Begli amici!
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Begli amici!

  1. 300 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Begli amici!

Informazioni su questo libro

È una splendida e calda domenica di maggio e come tutti gli anni i Delaney aprono i cancelli della loro bella casa di campagna e invitano tutto il villaggio per una nuotata in piscina. È un appuntamento da non perdere e tra i partecipanti c'è Louise, con le figlie Amelia e Katie, che non intende rinunciare alla festa anche se suo marito Barnaby, da cui si è da poco separata, le lancia sguardi risentiti: quello infatti avrebbe dovuto essere il suo giorno con le bambine. Louise, però, non ha intenzione di lasciarsi turbare. In fondo che colpa ne ha lei se Amelia e Katie preferiscono giocare in piscina piuttosto che pescare con il padre? Mentre le figlie sguazzano felici in acqua, Louise prende il sole beata, persa nei pensieri rivolti al suo nuovo amore, Cassian, un giovane avvocato affascinante e molto, molto ambizioso. La giornata scorre tranquilla finché dalla piscina provengono un gran trambusto e grida di allarme: c'è stato un grave incidente e la festa si trasforma in un vero e proprio incubo. All'improvviso Louise si ritrova al centro di recriminazioni, gelosie, invidie e cattiverie, travolta da un gioco di potere più grande di lei. In breve tempo, l'intero villaggio viene coinvolto in un dramma familiare senza esclusione di colpi. In Begli amici! Madeleine Wickham racconta con il suo usuale tono ironico e acuto, e con una fine analisi psicologica dei personaggi, come un evento inaspettato possa in pochi secondi cambiare radicalmente la vita delle persone, scatenando i peggiori istinti, incrinando amicizie, sgretolando rapporti che sembravano solidi, portando lo scompiglio in una comunità solo in apparenza unita e pacifica.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804635079
eBook ISBN
9788852051241

1

Era maggio ed erano solo le dieci del mattino, ma il sole splendeva già caldissimo. Sotto i piedi l’erba del giardino era tiepida e secca, e la brezza, che si insinuava sotto l’abito di cotone di Katie, era piacevole come una carezza. Katie si mosse contorcendosi un po’. Aveva voglia di lanciarsi in qualche piroetta, o di lasciarsi rotolare lungo il pendio del prato finché non si fosse fermata a corpo morto sul fondo. E invece doveva restarsene in piedi, immobile come una roccia, con l’elastico che le passava intorno alle gambe così teso da procurarle dei segni rossi. Si chinò e lo spostò leggermente.
«Katie!» Amelia, che stava per saltare, si bloccò e la guardò irritata. «Non ti devi muovere!»
«Ma mi fa male! È troppo stretto!» Katie girò la testa e riuscì a intravedere il retro dei polpacci. Notò una piccola linea rosa. «Guarda! Mi sta lasciando il segno sulla pelle!»
«Be’, allora avvicinati alla sedia. Ma tieni teso l’elastico.» Katie fece un sospiro melodrammatico e si spostò un po’ più vicino alla sedia.
Se la dovevano cavare con una sedia perché il gioco dell’elastico richiedeva tre persone e loro erano soltanto in due. A volte la mamma giocava con loro, ma quel giorno aveva troppo da fare, si era anche arrabbiata quando glielo avevano chiesto, e così avevano dovuto trascinare una sedia in giardino e farle passare l’elastico intorno alle gambe, proprio come se fossero stati arti umani. Adesso l’elastico era teso, due sottili linee bianche, a pochi centimetri sopra l’erba. Quella sola vista riempiva Katie di grande aspettativa. Quel gioco le piaceva da morire. A scuola lo facevano tutti i giorni nell’intervallo; durante le lezioni infilava spesso una mano in tasca per controllare che l’ingarbugliata matassa di elastico fosse ancora al suo posto.
«Bene» annunciò Amelia in tono sbrigativo e deciso. Cominciò a saltare scavalcando l’elastico teso, mordicchiandosi il labbro e atterrando con i piedi esattamente nei punti previsti. Alla fine, saltò fuori dall’area di gioco senza neppure sfiorare l’elastico.
«Adesso tocca a me» disse Katie speranzosa.
