quota d’aria dell’aereo. Distesa nel cielo, in completa apnea, seguivo il flusso del Pilatus.
Difficile capire dove si trovi esattamente il tuo cuore in quel momento. Senti il suo pulsare in ogni parte del corpo e la pelle vibrare come un tamburo battuto all’impazzata. Ogni attimo, ogni minima frazione di tempo è calcolata in caduta e velocità, eppure hai la sensazione che il tempo non sia mai esistito. Ti accorgi che puoi e sai farne a meno, e che è solo lo spazio, invisibile e possente, nel quale ondeggi, plani, fluttui – libera come mai avresti creduto di poter essere – a disegnare il contorno del tuo corpo. A darti consistenza.
Impalpabile e purissima, l’aria ti avvolge completamente per un eterno minuto di caduta libera.
Un minuto è una frazione di tempo irrilevante, ma in volo ha la robustezza di un intero calendario.
Vedevo il mare sterminato. Lo vedevo dall’alto, come gli uccelli, e mi sembrava un filo teso sotto di me, un bagliore unico che si saldava al taglio della terra, disseminata di puntini lontanissimi, di tenui variazioni di colori e luci.
«Che bello!» mi sono sussurrata e ho sentito quella remotissima meraviglia di bambina, quando per un’involontaria e improvvisa scoperta il mondo ti appare incredibilmente più grande e magnifico di prima.
Ho cominciato le manovre per aprire la vela. I controlli mi confermavano che tutto era perfetto. Ho ruotato su me stessa alla ricerca del mio punto di atterraggio. Dell’angolo di terra che avrei dovuto toccare.
L’attimo dopo il mare era alle mie spalle: la vera prova stava cominciando. Non vedevo e non sentivo nessuna anomalia. Ero in sicurezza: tutto filava liscio come l’olio. Mancava solo l’ultimo passaggio, che poi è il mio grande segreto. Ho abbassato la lampo della tuta, preso il moschettone, agganciato le gambe. Ho tirato e le ho sentite salire.
Erano attaccate al mio corpo e le ho bloccate.
“È tutto perfetto. Funziona! Funziona!” ho pensato eccitatissima. Ho iniziato il mio circuito di atterraggio. Concentrata e attenta a ogni minimo particolare. Il vento non era cambiato, e mi piaceva: forte e intenso al punto giusto.
Le manovre di avvicinamento alla terra erano il momento più delicato per me. Quello mille volte immaginato, studiato, calcolato. Rappresentava la mia personalissima barriera dell’impossibile, con il rischio di rendere il mio sogno una chimera, un’utopia, un’impresa disperata. Al massimo, una bella e romantica favola, destinata però a restare tale per sempre. E invece ora il sogno si stava assurdamente avverando. E io ero stupita, incredula e... pazza di gioia.
La carrucola bloccante, quel gancio meccanico che avevo inventato e che nei miei piani mi avrebbe consentito di tirar su le gambe al momento giusto per l’atterraggio, lo strumento che avevo già testato nei miei lanci tandem, aveva retto la prova della realtà anche nel primo lancio da sola.
Con le gambe in posizione, bloccate al corpo, potevo atterrare in sicurezza come tutti gli altri. Dopo aver volato come chiunque altro. E se quasi non ricordavo più cosa si prova a camminare e correre, se in acqua non mi ero mai sentita a mio agio, in aria invece tutto il mio corpo era leggero, flessuoso e libero, acrobatico nei movimenti come quello delle libellule e delle aquile.
L’aria era il mio elemento, lo avevo capito fin da bambina. E ora mi stava regalando l’emozione più grande: vincere il blocco, la paura e l’immobilità a cui una parte del mio corpo era condannata.
Ti accorgi di aver volato quando cominci a pensare all’atterraggio. L’approdo alla terra è una sequenza di prudenti accorgimenti, equilibri e abilità concatenati gli uni agli altri.
È così per tutti, ma per me lo è in modo particolare. L’atterraggio significava il superamento di tutte le barriere che avevo incontrato dal maledettissimo giorno dell’incidente.
«L’aria non contiene solidi, né recinti, né costruzioni» mi ripetevo «e neppure ombre, Laura... è pura luce.»
A trecento metri di stacco da terra vedevo le persone giù, col naso in aria, ad aspettarmi. Ho lasciato la vela andare fino a quasi cento metri. Poi sapevo di dover procedere a mezzo freno per rallentare.
L’impatto sarebbe stato dolce, morbido, come lo avevo immaginato. “Vedrai, sarà così, Laura!” e quella voce della mente mi è parsa un comando inappuntabile al quale avrei solo dovuto obbedire.
Potevo schiantarmi al suolo. Farmi molto male. Ancora una volta ritrovarmi chissà dove, priva di coscienza. Anche un solo piccolo imprevisto, un dettaglio non calcolato, avrebbe trasformato quel giorno limpido di sole in una tragedia, per me, per tutti. Questi pensieri devono avermi sfiorato solo per pochi istanti.
Sentivo che stavo rallentando, che mi avvicinavo alla meta. Ero certa di farcela.
La terra era a pochi metri da me. La vedevo scorrere come in u...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Nessuna barriera fra me e il cielo
  3. Prefazione
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. Copyright