Un amore al mirtillo
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Un amore al mirtillo

  1. 300 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Un amore al mirtillo

Informazioni su questo libro

Quando Ruth, la sua adorata nonna, le chie­de di realizzare il suo ultimo desiderio prima di morire, Ellen Branford, giovane avvocato in carriera di New York, non esita un solo istante ad accettare e si mette subito in viaggio per esaudirlo: deve recapitare una lettera di Ruth al suo primo amore nella cittadina di Beacon, nel Maine, patria dei campi di mirtilli. Il giorno del suo arrivo, Ellen cade in acqua mentre sta facendo delle foto su un pontile e viene salvata da Roy, un affascinante sconosciuto che lei, presa dall'enfasi del momento, ringrazia baciandolo con passione. Il giorno dopo, la foto del bacio è sulle pagine di tutti i quotidiani del posto ed Ellen diventa una piccola celebrità locale. Lei, che tra l'altro è a un passo dal matrimonio con Hayden, un giovane di ottima famiglia, non sa che pesci pigliare, e tutte le sue certezze e la sua vita preordinata cominciano a vacillare. La gentilezza degli abitanti del luogo, i ritmi piacevoli della provincia e il delizioso cibo le fanno ben presto dimenticare la vita fatta di apparenze che conduceva a New York. Quando Hayden si presenta a Beacon, Ellen non può più mentire a se stessa e deve affrontare l'attrazione sempre più forte che prova per Roy e capire cosa vuole veramente per sé. Hayden o Roy? New York o Beacon? La risposta è tutta in un irresistibile muffin ai mirtilli.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804641612
eBook ISBN
9788852051449

1

UN FREDDO BENVENUTO

«Non si muova, è pericoloso!»
Sentii qualcuno che urlava, ma era troppo tardi. Le tavole del pontile si piegarono e poi cedettero. Il legno marcio si spezzò scheggiandosi e io sprofondai per tre metri nel gelido oceano del Maine.
Forse c’era stato un momento in cui avrei potuto intravedere l’uomo che correva sul pontile, gridando di fermarmi. Se soltanto mi fossi voltata di venti gradi alla mia destra, l’avrei notato mentre attraversava la spiaggia di corsa per raggiungere il pontile agitando le braccia. Ma avevo un occhio fisso nel mirino della mia Nikon e stavo zoomando su un punto dall’altra parte della costa: la statua di una donna con un abito a balze che teneva in mano quello che sembrava un cesto d’uva.
Mentre mi sforzavo di risalire in superficie muovendo convulsamente braccia e gambe, con il cuore che mi martellava nel petto e i denti che battevano per il freddo, mi resi conto che qualcosa mi stava spingendo al largo, e anche piuttosto in fretta. Una forte corrente mi faceva girare su me stessa allontanandomi dal pontile. Tornai a galla tossendo, in mezzo a un mare agitato, schiumoso, pieno di sabbia. Continuavo a sentirmi trascinare, sempre più lontano dal molo e dalla spiaggia, mentre le onde mi colpivano riempiendomi la bocca e il naso di acqua salata. Cominciavo a sentire braccia e gambe intorpidite e non riuscivo a smettere di tremare. Come poteva l’oceano essere così freddo alla fine di giugno?
Cercai di nuotare controcorrente, impegnandomi nel mio stile libero migliore, muovendo le gambe più forte che potevo e spingendo via l’acqua finché gli arti mi fecero male. La corrente, rapida, mi attirava verso il punto in cui il fondale era più profondo.
“Eri un’ottima nuotatrice quando studiavi a Exeter” mi sforzai di ricordare a me stessa. “Sei in grado di tornare a riva.” La vocina nella mia testa cercava di infondermi fiducia, ma non funzionava. Il panico dilagò fino alla punta delle dita. Erano cambiate tante cose da allora. Avevo passato troppo tempo seduta alla scrivania a occuparmi di pratiche legali e acquisizioni, tempo che non avevo certo dedicato al nuoto a farfalla.
D’improvviso la corrente che mi aveva catturato si placò. Ero circondata da cumuli di acqua nera e onde con creste bianche e schiumose. Davanti a me si stendeva l’oceano aperto, scuro e infinito. Mi voltai e per un istante non riuscii a vedere niente se non altre montagne d’acqua. Poi fui sospinta in alto da un cavallone e mi apparvero il pontile e la spiaggia, piccoli e lontani. Ripresi a nuotare, puntando verso la riva. Respiro, bracciata, respiro, bracciata. Era faticoso e sentivo le gambe pesanti. Non volevano più saperne di sbattere. Erano semplicemente troppo stanche.
