La prima trance regressiva di Sara mi aveva particolarmente emozionato. Alcuni pazienti avevano descritto vite precedenti ambientate tra le magiche piramidi egizie o al cospetto del cosmico tempio del sole di Theotihuacan. Non mancavano nel mio archivio storico i bagliori della Rivoluzione francese, i supplizi della Santa Inquisizione, il digrignare di denti delle primitive tribù antropofaghe dell’Amazzonia.
Non mi era però mai capitato di leggere antichissime tavole di caratteri cuneiformi e di salire sulla ziqqurat della città di Ur. Anche durante gli anni scolastici i miei insegnanti avevano del tutto trascurato la civiltà dei Sumeri, come se questo nobile popolo fosse noioso ed eccessivamente mansueto. La storia è pervasa da cronache di guerre, di celebrazioni del potere che mal si sposano con l’indole armonica degli antichi abitanti della Mesopotamia.
Quando rividi Sara, mi colpì la sua sottile euforia. Le era certamente successo qualcosa di importante. Mi guardava imbarazzata e al contempo felice. Arrossendo, mi confessò che aveva conosciuto una persona.
«È successa una cosa abbastanza particolare. Ho portato il mio cane da un veterinario che mi è stato consigliato da un’amica. Sam è abbastanza in forma, a parte qualche allergia alimentare, e volevo fargli fare un controllo.»
«Un tagliando...» commentai ironicamente.
Sara rise divertita.
«E come mai sei così gioiosa? Dovresti pensare soltanto al tuo amichetto a quattro zampe e invece...»
«Per Sam sono tranquilla...»
«E allora come mai ti brillano gli occhi?»
Sara arrossì di nuovo e sorrise impacciata. Poi sospirò e tacque.
«Chi è?» domandai sibillino.
«È questo veterinario. Mi ha detto che mi aiuterà assolutamente e che farà di tutto per il mio cane.»
La ragazza rispondeva con il contagocce, ma non occorreva essere chiaroveggenti per comprendere che in lei si era acceso un forte sentimento. Alla fine mi confessò: «Nei giorni precedenti all’appuntamento fissato per Sam non riuscivo a comprendere perché fossi così agitata e al tempo stesso allegra. Sentivo che stava per accadere qualcosa di importante e avvertivo un piacevole terremoto sotto i piedi. L’ambulatorio era di fianco a una graziosa villettina e ho pensato immediatamente che il veterinario abitasse lì insieme a tanti animali. Ho suonato un minuto dopo l’orario dell’appuntamento e la porta si è aperta magicamente senza che comparisse nessuno. Mi sembrava di essere entrata in una specie di favola dove tutto pareva inverosimile. Stavo attendendo il mio turno seduta su una panchetta di legno, richiamando dolcemente Sam che tirava il guinzaglio un po’ nervosetto, dato che la visita precedente si stava prolungando. Quel luogo emanava un’energia leggera e benefica che mi rasserenava. Osservavo sulla parete l’immagine di un micino, che dormiva con il muso tra due cuscini. Mentre controllavo di aver spento il mio cellulare, si è aperta la porta. Non avevo capito se il veterinario guardasse così intensamente ogni persona come stava osservando me, oppure se qualcosa lo avesse colpito. Siamo rimasti come sorpresi per qualche secondo, per poi tornare in noi quando mi ha fatto accomodare. Mi ha dato l’impressione di essere una persona senza tempo, senza terra o provenienza. Forse era disceso in quell’ambulatorio dal cielo. È stato molto gentile e, anche se Sam era un po’ indisciplinato, ha saputo trattarlo con dolce fermezza. Alla fine della visita gli ha persino offerto un prelibato biscotto».
«E sei rimasta folgorata!»
«Mi ha colpito il suo sguardo, la profondità della sua anima, come se riuscissi a entrarci dentro. Mi è parso di riconoscerlo... ha gli occhi pieni di luce.»
Sussultai, non potendo fare a meno di collegare l’ultima frase con la stessa espressione che Mahab aveva pronunciato durante la trance. Pensai tra me e me che aveva già incontrato in ipnosi due occhi che le guardavano l’anima. Ora, stranamente, nella realtà uno sconosciuto le accendeva il cuore a distanza di due settimane. Namir, incontrato a Ur, non era per caso divenuto quel veterinario premuroso nei confronti del suo cane?
