Molte volte mi hanno chiesto come ho fatto a costruire il mio impero finanziario. Soprattutto me l’hanno chiesto giudici morbosamente curiosi e agenti della guardia di finanza particolarmente petulanti. Gente faziosa e rancorosa, che si è sempre sistematicamente e ottusamente rifiutata di entrare a far parte della fortunata schiera di magistrati e agenti al mio servizio, meritatamente iscritti nel mio libro paga.
Ogni volta la stessa inopportuna domanda: «Signor Pravettoni, come ha fatto a costruire il suo impero finanziario?». E io, con calma olimpica, ogni volta ho risposto con la stessa celebre frase di un famoso filosofo dell’antica Grecia: «Ma i cazzi vostri non ve li fate mai?».
Comunque, visto che per questo libro di consigli mi pagano profumatamente – resti fra noi perché ai miei due ghostwriters ho detto che avrei donato tutto in beneficenza – tanto vale che spieghi qualcosa a voi aspiranti manager, industriali e malfattori in genere.
Il modo più rapido per aprire un’azienda è impossessarsi di una già aperta da altri. Non si tratta di un’operazione semplice. Per raggiungere il risultato ci sono vari metodi, che io ho sperimentato personalmente uno per uno.
Ditelo con i fiori
Presentatevi con gentilezza all’azionista di maggioranza di una grande impresa, magari portando con voi un omaggio floreale, dei cioccolatini oppure qualche escort d’occasione. Poi chiedetegli gentilmente se vuole donarvi l’intera azienda. A questo punto le ipotesi sono svariate.
L’uomo, sorpreso da tanta cortesia e da tale inusuale richiesta, potrebbe liberare i suoi mastini e farvi divorare sul posto. Oppure, conquistato dalla vostra faccia tosta, potrebbe farvi spezzare le gambe dalle guardie del corpo, reclutate tramite apposite selezioni fra le Tigri di Arkan e i narcos messicani, e quindi gettarvi in mare appeso a un cubo di cemento.
In alcune circostanze, tuttavia, la vostra gentile richiesta può portare a dei risultati. In caso di successo il manager vi regalerà la propria impresa facendosi carico di tutte le incombenze burocratiche, poi vi darà in sposa sua figlia, vi lascerà utilizzare le sue auto d’epoca da collezione e, sereno e in pace con se stesso, si stabilirà sulle colline di San Casciano in Val di Pesa, in provincia di Firenze, entrando in una comunità di Hare Krishna dediti alla sodomia rituale. Va detto che ciò avviene di rado e per lo più se l’imprenditore da voi interpellato è un alcolista all’ultimo stadio, un accanito consumatore di risotto ai funghi allucinogeni o più semplicemente un idiota integrale.
Creare un diversivo
Individuate l’azienda che fa per voi. Fate in modo che il padrone si assenti per un certo periodo. Per esempio, telefonate in ditta annunciando la morte di una sua lontana parente, ricchissima, che vive in Nuova Zelanda, e invogliatelo a partire per andare a riscuotere l’eredità della vecchia ormai defunta. Oppure regalategli un soggiorno all inclusive di tre settimane in un bordello in Austria e assicuratevi che venga accolto da Helga la Sbriciolareni, già protagonista negli anni Settanta del noto film Marlene, la belva delle SS. Una volta che il manager si è allontanato installatevi nel suo ufficio, prendete possesso del suo computer e dei suoi conti correnti e godetevela finché dura. È importante che, nel vostro periodo alla guida dell’azienda, non svolgiate alcun tipo di lavoro. Infatti, come è noto, i manager di successo vengono pagati profumatamente per non fare una bella mazza dalla mattina alla sera.
Il simpatico trucco di Pinochet
Assoldate un esercito di mercenari. Non è così difficile come sembra, di questi tempi. Da quando in Sudamerica, nonostante gli sforzi della comunità internazionale, ha cominciato inspiegabilmente a diffondersi la democrazia, i mercenari li porti a casa a prezzi stracciati. Una volta, a un’asta su eBay, ho comprato cinquanta contras nicaraguensi dotati di mitra e munizioni all’uranio impoverito (data la crisi mi son dovuto accontentare, ripromettendomi di arricchirlo in seguito). Tra l’altro in questo modo si aiutano i paesi in via di sviluppo, dove sempre più uranii si impoveriscono e sono costretti a vivere nelle favelas in precarie condizioni igieniche. Spero che presto il papa spenda qualche parola di conforto anche per loro.