Mi fermai e cercai di tenermi a galla, ma avevo le braccia così esauste che quasi mi veniva da piangere. Sentii un dolore acuto al mento e quando mi toccai il viso mi ritrovai del sangue sulle dita. Mi ero tagliata con qualcosa, forse durante la caduta.
La caduta. Non sapevo neppure come fosse successo. Volevo soltanto vedere la città dal mare come doveva averla vista mia nonna quando era vissuta qui, negli anni Quaranta. Avevo attraversato la spiaggia, avevo aperto un cancello ed ero andata sul molo. Mancavano delle assi e parte del parapetto, ma tutto era sembrato andare bene finché non avevo messo i piedi su una tavola un po’ troppo cedevole. Avevo quasi l’impressione di precipitare di nuovo in caduta libera.
Un’onda mi schiaffeggiò e inghiottii una boccata d’acqua. Sentii la Nikon attorcigliarsi intorno a me e mi resi conto di averla ancora appesa al collo, come una pietra che mi trascinava sotto. Non avrebbe più funzionato. Lo sapevo. Con la mano che tremava, me la sfilai sollevando la tracolla sopra la testa.
Mi balenò in mente il ricordo del mio ultimo compleanno. Una cena nel Mayfair di Londra con il mio fidanzato, Hayden, che mi consegnava un pacchetto avvolto in una carta argentata e accompagnato da un biglietto che diceva: “Buon trentacinquesimo compleanno, Ellen. Spero che questo regalo renda giustizia al tuo straordinario talento”. Dentro la scatola c’era la Nikon.
Aprii la mano e lasciai scivolare la cinghia fra le dita. Vidi la macchina fotografica che sprofondava nel buio e mi sentii spezzare il cuore quando la immaginai in fondo all’oceano.
E poi cominciai a pensare che non ce l’avrei fatta. Che avevo troppo freddo ed ero troppo stanca. Chiusi gli occhi e lasciai che l’oscurità mi avvolgesse. Sentivo lo sciabordio dell’oceano tutt’intorno a me. Pensai a mia madre e a quanto sarebbe stato terribile non rivederla più. Come avrebbe affrontato la perdita di due persone care ad appena una settimana di distanza, prima mia nonna e poi me?
Pensai a Hayden, cui quella mattina, prima di partire, avevo assicurato che sarei rimasta a Beacon soltanto una notte, due al massimo. Mi aveva chiesto di aspettare una settimana, in modo da potermi accompagnare, ma io avevo rifiutato ripetendo che sarebbe stata una visita veloce. Niente di impegnativo. “È solo martedì” gli avevo detto. “Sarò di ritorno a Manhattan già domani.” E ora, appena tre mesi prima del nostro matrimonio, Hayden avrebbe scoperto che non sarei tornata.
Sentivo che stavo perdendo le forze e lasciai che l’acqua avesse la meglio su di me. Provai un’intensa sensazione di pace. Mi attraversò la mente l’immagine di mia nonna nel suo roseto, con in mano un paio di cesoie da giardiniere. Mi sorrideva.
Sbalordita, aprii gli occhi. Attraverso montagne scure di acqua turbinosa riuscii a scorgere il pontile e notai qualcosa – anzi, qualcuno – all’estremità. Vidi un uomo che si tuffava. Quando riemerse, iniziò a nuotare velocemente nella mia direzione. Vedevo le sue braccia schizzare fra le onde.
“Sta venendo da me” pensai. “Grazie a Dio, sta venendo da me. C’è qualcun altro qui, e sta venendo ad aiutarmi.” Un angolino del mio cuore cominciò a scaldarsi. Costrinsi le gambe a muoversi con un po’ più di energia e i muscoli cominciarono a rimettersi in movimento. Agitai un braccio nel tentativo di segnalare dove mi trovavo.
Guardai l’uomo avvicinarsi mentre i miei denti battevano così forte che riuscivo a stento a respirare. Non avevo mai visto un nuotatore così vigoroso. Trattava le onde con disinvolta padronanza. Finalmente fu abbastanza vicino perché lo sentissi. «Resista!» urlò ansimando, il viso rosso per lo sforzo e i capelli scuri lisciati dall’acqua. Nel tempo in cui mi raggiunse, le mie gambe avevano ceduto e stavo galleggiando sulla schiena.
«La porterò a riva» disse. Prese fiato un paio di volte. «Faccia come le dico e non si aggrappi a me, altrimenti andremo a fondo tutti e due.»
