DA QUESTA PARTE C’È IL COBRA. VENITE AD AMMIRARE LE MERAVIGLIE D’ORIENTE!
Era il 1851 ed erano ad Hyde Park.
Dark si sentiva come un uomo resuscitato dai morti.
Gli piaceva tutto quel trambusto, i venditori di programmi e quelli di cartoline, i chioschi abusivi, i furfanti in foulard rosso, abili a ingannarti con la loro lingua sciolta. C’erano bari, prestigiatori, arie d’opera italiane, pittori d’insegne pronti a tracciare il tuo nome su una sgargiante copia del Crystal Palace. C’erano treni in miniatura con vagoni carichi di bambole e c’erano donne agghindate come bambole e tra loro c’era chi vendeva violette, chi focaccine, chi invece metteva in vendita il proprio corpo. C’erano venditori ambulanti, in piedi sugli scatoloni, che offrivano la loro merce, la migliore, la più bella, l’unica, e c’erano ragazze che camminavano sulle mani.
C’erano cavalli con pesanti bardature, che tiravano barili di birra, e un tipo con una pantera che decantava i Misteri dell’India; tutto questo mentre facevano la coda per entrare nel Crystal Palace ad ammirare le meraviglie dell’Impero.
Dark e la moglie erano in luna di miele anche se avevano dovuto rimandare il viaggio perché, subito dopo le nozze, Dark si era ammalato. Ora stava bene e, vestito in abiti talari, veniva ossequiato da tutti.
Poiché sua moglie era stanca – lei amava la vita tranquilla – Dark le procurò una sedia e andò a prendere due porzioni di pork pie e due limonate. Da quando la Regina era stata vista mangiare pork pie, quel piatto era diventato di moda: ricchi e poveri ora mangiavano pork pie.
Dopo aver pagato le consumazioni, Dark camminò tra la folla cercando di non far cadere il pasticcio e le bottiglie di limonata ancora tappate, quando all’improvviso sentì pronunciare il suo nome: «Babel».
La voce era sommessa ma lo fendette di netto come si fende la pietra sabbiata: una parte di lui si staccò e quel che rimase là sotto era un ammasso grezzo e informe.
«Molly» disse Dark, cercando di restare calmo, ma nella sua voce c’era una punta di fastidio. Molly indossava un abito verde, i rossi capelli raccolti in una treccia; in braccio teneva una bimba che allungò una mano per toccare la faccia di Dark.
Dark indugiò, incerto sul da farsi, con il suo carico di limonate e pies. «Vuoi sederti un attimo con me?» le disse infine.
Lei fece un cenno di assenso.
Si avviarono verso una fila di tavoli sotto un boschetto di palme portate dall’India, che a Londra facevano un effetto strano, elettrizzante: erano aliene quasi quanto una foresta primordiale. Sedettero su sedie di vimini mentre un cameriere indiano in turbante e fusciacca serviva Coronation Chicken a una famiglia di mercanti di Newcastle.
«Ma la bambina…?»
«Sta bene, Babel, ma è cieca.»
«Cieca?»
E lui tornò con il pensiero a quel terribile giorno in cui lei, debole e indifesa, era andata da lui e lui…
Aveva un altro amante, l’aveva sempre saputo. L’aveva vista mentre di notte si recava a passo veloce in una casa dall’altra parte della città . Indossava un mantello, il viso nascosto da un velo, per non farsi riconoscere.
Quando lei entrò, Dark, che si era appostato nei pressi della finestra, vide che ad accoglierla c’era un giovane. Lei gli aveva teso le braccia e i due si erano abbracciati. Dark aveva distolto lo sguardo mentre una sofferenza acuta gli trapassava il cervello. La paura era affondata come un’ancora nelle parti più sensibili del suo essere. Era la stessa paura che aveva visto fendere la nebbia a vele spiegate.
Era tornato in città ma sapeva che non sarebbe mai più riuscito a dormire. Da quel momento, di notte cominciò a vagare per la città . Il sonno era ormai un ricordo lontano.
Ricordava di aver riso a quel pensiero: se non fosse più riuscito a dormire sarebbe morto. Ma era già morto, inaridito e morto come una conchiglia scagliata sulla riva. Guardandosi allo specchio, si era paragonato a un’orecchia di mare priva del suo abitante, una conchiglia apprezzata solo per l’involucro. Gli era sempre piaciuto vestirsi bene.