Una volta messo insieme l’esercito, circondate l’azienda che intendete accaparrarvi. Dichiarate alla stampa che all’interno si producono cd di Albano, considerati armi di distruzione di massa e messi al bando in settantadue paesi esclusa la Russia, dove da anni fanno cantare Toto Cutugno e quindi sono immuni.
A questo punto non resta che aspettare: in pochi giorni il golpe andrà sicuramente a buon fine. Qualora i legittimi proprietari dell’azienda facessero resistenza, potete paracadutare all’interno Maria De Filippi e l’intero cast di «Uomini e donne» per una puntata speciale. Tempo dieci minuti e la resa sarà incondizionata: l’azienda sarà vostra. Non sarete forse riconosciuti dall’Onu, ma avrete il totale sostegno dell’Iran, della Corea del Nord e del sindaco leghista di Gemonio.
I metodi che vi ho finora illustrato sono senz’altro adatti per chi volesse provare emozioni forti e fare affari divertendosi e truffando il prossimo. Esiste però anche un’altra strada possibile, che io ho intrapreso anni fa, quando sono diventato presidente della nota – soprattutto all’Interpol e alle questure di mezza Europa – multinazionale Carter&Carter. Se volete arrivare al vertice di un’azienda non c’è nulla di meglio che sposare la figlia del proprietario. Tenete presente un piccolo dettaglio: se questa figlia fosse bella, simpatica, onesta e intelligente, perché mai dovrebbe sposare uno spregevole farabutto come il sottoscritto o come voi che vi apprestate a seguire le mie orme?
Le figlie dei capitani d’industria si dividono in due categorie. La prima comprende quelle ragazze gradevoli a vedersi come un vecchio camionista armeno di 150 chili, con le emorroidi, scampato al genocidio perché spia dei turchi. Come se non bastasse, questo genere di donne sono spesso anche intelligenti e acculturate. Ma figlia mia, con tutti i soldi che ha papà che bisogno hai di studiare? Allora provochi!
Le ereditiere della seconda categoria seguono il cosiddetto «modello Paris Hilton». Sono dei bei pezzi di figliola, anche grazie agli innumerevoli interventi di chirurgia estetica a cui si sono sottoposte sputtanando i soldi di papà . Tuttavia, poiché sono solitamente composte per il cinquanta per cento di plastica, durante gli appuntamenti è meglio evitare di esporle a lungo a fonti di calore, onde prevenirne lo scioglimento. Si racconta di un noto playboy a cui si è sciolta la ragazza fra le mani durante una cena a lume di candela, con gran disappunto dei camerieri che hanno faticato parecchio a scrostare i resti della fanciulla dal pavimento. Queste ragazze di solito sono anche ignoranti come caproni e intelligenti come badili, il che le rende le donne ideali.
Attenzione, però. La femmina di tipo «Paris Hilton» ha alcune terribili controindicazioni. Per prima cosa è come la Ferrari: ammesso che tu abbia i soldi per comprarla, poi la devi mantenere. Queste donne sono sputtanatrici compulsive di patrimoni altrui. Tra vestiti, gioielli, ritocchini dal chirurgo plastico, vacanze alle isole Comore in hotel a sei stelle e shopping selvaggio nelle principali capitali mondiali, sono capaci di ridurre sul lastrico in una sola giornata un emiro o un oligarca russo.
Inoltre, e questo è il difetto peggiore, hanno una data di scadenza. Non invecchiano piano piano: si decompongono all’improvviso. Una sera ti addormenti con accanto una bella gnocca e la mattina ti svegli e al tuo fianco c’è un mucchietto di plastica raggrinzita pronta per la raccolta differenziata. A quel punto è inutile qualsiasi iniezione di silicone o botulino. Non resta che raccogliere il mucchietto di plastica, metterlo in un sacchetto e chiamare l’azienda dei rifiuti. Che, tante volte, si rifiuta persino di ritirarlo. Non a caso si chiama «azienda dei rifiuti». Infatti, quando uno telefona e chiede: «Pronto, azienda dei rifiuti?», spesso e volentieri rispondono: «No».