Sapevo benissimo che non avrei dovuto appendermi a lui, anche se non mi ero mai resa conto di quanto fosse facile cadere in questo errore quando si sta per annegare. Annuii per confermare che avevo capito. Eravamo l’uno di fronte all’altra e stavamo a galla in posizione verticale, muovendo solo le gambe. Lo guardai, e tutto ciò che vidi furono i suoi occhi. Aveva dei meravigliosi occhi azzurri, di un azzurro chiaro, quasi trasparente, come un’acquamarina.
E poi, d’improvviso, nonostante fossi esausta, mi sentii sopraffatta dalla vergogna. Non ero mai stata brava ad accettare aiuto dagli altri e, per qualche strano principio la cosa era inversamente proporzionale, più estrema era la situazione, più trovavo imbarazzante farmi aiutare. Mia madre diceva sempre che era colpa di quel vecchio ceppo yankee da cui discendevamo. Secondo Hayden, invece, era soltanto una ridicola questione di orgoglio.
Sapevo solo che in quel momento mi sentivo un’idiota. Una fanciulla in difficoltà che si schiantava giù da un molo e veniva trascinata via dalla corrente, incapace di tornare a riva, incapace di prendersi cura di se stessa.
«Ce la faccio a... tornare indietro» dissi con le labbra tremanti mentre un’ondata mi sbatteva sul viso. «Nuotando accanto a lei» aggiunsi, le gambe pesavano come mattoni di cemento.
L’uomo scosse la testa. «No. Non è una buona idea. Siamo in una corrente di risacca.»
«Ero... nella squadra di nuoto» riuscii a dire mentre venivamo sospinti in alto, trasportati da un’onda lunga. La mia voce stava diventando rauca. «Al liceo.» Tossii. «Exeter. Siamo arrivati... ai campionati nazionali.»
Il mio soccorritore era così vicino che il suo braccio mi sfiorò la coscia. «Ci penso io a nuotare.» Inspirò profondamente. «Lei faccia come le dico. Mi chiamo Roy.»
«Io sono Ellen» dissi annaspando.
«Ellen, appoggi le mani sulle mie spalle.»
Erano ampie. Il tipo di spalle che sembravano frutto di un’abitudine a lavorare sodo, più che di un allenamento sportivo. Mi diede una rapida occhiata.
“No, non lo farò” pensai mentre continuavo a muovere le mani intorpidite nell’acqua. “Rientrerò da sola. Ora che so di avere qualcuno accanto, posso farcela.” «Grazie» dissi «ma posso cavarmela, se soltanto...»
«Appoggi le mani sulle mie spalle» ripeté alzando la voce. Questa volta non avevo scelta.
Obbedii al suo ordine.
«Ora si distenda sulla schiena. Tenga le braccia tese. Divarichi le gambe e rimanga così. Nuoto io.»
Conoscevo quella tecnica – la presa del nuotatore stanco – ma non mi ero mai trovata nella condizione di essere soccorsa. Mi adagiai sul dorso, con i capelli che si aprivano a ventaglio intorno alla testa. Avvertii un tiepido tocco di sole sul viso. Seguivamo il movimento delle onde, i nostri corpi sospesi, mentre fluttuavamo in alto, sulle creste.
Roy si posizionò sopra di me e io allacciai le gambe intorno ai suoi fianchi, come mi aveva raccomandato. Si mise a nuotare a rana tenendo la testa fuori dall’acqua e riuscimmo a stare a galla. Cominciai a rilassarmi mentre mi lasciavo trainare. La mia testa era premuta contro il suo petto. Chiusi gli occhi e sentii i suoi muscoli contrarsi sotto la camicia a ogni bracciata. Aveva gambe lunghe e potenti che calciavano come motori fuoribordo tra le mie. La sua pelle sapeva di sale e di alghe.
Sentivo lo sciacquio di ogni bracciata che fendeva l’acqua e avvertivo il calore del suo corpo. Aprii gli occhi e vidi che ci stavamo muovendo parallelamente alla spiaggia. Mi resi conto di quanto era accaduto. Ero stata trascinata da una corrente di risacca e, presa dal panico, non me n’ero accorta. E perciò avevo trascurato la regola più importante in questi casi: non bisogna cercare di contrastare la corrente, ma piuttosto aggirarla seguendo una traiettoria parallela alla riva, e poi tornare verso terra.
Poco dopo ci voltammo e cominciammo a puntare in direzione della spiaggia. Intravidi un gruppo di persone sulla battigia. “Ci siamo quasi” pensai, pervasa da un senso di sollievo. Non vedevo l’ora di sentire la terra sotto i piedi, di sapere che avevo smesso di andare alla deriva in mezzo all’oscurità.