Molly aveva notato il cambiamento avvenuto in lui. Cercava di compiacerlo e, a volte, lui riusciva a dimenticare ma poi, facendo l’amore, quando più si sentiva vulnerabile, tornava a sentire quella campana e avvertiva l’avvicinarsi della nave con le sue vele lacere.
Non le disse di averla pedinata, e la sera in cui si erano incontrati in una locanda chiamata L’inizio della fine, quando lei gli aveva confessato di essere incinta, lui l’aveva respinta, riattraversando di corsa la città per chiudersi in casa, avvolto nelle vele lacere.
Sulle pareti di casa c’erano i disegni del faro di Cape Wrath, eseguiti dalla mano dello stesso Stevenson: il faro sembrava una creatura viva, dritto sulla sua base come un cavalluccio marino, fragile, assurdo, ma trionfante tra le onde.
«Il mio cavalluccio marino» lo chiamava Molly, quando lui avanzava verso di lei nel loro letto simile a un oceano di annientamento e di desiderio.
La grotta e il cavalluccio marino. Era il loro gioco. L’acquatica mappa del mondo. Erano alle origini del mondo. Prima del diluvio.
Quel giorno si era presentata da lui timida e indifesa. Davanti al fuoco morente, lui era rimasto seduto immobile; lei l’aveva implorato e lui l’aveva schiaffeggiata, lasciandole sulle guance due segni rossi come carboni ardenti. Aveva infierito su di lei, picchiandola senza pietà , e lei aveva alzato le braccia per proteggersi e poi…
Molly interruppe il corso dei suoi pensieri.
«La caduta…»
Dark guardò la bambina che ridacchiava e cinguettava nel suo mondo di buio, le mani sul viso della madre, girando la testa per seguire i suoni. Ora comprendeva l’enormità del suo sbaglio e avrebbe dato la sua vita per infilare la mano nel tempo e riportarlo indietro.
«Farò tutto quello che vorrai. Tutto. Basta che tu me lo chieda.»
«Non abbiamo bisogno di nulla.»
«Molly, sono io il padre?»
«Lei non ha un padre.»
Molly si alzò per andarsene e Babel balzò in piedi per seguirla, rovesciando le bottiglie di limonata. Molly strinse a sé la bambina, che si zittì, percependo l’agitazione della madre.
«Lasciamela prendere in braccio.»
«Per sbatterla a terra?»
«Ho pensato a te ogni singolo giorno da quando me ne sono andato. E ho pensato alla creatura che avevi in grembo. A nostra figlia, se tu mi dici che è mia.»
«Te l’avevo detto.»
«Non avrei mai pensato di rivederti.»
«Nemmeno io.»
Lei s’interruppe e lui la ricordò com’era quella notte, la loro prima notte insieme, con la luna che splendeva bianca sulla sua bianca pelle. Le tese la mano ma lei indietreggiò.
«È troppo tardi, Babel.»
Sì, era troppo tardi, e la colpa era solo sua. Doveva andarsene, sua moglie lo stava aspettando. Doveva andarsene, al più presto, ma quando trasse un lungo respiro, pronto a lasciarla, si accorse che non ne aveva la forza. «Resta con me, oggi. Solo per oggi.»
Molly indugiò a lungo, mentre la gente li superava, e Dark, gli occhi fissi a terra, senza osare alzare lo sguardo, vedeva ombre riflesse nella lucida mascherina delle proprie scarpe.
Lei infine parlò e la sua voce gli giunse da molto lontano, come se provenisse dal suo paese natio.
«Va bene, solo per oggi.»
Babel si illuminò. Era lei a illuminarlo. Lui prese in braccio la bambina e la portò vicino ai motori per farle sentire il loro sibilo e il movimento costante delle ruote. Voleva che sentisse il pompare degli stantuffi, il tonfo del carbone che veniva buttato nella fornace, lo scroscio dell’acqua contro le pareti delle gigantesche caldaie di rame. Prese le minuscole dita della bimba e le fece scorrere sui rivetti di ottone, sui fumaioli di acciaio, sulle ruote dentate, sui nottolini, su un corno di gomma che strombettò quando lei lo schiacciò tra le manine, che Dark teneva strette tra le sue. Voleva creare per lei un mondo di suoni, altrettanto meraviglioso del mondo visibile.