Quindi, e lo dico a malincuore, è preferibile puntare sull’ereditiera brutta. Anzi, più brutta è meno concorrenza avrete. Tanto, per il vostro sollazzo, Dio ha creato le escort. E Lele Mora le ha presentate al mio amico Silvio.
Io, dopo averle provate tutte (e mi riferisco anche alle escort di Lele Mora), sono riuscito nell’intento di appropriarmi di una grande azienda, sposando la figlia del proprietario della Carter&Carter che, a essere sincero, non ho ancora capito cosa diavolo produca.
Ho incontrato quella che poi sarebbe diventata mia moglie sulla spiaggia di Porto Cervo, dove lei faceva la cura del sole e io, come secondo lavoro, stavo sversando in mare rifiuti tossici di varia provenienza. D’altronde, si sa, quel che non ammazza ingrassa. Ne vengono fuori certi pescioni fosforescenti a due teste che è una meraviglia! Perfetti per le grigliate con gli amici. Infatti si cuociono da sé, per autocombustione, senza fuoco né carbonella. Un vero miracolo! E con le lische che avanzano ci illumini e ci riscaldi la casa per almeno trent’anni.
L’ho vista sdraiata al sole e sono rimasto a bocca aperta. Non pensavo che i rifiuti tossici causassero mutazioni genetiche così terrificanti! Dopodiché mi sono avvicinato per buttare in acqua pure lei, perché buona educazione vuole che i rifiuti non si lascino in bella vista sul bagnasciuga ma si gettino in mare.
Insomma, con l’aiuto di una ruspa avevo già raccattato quello strano essere, quando il mio principale, don Calogero Manomorta Carapace detto ‘o Malommo, mi ha fermato dicendomi: «Ma cosa fai! Questa fanciulla è la ricchissima ereditiera Maria Cozza Carrozzoni Poretti Della Permuta, figlia di Ascanio Sforza Grimaldelli Carrozzoni Poretti Della Permuta, il proprietario della Carter&Carter!».
«Più che un proprietario, dal nome sembra un intero consiglio d’amministrazione» osservai ridacchiando tra me e me.
Dunque l’inquietante creatura era in realtà una ricca ereditiera il cui padre aveva fondato una società che aveva sedi in mezzo mondo ed evadeva il fisco nel mondo intero, quando non lo frodava addirittura e buonanotte!
Il caso volle che la Cozza rimanesse affascinata dai miei modi bruschi. Ottenni così il mio primo appuntamento con la giovane. Ma, poiché mi vergognavo a farmi vedere in pubblico con lei, mandai mio cugino al posto mio. Dopo due mesi, avendo finito tutti i parenti e gli amici disposti a sostituirmi, compreso il fedele cane Dissenteria (gli ero molto affezionato, finché un giorno ha cagato sui sedili in pelle del mio Suv e allora ho dovuto sostituire la pelle dei sedili con la sua), mi è toccato presentarmi di persona.
«Che ne è di Dissenteria?» mi fece lei appena mi vide. «Lo trovavo molto simpatico.»
«Ce l’hai sotto il culo, baby» le risposi indicandole la pelle dei sedili della mia auto.
Uscimmo insieme altre tre o quattro volte. Per il mio onomastico, San Carcarlo, mi regalò un purosangue della scuderia di suo padre. Un gran bel cavallo grazie al quale potei organizzare una bella grigliata di carne equina con il mio capo Carapace e altri della Famiglia.
Dopo circa un mese il padre di lei mi convocò nel suo studio e mi disse: «So bene che lei, oltre a essere un idiota, è anche uno spregevole mascalzone senza scrupoli».
«Ti ringrazio, papà » dissi io, giocando audacemente d’anticipo.
«Non mi interrompa, imbecille. Lei sta con mia figlia solo per i soldi.»
«Se lei trova un altro motivo per starci, me lo faccia sapere.»
La mia franchezza conquistò l’uomo, che decise seduta stante di concedermi la mano della figlia e di lasciarmi in eredità la Carter&Carter.
Sposai Maria Cozza di notte, a luci spente. Io indossavo il frac che mi aveva prestato Carapace, prendendolo in prestito a un defunto. O meglio, prendendolo a uno della mia corporatura, il quale, prima che Carapace gli si avvicinasse, era ancora vivo e vegeto, per l’esattezza. Lei indossava un abito con il velo che la copriva dai capelli ai piedi. A fine cerimonia il prete mi disse: «Può baciare la sposa, se ha il coraggio».