«No, non tocca a te» ribatté Amelia. «Non sai come si gioca all’elastico?»
«Nella mia classe» disse Katie, inarcando espressivamente le sopracciglia «giochiamo in modo che ognuna di noi faccia un giro. Una dopo l’altra. Mrs Tully dice che è il sistema più giusto.» Amelia non rimase molto colpita.
«È il sistema che si usa solo con i più piccoli» dichiarò. «Da noi la persona che salta va avanti finché non sbaglia.»
«Ma tu non sbaglierai mai!» protestò Katie. Si grattò la gamba nel punto dove l’elastico l’aveva stretta troppo.
«Invece mi capiterà, prima o poi» disse Amelia gentilmente. «E comunque» aggiunse «sai già che dopo toccherà a te: non credo che la sedia voglia giocare.» Katie guardò la sedia, benevolmente immobile sull’erba, e ridacchiò.
«Potremmo chiederglielo» iniziò a dire. Ma Amelia aveva già ricominciato a saltare.
Erano state mandate a giocare in giardino in attesa che il padre le passasse a prendere. Nessuno riusciva a ricordare esattamente l’ora in cui aveva detto che sarebbe arrivato. Amelia pensava alle dieci, la mamma alle dieci e mezzo e Katie, convinta che papà avesse detto alle nove meno un quarto, come a scuola, era rimasta ad aspettare accanto alla porta, pronta a uscire, fino alle nove passate, quando era diventato evidente che suo padre sarebbe arrivato più tardi.
Amelia aveva sensatamente suggerito alla mamma di telefonare a papà per chiedergli l’orario. Ma per qualche ragione sua madre non aveva voluto. Non voleva mai telefonare a papà. Era sempre lui a chiamare. Infatti aveva telefonato in settimana, aveva parlato con la mamma e le aveva detto che domenica avrebbe portato le bambine a pescare. A pescare! Katie non era mai andata a pescare. Sia lei che sua sorella si erano molto eccitate ed erano scese in cantina, dove avevano recuperato tutte le reti e tutti i secchi che erano riuscite a trovare. Amelia possedeva addirittura una canna da pesca che le aveva regalato il nonno e, in uno slancio di generosità, aveva detto che Katie, se voleva, poteva averla. La mamma aveva lavato due vasetti nel caso avessero voluto portare a casa qualche piccola preda e loro due avevano scelto una barretta di cioccolata a testa come dolce speciale del pranzo al sacco.
Ma tutte e tre, compresa la mamma, avevano dimenticato che quella domenica era la Giornata del Nuoto a casa Delaney. Non potevano assolutamente mancare alla Giornata del Nuoto. Ci andava tutto il villaggio, perfino quelli ai quali non piaceva nuotare. Amelia si era chiesta di sfuggita come ci si doveva sentire a non amare il nuoto. Proprio non riusciva a immaginarlo. Nuotare piaceva a tutti quelli che conosceva: a lei, a Katie, alla mamma e perfino a papà, quando aveva veramente caldo.
Si erano ricordate della Giornata del Nuoto solo il giorno prima, quando si erano imbattute in Mrs Delaney mentre facevano la spesa. Mrs Delaney aveva chiesto se sarebbero andate anche loro e la mamma aveva risposto che quell’anno, purtroppo, le bambine non avrebbero potuto partecipare. Katie per poco non era scoppiata a piangere in strada. Amelia era troppo grande per scene del genere, ma non appena erano salite in auto, aveva chiesto con voce disperata: “Domani non potremmo andare alla Giornata del Nuoto e andare a pesca un’altra volta?”. All’inizio la mamma aveva risposto arrabbiata di no, naturalmente no. Una volta a casa, aveva detto di nuovo di no, aggiungendo però che era davvero un peccato. Più tardi, aveva osservato che forse a papà non sarebbe importato. E la sera, mentre le metteva a letto, aveva detto che non appena papà fosse arrivato glielo avrebbe chiesto, e che pensava che sarebbe stato sicuramente d’accordo.
Amelia atterrò pesantemente sull’erba. «Sto bollendo» disse.
«Anch’io» concordò Katie. «Non vedo l’ora di andare a nuotare.»
«Io mi tufferò immediatamente» annunciò Amelia. «Non starò neanche a sentire con l’alluce se l’acqua va bene o roba del genere.»
