La morte tra le righe
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La morte tra le righe

  1. 456 pagine
  2. Italian
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La morte tra le righe

Informazioni su questo libro

Barcellona, 1952. Quando viene trovato il corpo senza vita di Mariona Sobrerroca, figura di spicco dei salotti della borghesia barcellonese, Isidro Castro, ispettore della Brigata investigativa criminale, riceve l'ordine di chiudere velocemente il caso in vista dell'imminente Congresso eucaristico. Ana Martí Noguer, giovane giornalista di cronaca rosa de "La Vanguardia" chiamata a occuparsi della notizia, si ritrova ben presto ad affiancare Castro, che ha bisogno delle sue conoscenze nell'alta società per portare a termine le indagini. Ana, però, non crede alla versione ufficiale dei fatti e comincia a seguire una pista alternativa che la porta a scoprire alcune misteriose lettere indirizzate alla vittima. Per decifrarle ricorre all'aiuto della cugina Beatriz, eminente filologa e donna di grande cultura: quella che all'inizio sembra una normale consulenza linguistica porta invece alla luce una serie di rivelazioni scottanti che vedono implicate le personalità più influenti della società barcellonese... Attraverso le voci di poliziotti, professori universitari, giornalisti, ladri e prostitute, Rosa Ribas e Sabine Hofmann tratteggiano con grande aderenza alla verità storica le differenze sociali che spaccarono la Spagna dopo la Guerra Civile, consegnandoci un formidabile ritratto in bianco e nero di una Barcellona schiacciata sotto l'opprimente regime di Franco. In questo ambiente ostile, fatto di freddi funzionari e politici corrotti, prende vita un'entusiasmante storia di suspense in cui le protagoniste sono due donne irresistibili, dotate di una carica di simpatia esplosiva. Ana e Beatriz si opporranno tenacemente al tentativo del regime di occultare le verità più scomode: la loro intelligenza, squisitamente femminile, unita alle conoscenze linguistiche e letterarie, sarà l'unica vera arma per la risoluzione del caso.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804638704
eBook ISBN
9788852052187