Qualche ora dopo, vide un sorriso sul volto di Molly.
Si era fatto tardi, ormai. Il pubblico si dirigeva verso il palco della banda. Dark comprò alla bambina un orsetto a molla, di vera pelle d’orso. Gliene fece sentire la morbidezza, accostandoglielo alle guance, poi caricò la molla e l’orsetto batté le bacchette del tamburo che teneva fra le zampe.
Doveva andarsene, lo sapeva, ma erano ancora lì, insieme, incapaci di separarsi, mentre le comitive si dividevano per superarli. Molly aprì la borsa e gli diede un biglietto con il suo indirizzo di Bath.
Lo baciò sulla guancia e se ne andò.
Dark la guardò mentre si allontanava, come quando si guarda un uccello che si perde all’orizzonte, dopo averne seguito a lungo il volo.
Era sparita.
Troppo tardi, ormai. Ombre, bagliori di lampade a gas. La sua immagine riflessa in ogni vetro. Un solo Dark, cento, mille. Quest’uomo diviso.
Dark si ricordò della moglie.
Si fece strada lungo le gallerie per ritornare là dove l’aveva lasciata. Era ancora lì, le mani incrociate in grembo, il viso irrigidito in una maschera.
«Scusami» disse. «Sono stato trattenuto.»
«Per sei ore.»
«Sì.»
PEW, PERCHÉ MIA MADRE NON HA SPOSATO MIO PADRE?
Perché non ne ha avuto il tempo: nel giro di un attimo lui se ne era già andato.
Perché Babel Dark non ha sposato Molly?
Perché dubitava di lei. Non si deve mai dubitare della persona che si ama.
Ma potrebbe non dirti la verità .
Non importa. Basta che gliela dica tu.
Cosa intendi dire?
Tu non puoi giurare sulla sincerità di un altro, piccola, ma puoi giurare sulla tua.
Allora cosa dovrei dire?
Quando?
Quando sono innamorata?
Lo devi dire.
ESTRANEO ALLA PROPRIA VITA,
ma non qui, non al suo fianco.
Nella casa che aveva comprato per lei, con la bambina che aveva riconosciuto come propria, la sua bambina cieca, dai neri capelli e gli occhi azzurri come i suoi. L’amava.
Promise a se stesso che un giorno sarebbe rimasto per sempre con loro. Disse a Molly che quel che era cominciato come una penitenza si era trasformato in una responsabilità . Non poteva lasciare Salts, non ora, non ancora, ma presto, molto presto. E Molly, che l’aveva implorato di portarla con sé, si rassegnò quando lui le parlò della sua vita lassù, di come quel luogo fosse inadatto per far crescere la loro bambina e il secondo figlio che Molly ora portava in grembo.
Non le disse di avere una moglie a Salts, né di quel suo altro figlio marino che nel frattempo lì era nato, senza che lui quasi se ne accorgesse.
Aprile e novembre: i due mesi che passava con Molly. Sessanta giorni all’anno là dove trovava la vita, là dove trovava l’amore, dove il suo pianeta incrociava il calore del sole.
In aprile e in novembre arrivava da lei semicongelato, quasi incapace di parlare, spento in lui ogni anelito di vita. Entrato dalla porta, crollava a terra e lei lo portava vicino al fuoco e gli parlava a lungo, ore e ore, per evitare che perdesse conoscenza, che svenisse.
Quando la vedeva si sentiva svenire. Sapeva che era per via di quel subitaneo afflusso di sangue alla testa, per il fatto che davanti a lei si dimenticava di respirare. Sapeva che non era un sintomo grave ma sapeva anche che, vedendola, il suo corpo inaridito e paralizzato si rianimava all’improvviso, protendendosi verso il sole, verso la luce e il calore. Lei era luce e calore per lui, in qualsiasi mese dell’anno.
A dicembre e a maggio, quando era tempo di ripartire, lui conservava per un po’ dentro di sé quella luce, anche in assenza della fonte che la irradiava. Allontanandosi dalle lunghe giornate baciate dal sole, a stento si accorgeva che andavano accorciandosi, che le ombre della sera scendevano prima, che al mattino un velo di brina ricopriva il mondo.
Lei era un disco lucente che lui celava dentro di sé e che lo irradiava di sole. Lei era u...