«Anch’io» ripeté Katie. «Mi tufferò subito.»
«Tu non sai tuffarti» disse Amelia brutale.
«Invece sì» protestò Katie. «Ho imparato al corso di nuoto: ti siedi sul bordo della piscina e...»
«Quello non è un vero tuffo.»
«Invece sì!»
«No!»
«Sì!» Katie alzò la voce arrabbiata. «È un vero tuffo!» Amelia sorrise sarcastica. «Sono stata la migliore della mia classe» strillò Katie. «Mrs Tully ha detto che sono una piccola lontra.»
Ci fu una pausa. Poi Amelia arricciò il naso altezzosamente e disse: «Che schifo».
«Cosa?» Katie sembrava sconcertata. «Perché schifo?»
«Essere una lontra fa schifo.» Amelia guardò la sorella con aria di sfida. Per un momento Katie sostenne in silenzio lo sguardo di Amelia, poi si voltò da un’altra parte. Gli occhi di Amelia brillavano.
«Tu non sai cos’è una lontra, vero?» domandò.
«Sì che lo so.»
«Allora dimmi che cos’è.»
Katie fissò irritata Amelia, mentre la mente annaspava tra immagini seminventate. Mrs Tully le aveva mai spiegato cos’era una lontra? Lontra. A cosa faceva pensare? Visualizzò una distesa di acqua verde-azzurra, raggi di luce argentei e un corpo flessuoso che frangeva la superficie in un tuffo perfetto.
«È come una fata dei fiori» disse alla fine. «È una fata dell’acqua. Vive nell’acqua ed è tutta verde e azzurra.»
«No, non è così!» la prese in giro Amelia. «Katie Kember, tu non sai un bel niente!»
«Be’, allora cos’è?» chiese Katie arrabbiata. Amelia avvicinò il viso a quello della sorella.
«La lontra è un animale. È unta e pelosa e ha i piedi palmati e viscidi. Ecco cosa sei. E tu che pensavi di essere una fata dell’acqua!»
Katie si sedette sull’erba. Non le passò neppure per la mente di non credere ad Amelia. Amelia non si inventava mai le cose.
«Io non ho i piedi viscidi.» La voce era un po’ tremante. «E non sono tutta pelosa: ho solo dei capelli normali.» Si scostò dalla fronte la frangetta castano chiaro e guardò la sorella con gli occhi azzurri preoccupati. Amelia si addolcì.
«No, e comunque le lontre nuotano benissimo» disse. «Immagino che fosse questo che voleva dire Mrs Tully.»
«Sì, è proprio quello che voleva dire» confermò Katie, incredibilmente sollevata. «Sai, io sono la più brava della mia classe a nuotare. Pensa che c’è chi usa ancora i braccioli.»
«Li usa anche un mio compagno» disse Amelia ridacchiando. «E ha nove anni.»
«Nove!» le fece eco Katie in tono sprezzante. Lei ne aveva solo sette e nuotava senza braccioli fin dall’estate precedente.
All’improvviso si sentì un’auto che si fermava davanti a casa.
«Papà!»
«Papà!»
Le due bambine fecero di corsa il giro della casa. Alto, in pantaloncini e con una camicia a quadretti blu che sembrava vecchissima, papà stava scendendo dall’auto. La vista del padre suscitò in Amelia un misto di familiarità e di estraneità che la bloccò di colpo e la spinse a distogliere lo sguardo. Katie la superò di corsa.
«Papà!» gridò. Il padre si voltò e sorrise. E immediatamente, prevedibilmente, Katie scoppiò in un pianto sonoro e incontrollabile.
Seduta nella sua bella cucina, Louise Kember stava aspettando che entrasse Barnaby. Aveva sentito arrivare la sua auto, aveva sentito le bambine correre a salutarlo e adesso sentiva i singhiozzi smorzati di Katie. Erano passati quasi cinque mesi da quando Barnaby se n’era andato e Katie continuava a piangere ogni volta che lui arrivava o partiva. E, ogni volta, a Louise sembrava che una mano le stringesse il cuore finché un nuovo, doloroso senso di colpa le stringeva il petto.