Non la misi al corrente degli eventi che non ricordava a causa dell’amnesia postipnotica. Evitai di svelare il sofferto allontanamento che aveva subito da bambina e la fuga che l’aveva condotta, stremata, davanti alla sorgente fresca di quegli occhi. Il mio riserbo dipendeva anche dal fatto che avevo l’opportunità, non svelando a Sara i particolari del suo viaggio, di verificare i dati che sgorgavano incontaminati dal suo inconscio. In questo caso dubitavo fermamente che potessero essere criptomnesie,* memorie latenti, rimosse in un secondo tempo. Cosa intendo? Si potrebbe pensare che un paziente, fruendo di fotogrammi filmici o storici, per esempio dei Romani o dei Conquistadores spagnoli, li riporti in trance confondendoli con reperti originali. Ciò inficerebbe completamente la tesi di una possibile reincarnazione, che è l’obiettivo primario a cui tendono gli oppositori di questa metodologia. Il mio atteggiamento nei confronti di un soggetto che si orienta alla trance è di assoluto rispetto. Non posso nemmeno lontanamente forzare la riemersione dei ricordi con frasi del tipo: «Potresti vedere delle piramidi?», oppure «Ti attirano i nativi americani?». Devo stare attento a non condizionare il paziente con artefatti, che provengono da me e non dalla profondità del suo oceano interiore.
Per quanto riguarda la misteriosa terra di Sumer, non mi risultava che le cronache grondassero di racconti e copioni fioriti dall’antica civiltà mesopotamica.
Pertanto, mantenendo quella bonaria censura, avevo la chance di sondare l’inconscio di Sara e al contempo di comprovare la credibilità dell’ipnosi regressiva.
L’incontro con il veterinario, a distanza di così pochi giorni dalla trance di Ur, mi parve una coincidenza non casuale, una precognizione, un sogno divenuto realtà, e ciò innalzò il mio interesse nei confronti di quel professionista.
La ragazza comprese la motivazione per cui non le rivelavo i contenuti emersi dall’ipnosi, ma ancora si sincerò: «Mi spieghi meglio, per favore, non ricordo nulla della trance, mi assicura che ho parlato senza saperlo?».
Le risposi affermativamente e le chiesi se volesse che filmassimo le sedute per documentare ogni attimo del suo percorso terapeutico. Accondiscese, ma l’imbarazzo che lessi sul suo viso mi consigliò di riprenderla protetta dalla quasi totale oscurità, almeno in questa iniziale fase di incontri. Molti soggetti traggono estremo beneficio nel rivedere le registrazioni delle trance profonde, velate dalla completa amnesia. Altri, i più timidi, si sentono a disagio sapendo che un occhio indiscreto scruta il loro inconscio.
Le domandai di parlarmi ancora del suo sentimento appena nato. Sara continuò a raccontare, con gli occhi aperti che andavano oltre il presente. Sembrava in leggero stato di trance, poi si riprese e mi disse: «Spero che l’incontro con lui non sia casuale. Il mio cuore pulsava forte, felice della sintonia, della gioia che provavo. Ero imbarazzata di fronte a un estraneo, che sentivo così intimamente vicino. Ho pensato: “Cavolo! E adesso cosa faccio?”. Mi sentivo dentro una specie di frullatore che non mi permetteva più di pensare».
Lo stordimento che la paziente aveva provato era tipico del colpo di fulmine. Era conscia di non riuscire a opporsi a una forza che la travolgeva. Si era accesa una trance del cuore, mentre restava affascinata da un’anima che la guardava e in cui rispecchiava la propria.
«Esisteva solo lui, il presente...» continuò. «Sono entrata in una dimensione magica dove non c’era più il mondo, non c’era più niente. Non è importante ciò che ci siamo detti, ma quello che abbiamo comunicato in silenzio. Credo di essere rimasta nell’ambulatorio dieci minuti o per sempre e ancora sono là. Ho percepito una specie di sospensione. I miei piedi non poggiavano più sul pavimento e non mi importava da dove venivo e dove andavo. C’era soltanto quell’attimo infinito.»
«Lo chiamano amore» commentai. «Credo sia l’unico modo con cui può iniziare. La luce non aspetta un mese, un anno per fendere il buio, ma si diffonde immediata. È una trance che ti fa sentire soltanto il presente, perché ogni altro momento viene immediatamente cancellato.»
«Sei di fronte all’amore» continuò Sara «e ti senti un subbuglio dentro. Non è che “sai” quella persona, ma “sei” quella persona. Non hai vissuto con lui per cinquant’anni, ma solo per pochi secondi e comunque lo conosci da sempre.»
«E supponi che anche lui abbia provato lo stesso sentimento?» le domandai.
«No, è una cosa soltanto mia... mi diceva la ragione, sarebbe troppo bello, ma il cuore ci credeva e batteva forte.»
«L’hai visto appena e sei sconvolta?»
«Sì, ma non direi sconvolta, piuttosto in estasi, come se anche le cose pesanti fossero scivolate via.»
«Ti ha per caso corteggiato, ti ha fatto dei complimenti?»
«No, affatto. Abbiamo parlato delle vaccinazioni che dovrà fare Sam. È stato molto professionale, quasi riservato.»
«Lo dovrai rivedere, spero...» commentai sottilmente malizioso.
«Mi ha dato un appuntamento tra dieci giorni.»