Quando l’acqua fu abbastanza bassa da consentirgli di stare in piedi, Roy mi sollevò e mi aiutò a riprendere l’equilibrio cingendomi con entrambe le braccia. Ansimava. A giudicare dal punto in cui la mia testa poggiava sul suo petto, doveva essere alto almeno un metro e novanta, un buon venti centimetri più di me.
«Qui si tocca» disse, con i capelli gocciolanti.
Mi scostai delicatamente, prendendo le sue mani quando me le offrì. Misi giù i piedi e mi raddrizzai nell’acqua che mi arrivava al petto. Era meraviglioso toccare la sabbia, essere di nuovo ancorata alla terraferma. Alle mie spalle, l’oceano vorticava e sprofondava nell’oscurità, ma a pochi passi da me la spiaggia brillava come una nuova promessa sotto il sole del tardo pomeriggio. Sentii i muscoli rilassarsi e, per un attimo, smisi di aver freddo. Avvertii soltanto il brivido di trovarmi connessa al mondo intorno a me. “Sono ancora qui” pensai. “Sono salva, sono viva.”
Dentro di me cominciò a crescere una sensazione di vertigine e scoppiai a ridere. Lasciando andare le mani di Roy, iniziai a girare su me stessa come una ballerina stordita. Ridevo, roteavo e agitavo le braccia, sotto lo sguardo perplesso di Roy. Mi chiesi se pensasse che avevo perso la ragione. Non mi importava. Ero tornata a sentire la terra sotto i piedi dopo aver sperimentato il vuoto del mare aperto e non esisteva niente al mondo che fosse bello come quel momento.
Mi avvicinai a Roy e lo guardai negli occhi. Poi gli gettai le braccia al collo e lo baciai. Un bacio per avermi salvato la vita, un bacio che veniva da una parte di me di cui non conoscevo l’esistenza. E lui lo ricambiò. Le sue calde labbra avevano il sapore del mare, le sue braccia, forti e sicure, mi tenevano stretta come se entrambi fossimo sul punto di annegare. Volevo soltanto perdermi in quell’abbraccio. E poi, rendendomi conto di ciò che avevo fatto, mi ritrassi di colpo.
«Mi dispiace» dissi boccheggiando, improvvisamente consapevole di tutta la gente che stava a guardare. «Io... io devo andare.» Mi voltai e cominciai a camminare nell’acqua più veloce che potevo per raggiungere la spiaggia. Rabbrividivo negli abiti inzuppati, con gli occhi che pungevano per il sale, e l’imbarazzo che avevo provato poco prima non era nulla se paragonato a quello che provavo adesso. Non sapevo che cosa mi era preso, che cosa mi aveva spinto a baciare quell’uomo.
«Ellen, aspetti un attimo» gridò Roy mentre mi raggiungeva. Cercò di afferrarmi la mano, ma io sfuggii alla sua presa e continuai a farmi strada nell’acqua. “Fai finta che non sia successo niente” mi dissi. “Non è successo niente.”
Dalla spiaggia ci corsero incontro due uomini in jeans. Uno indossava una T-shirt gialla, l’altro portava un berretto da baseball dei Boston Red Sox e una cintura degli attrezzi in vita, con una livella che ondeggiava avanti e indietro mentre entrava in acqua.
«Roy, tutto okay? La donna sta bene?» chiese l’uomo con la T-shirt gialla mentre mi aiutava a raggiungere la riva.
«Sì, penso che stia bene» disse Roy uscendo faticosamente dall’acqua con i jeans appiccicati alle gambe.
Il tizio con il berretto dei Boston...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Un amore al mirtillo
  3. 1. UN FREDDO BENVENUTO
  4. 2. LA LETTERA
  5. 3. BOMBARDAMENTO MEDIATICO
  6. 4. UNA FOTO VALE PIÙ DI MILLE PAROLE
  7. 5. UN POSTICINO TRANQUILLO DOVE CENARE
  8. 6. LA RAGAZZA DI CITTÀ SI SCATENA
  9. 7. LA CASA IN COMSTOCK DRIVE
  10. 8. IN VIAGGIO VERSO NORD
  11. 9. MR CUMMINGS
  12. 10. LA BIBLIOTECA
  13. 11. LILA
  14. 12. LA BATTAGLIA DEI GALLI
  15. 13. MAI INIMICARSI I MEDIA
  16. 14. KENLYN FARM
  17. 15. SUGAR
  18. 16. PROPRIO COME CICI BAKER
  19. 17. CHET
  20. 18. RITORNO ALL’ANTLER
  21. 19. CONFESSIONE
  22. 20. BENVENUTA A CASA, NUOTATRICE
  23. Epilogo. UN ANNO DOPO
  24. RINGRAZIAMENTI
  25. Copyright