Non le avevano sempre detto che i genitori facevano molto meglio a separarsi piuttosto che a restare insieme e litigare? In quelle terribili settimane intorno a Natale, quando le liti avevano raggiunto il culmine, quando le sue frustrazioni e i sospetti di Barnaby si erano riversati su qualunque cosa facessero, contaminando ogni gesto e dando a ogni osservazione all’apparenza innocua un doppio, ambiguo significato, si era convinta che la separazione, quando fosse arrivata, sarebbe stata un sollievo per tutti. Per lei e Barnaby di sicuro, ma anche per le bambine.
Il Larch Tree Cottage non era abbastanza grande per due genitori che urlavano e due figlie che dormivano. Più di una volta lei e Barnaby erano stati interrotti nel bel mezzo di un litigio da una piccola sagoma pallida in camicia da notte bianca, ferma sulla soglia della cucina. A quel punto si lanciavano occhiate accusatorie, adottavano subito un tono di voce carezzevole, offrivano bicchieri d’acqua e si rivolgevano allegri a Mr Orsacchiotto o Mrs Coniglietta. E poi, inevitabilmente, salivano tutti e due al piano di sopra con la bambina, quale che fosse delle due, in un’impacciata, finta vicinanza. Rimboccavano le coperte e uscivano dalla stanza in punta di piedi, come se fossero stati di nuovo la giovane coppia di sposi innamorati del loro primo figlio.
Per qualche minuto la finzione teneva. Scendevano la scala insieme in una nuvola di forzato buon umore, immagine perfetta dei genitori felici, affettuosi e soddisfatti. Ma al piano di sotto, in cucina, l’aria continuava a essere greve di battute maligne e sarcastiche non ancora dimenticate. I sorrisi svanivano. Barnaby borbottava qualcosa di incomprensibile a proposito di un salto al pub The George per una mezza pinta veloce e Louise riempiva la vasca e piangeva frustrata nell’acqua bollente e schiumosa. Quando il marito tornava, lei era già a letto. A volte fingeva di dormire, a volte lo aspettava seduta, dopo avere formulato nella mente esattamente ciò che intendeva dirgli. Ma lui evitava infastidito i suoi discorsi.
“Sono troppo stanco, Lou” diceva. “Domani sarà una giornata pesante. Non si può aspettare?”
“No, la mia vita non può aspettare” aveva sibilato una volta Louise. “Sono dieci anni che sta aspettando.” Ma Barnaby era già passato alla modalità automatica “non vedo, non penso, mi svesto e vado a letto”, e non le aveva neppure risposto. Louise lo aveva fissato con rabbia esasperata.
“Stammi a sentire!” aveva urlato, dimenticando le bambine, dimenticando tutto a parte il bisogno di comunicare. “Se tu mi amassi davvero, mi staresti a sentire!” E Barnaby aveva alzato gli occhi al cielo, sconcertato.
“Io ti amo” le aveva detto con voce risentita, piegando i pantaloni. “Lo sai che ti amo.” E poi aveva taciuto e distolto lo sguardo.
Anche Louise aveva distolto lo sguardo. Perché la verità era che sapeva che Barnaby l’amava. Ma sapere che Barnaby l’amava non le bastava più.
Katie era seduta sul ciglio erboso davanti al cottage, accanto a Barnaby che le teneva un braccio intorno alle spalle. La bambina aveva ancora qualche lieve sussulto, ma le lacrime si erano asciugate. All’altro fianco di Barnaby c’era Amelia: anche lei aveva un po’ voglia di piangere, ma si sentiva troppo grande per farlo.
«Così va meglio» disse Barnaby. Strinse entrambe le bambine a sé, con tanta forza da schiacciarne i visi contro la camicia. Dopo un momento Katie cominciò ad agitarsi.
«Non riesco a respirare!» ansimò dramm...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Begli amici!
  3. 1
  4. 2
  5. 3
  6. 4
  7. 5
  8. 6
  9. 7
  10. 8
  11. 9
  12. 10
  13. 11
  14. 12
  15. 13
  16. 14
  17. 15
  18. 16
  19. 17
  20. 18
  21. 19
  22. 20
  23. I romanzi di Madeleine Wickham nelle edizioni Mondadori
  24. Copyright