«Che strano! Ma il tuo cane non sta bene?»
«Sì, ma deve fare il richiamo per la filaria...»
«E magari hai una speranza di scoprire che sei corrisposta...»
«Non credo che avverrà, ma sono comunque felice di averlo incontrato. Mi piacerebbe che ogni tanto mi pensasse, anche se sono sicura che avrà una vita sua, forse una persona che lo ama. Un uomo di cinquantuno anni può avere anche dei figli grandi come me.»
«Non sai se è sposato, fidanzato?»
«No, l’unica certezza che ho è quello che provo io e mi basta.»
A questo punto le proposi una seconda trance per svelare i segreti di Mahab, che probabilmente era rimasta addormentata tra le braccia di Namir.
Era veramente un ottimo soggetto, tanto che mi chiesi se fossi stato io a indurla o se avesse fatto tutto da sola. Anche questa volta, infatti, dopo pochi minuti era in ipnosi profonda, già in grado di parlare. La facoltà di verbalizzare varia da persona a persona e a volte, pur raggiungendo un azzurro abisso, il paziente esita a comunicare. Lei invece, seppur rallentata, si esprimeva fluidamente e con molta facilità.
«Vorrei che ritornassi a Ur, in quella piazza, davanti al tempio dedicato al Dio Luna... C’è tanto caldo... Mahab... Mahab... prendi la sua mano. Dove state andando?»
Con un sussurro rispose: «Mi sento tanto chiusa... sono sola...».
«Come mai? Non sei felice di stare con Namir?»
«Non c’è più... mi sento soffocare.»
Il volto di Sara si contrasse e una smorfia di dolore la pervase. Si rannicchiò proteggendosi a fatica il volto. Ansimò con difficoltà, come se fosse costretta da una morsa che non le permetteva di ventilare.
«Dove sei?» le chiesi.
«Vedo solo buio e ho nel corpo una sensazione brutta... non sento più le gambe. Le mie braccia formicolano, mi bruciano...non riesco a respirare...»
«Cosa ti sta succedendo? Non sei più con Namir?»
«Sono in un posto stretto, non riesco a muovermi, sono incastrata da qualche parte, ma non capisco dove. Mi sto trattenendo tanto...»
«Da cosa?»
«Sto cercando di non urlare, di non perdere il controllo.» Sara tremava, percorsa da fremiti e sussulti.
«Dove ti hanno messa? In una prigione?» domandai ancora.
«È buio, è tutto buio, ho paura» singhiozzò sconsolata.
«Sono qui con te, non ti lascio sola» la rassicurai. «Chi ti ha messo lì?»
La ragazza si strinse in posizione fetale e tossì.
«Non riesci a muoverti? Cos’hai attorno?»
La paziente si sfregò freneticamente gli occhi come se le bruciassero e iniziò a grattarsi affondando le unghie nelle braccia, tanto che faticai a trattenerle le mani.
«Mi è entrato qualcosa in un occhio... un insetto mi ha punto...» affermò allarmata.
Si contrasse ancora e dovetti contenerla per paura che si facesse male. Era estremamente sofferente.
«Quanto è grande questo posto? Riesci ad alzarti in piedi?»
«Oddio che prurito!» esclamò senza rispondermi.
«Sei stata incarcerata? Sei in un tunnel, in un cunicolo?»
«Non posso muovermi, sono sdraiata e non riesco a uscire da qui.»
«Dimmi come sei finita in questo buio.»
«Non resisto, mi brucia tutta la pelle.»
«Non ricordi cos’è successo prima? Ti trovavi in una piazza al sole, mano nella mano con un uomo davanti a una ziqqurat e ora sei imprigionata. Perché? Dove ti hanno gettata?»
«È tutto umido qui, qualcosa mi si è avvinghiato attorno al braccio, mi sta mordendo, mi brucia tutto. Affondo le mani in una fanghiglia viscida...»
Sara cercò di sollevare il capo con alcuni sofferti tentativi e poi disse: «Ho sbattuto la testa, mi fa male... la parete è appena sopra di me. Ho bisogno di spazio, non ce la faccio più, devo urlare. Sto impazzendo, devo uscire, devo uscire di qui. Mi sforzo di trattenermi, di stare calma».
Iniziò a piangere disperata e, mentre la stavo esortando a uscire da quel tormento, interruppe spontaneamente la trance. Al risveglio era molto affaticata e la lasciai riposare per alcuni minuti. Non era consapevole di quanto accaduto nel tempo intraipnotico e decisi nuovamente di non svelarle nulla per non preoccuparla. Non sembrava una prigione quel luogo angusto nel quale aveva patito un’insostenibile sofferenza. Avevo in mente un loculo, un anfratto stretto e buio nel quale era forse stata incarcerata da qualcuno. Si trattava di una muratura a vita? Di una condanna a morte in una putrida fo...