«Faccia conto che l’abbia fatto, padre» dissi io allungando al sacerdote una banconota da cinquantamila lire, sfilata poco prima dal portafoglio di mia moglie.
Per la luna di miele scelsi Parigi. Lei invece la mandai a Pechino.
Adesso che avete ottenuto la vostra azienda, la domanda è: come si fa a farla funzionare?
Per ogni manager che si rispetti, l’estetica è importantissima. Anche perché, oltre a quella, non c’è nulla. Il mio consiglio è: vestite sempre di scuro. Possibilmente di nero. Il nero, si sa, sfina, è indice di sobrietà , misura ed eleganza. Nell’abbigliamento come nell’amministrazione di un’azienda. Se è vero – ed è vero – che è di cattivo gusto vestire in modo appariscente, scegliendo colori sgargianti e capi stravaganti, con il preciso intento di dare nell’occhio per il solo gusto di esibirsi, è altrettanto vero che è di cattivo gusto mostrare per forza i propri «affari» (sia detto senza allusioni di sorta) mettendo tutto alla luce del sole, come a dire: «Guardate quanti soldi guadagno alla faccia vostra!».
Effettuare, o meglio riscuotere un pagamento in nero, dare lavoro in nero, significa avere il senso della misura e della discrezione. Significa cioè rispettare la sensibilità del prossimo, soprattutto di chi è senza soldi e senza lavoro, e ancor più degli operai tuoi dipendenti, costretti a dichiarare al fisco tutti i loro miseri guadagni e a pagarci sopra le tasse, i poveri fessi!
Cosa c’è di più sobrio, misurato ed elegante di una bella economia sommersa? Contribuire, e non di poco, con i propri loschi affari (sia detto con la dovuta modestia) al prodotto interno lordo senza sbandierarlo ai quattro venti, senza farsene un vanto! Non doverci pagare sopra le tasse è solo un insignificante dettaglio, una condicio sine qua non, come diceva sempre mia nonna con una colorita espressione dialettale della Val Brembana, ma credetemi, sono altre, ben più profonde, le vere ragioni morali che spingono noi coraggiosi uomini d’affari a scegliere il nero.
Che poi i proventi non dichiarati dell’economia sommersa alimentino a loro volta ingenti fondi «neri» (un prezioso malloppo, indispensabile per poter corrompere politici, giudici, governanti e professionisti di varia specie) oppure rientrino attraverso il riciclaggio del denaro cosiddetto «sporco», è un fatto noto a tutti ed è un’altra bella dimostrazione della straordinaria inventiva, della mai esaurita fantasia di noi italiani, grande popolo di poeti, artisti e figli di buone donne genericamente intese.
Ed è anche una questione di igiene personale, diciamocelo. Girare con in tasca del denaro sporco non è certo cosa degna di un paese civile. Qualcuno di voi mi dirà : ma perché sporcarlo, questo denaro? Beata ingenuità ! Provateci voi ad andare in Svizzera con pacchi di banconote nascosti nelle mutande e poi vedete se i vostri soldi arrivano puliti a destinazione!
A questo punto vorrei fare qui alcune brevi riflessioni su un argomento delicato: papa Francesco. Lo voglio dire in tutta sincerità : io, Carcarlo Pravettoni, di questi papi che vogliono fare i poveri per forza mi fido e non mi fido… con rispetto parlando, s’intende! Era così comodo per me passare di tanto in tanto allo Ior sotto casa a depositare denaro di sicura dubbia provenienza, invece di dover andare ogni volta in Svizzera… e ora papa Francesco si è messo di traverso! Come li riciclo adesso io i miei soldi, come lo ripulisco il mio denaro?
Già che siamo in argomento, bisogna che ve lo dica. A me questo san Francesco d’Assisi, cui il papa si è ispirato, non mi ha mai convinto. Uno che nasce da famiglia ricca, famiglia di mercanti, un padre e una madre che si sono fatti un mazzo così per metter su la fabbrichetta di tessuti pregiati e garantire al figlio un avvenire… e lui cosa ti combina? Regala tutto ai poveri e se ne va in giro coperto di stracci. Se era figlio mio, due sberle e a lavorare in fabbrica, marsc’! Un giorno alla pressa e poi lo vedi come ti passa la voglia di parlare agli uccelli!
Ma tornando al lavoro nero, devo di...