1

«Hanno assassinato Mariona Sobrerroca.»
Goyanes parlava in tono neutro, professionale, come sempre. Joaquín Grau spostò nell’altra mano la cornetta del telefono per potersi massaggiare la tempia destra. Il mal di testa che lo tormentava da quando si era alzato aveva avuto un picco improvviso nel momento in cui il commissario gli aveva comunicato la notizia. Ignara di quell’effetto, la voce all’altro capo del filo continuava a parlare.
«L’ha trovata morta stamattina la domestica, di ritorno dal fine settimana con la famiglia a Manresa. La casa era sottosopra, probabilmente un furto.»
Il mal di testa si fece più intenso. Grau allungò il braccio verso il bicchiere d’acqua che la sua segretaria gli aveva lasciato sulla scrivania, poi prese una bustina di analgesico e l’aprì strappandola con i denti. Versò il contenuto nell’acqua e lo mescolò con il cucchiaino senza fare rumore. Lo bevve d’un sorso e poi interruppe l’interlocutore:
«A chi è affidato il caso?»
«L’ho dato a Burguillos.»
«No. Non mi convince.»
Dall’altra parte dell’apparecchio si udì sbuffare. Grau lo ignorò e ordinò:
«Voglio che se ne occupi Castro.»
«Castro?»
«Sì, Castro. È il migliore che avete.»
Goyanes non poteva che convenirne.
«D’accordo» concesse, ma il suo disappunto era palpabile.
Il procuratore reagì con irritazione.
«E mi aspetto risultati al più presto. Tra un mese qui si celebra il Congresso eucaristico e voglio la città pulita. È chiaro?»
«Chiarissimo.»
Dopo aver riagganciato, analizzò la telefonata. Aveva preso la decisione giusta. Castro era uno degli ispettori più in gamba della Brigata investigativa criminale, la BIC, per non dire il migliore. Ed era assolutamente leale verso di lui. Di Goyanes invece non era così sicuro perché, anche se il commissario della BIC gli aveva dimostrato ancora una volta la dovuta sudditanza, da un po’ di tempo Grau non era sicuro di potersi fidare di lui né dei suoi uomini più vicini, come l’ispettore Burguillos.
Il suo incarico nella Procura per il momento non era a rischio. Per il momento. Ma era consapevole di avere molti nemici. Astuti, per di più. Sapeva che erano in grado di aspettare nascosti nell’ombra finché non si fosse presentata un’occasione propizia. Doveva stare attento. Goyanes obbediva, ma gli era parso più distante del solito. O era frutto della sua immaginazione? Doveva stare in guardia, come sempre. Il leone che attacca per primo in genere esce vincitore.
Implacabile, così gli piaceva definirsi. Come in guerra, quando era giudice militare, ruolo in cui si era distinto per capacità e prontezza al momento di emettere sentenze di morte. Per questo, dopo la guerra, quando il regime aveva designato persone di fiducia per la nuova amministrazione di giustizia, era stato nominato procuratore a Barcellona. Il lavoro cominciato in guerra non era finito, restava ancora molto da fare. Lui continuava a dimostrarsi implacabile.
Si appoggiò allo schienale della sedia e osservò la pila di lettere sulla scrivania. Non aveva mai permesso alla segretaria di aprirle, come del resto non aveva mai dato adito alla minima confidenza. Benché lui fosse bene informato su chi era la persona al suo servizio, lei non sapeva assolutamente niente che non dovesse sapere sul suo capo. Né lei né nessun altro. Non aveva mai capito la necessità delle persone di raccontare fatti personali agli altri, di scoprire gratuitamente il fianco all’attacco del nemico.
Continuava a fissare le buste intatte. Provava ancora un leggero malessere nel trovare la corrispondenza quotidiana sulla scrivania. Dopo lo sciopero degli utenti dei tram nella primavera dell’anno precedente, per diverse settimane aveva aperto le lettere con un certo timore. Il boicottaggio da parte della popolazione per il rialzo del prezzo dei biglietti del trasporto pubblico e lo sciopero generale che ne era seguito avevano fatto cadere molte teste. Innanzitutto, quella del governatore della Provincia di Barcellona, a cui era seguita immediatamente quella del sindaco. Due funzionari della Falange erano finiti in carcere per non essersi dimostrati troppo entusiasti nel mandare le loro unità a riempire i tram per porre fine allo sciopero. Anche altri falangisti della vecchia guardia avevano perso il posto. Nessuno poteva essere certo di conservare il proprio incarico.
Prese una lettera a caso, una busta dall’aspetto pregiato che strappò con un colpo secco del tagliacarte dall’impugnatura di acciaio. Era l’invito a un ricevimento ufficiale. Naturalmente ci sarebbe andato, anche solo per non lasciare spazio a pettegolezzi e intrighi alle sue spalle. Sì, stava in guardia.
E adesso l’omicidio della Sobrerroca. Mariona Sobrerroca morta. Aveva conosciuto e frequentato lei e suo marito, il defunto dottor Jerónimo Garmendia, in occasione di eventi sociali. Com’è ironica la vita! In due anni, la magnifica villa sul Tibidabo era rimasta disabitata. La falce della morte li aveva raggiunti così in fretta. “Sto diventando malinconico” pensò. “Non va bene, malinconia e mal di testa sono un pessimo connubio.” Per entrambi c’era un’unica soluzione, mantenere il sangue freddo. La morte di Mariona Sobrerroca era soltanto lavoro, un caso come un altro, un’indagine della polizia. Però significava anche ficcare il naso tra la borghesia barcellonese, il che, in un certo senso, poteva rivelarsi complicato. Chissà cosa avrebbero scoperto... Ogni volta che si conduceva un’indagine approfondita, venivano a galla schifezze. Era come lavorare nelle fogne, si finiva sempre per tirare fuori merda. E a quella gente, come a chiunque altro, non piaceva che si frugasse nelle loro latrine. Poi, visto che erano molto ammanicati, bisognava trattarli con i guanti, perché andavano subito a lamentarsi e, soprattutto, sapevano a chi rivolgersi. Inoltre c’era da sperare che i risultati delle indagini fossero soddisfacenti. Probabilmente, come altre volte, sarebbe stato necessario insabbiare un paio di cose, e non era affatto sicuro che una faccenda del genere gli avrebbe portato una visibilità pubblica rilevante.
O invece sì?
Prese il telefono e compose il numero di Goyanes.
Andò subito al sodo, senza preamboli:
«Voglio che questo caso riceva un trattamento prioritario sulla stampa.»
«Perché?»
«Perché è importante mostrare al mondo che in questo paese i crimini sono perseguiti e puniti in modo esemplare.»
Che Goyanes credesse o meno a quelle frasi da discorso ufficiale, non gli importava. Grau sapeva che avevano il vantaggio di essere inconfutabili.
«Cosa intende con prioritario?» si informò il commissario.
«Che daremo il caso in esclusiva a un giornale, “La Vanguardia”.»
«Perché proprio a loro? Ricorda cos’è successo con le informazioni sul caso Broto...»
«Certo, ma questa volta, come unica fonte ufficiale, non potranno fare speculazioni.»
La conversazione fu ancora più breve della precedente, poi Grau appoggiò la testa allo schienale e chiuse gli occhi con la speranza di alleviare un po’ il dolore, che adesso si faceva sentire con una pulsazione nelle orecchie.
D’altronde, si disse, recuperando il filo dei suoi pensieri interrotti per telefonare al commissario, era molto probabile che grazie alle indagini gli arrivasse qualche informazione interessante, che si sarebbe premurato di tenere da parte per usarla al momento opportuno. Forse sarebbe perfino riuscito a ottenere informazioni che potevano aiutarlo a risolvere certi suoi piccoli problemi.
Cominciò a sentire un leggero sollievo.

2

Alle nove del mattino, mentre osservava con sguardo assonnato la tazzina del caffè mezza vuota, Ana Martí sentì il telefono sulle scale. L’apparecchio si trovava in un vano, sotto la prima rampa, dentro una cassetta con una porticina a rete chiusa con un lucchetto. La chiave l’avevano solo Teresina Sauret, la portinaia, e i Serrahima, gli inquilini del piano nobile, proprietari dell’edificio. Quando il telefono squillava, la portinaia andava a rispondere e poi si premurava di avvisare l’inquilino a cui era indirizzata la chiamata. Ma solamente quando ne aveva voglia. L’ansia di ricevere mance o le gratifiche natalizie, spesso generose, la spronavano a salire le scale.
Quel giorno, sicuramente, l’opportunità di chiedere ad Ana i due mesi di affitto arretrato conferì maggiore agilità alle sue gambe e, poco dopo che il suono stridente dell’apparecchio l’aveva fatta uscire dal suo appartamento, Teresina Sauret era già salita al terzo piano, il quarto, considerando anche quello nobile, e bussava alla porta.
«Signorina Martí, telefono.»
Ana aprì. Teresina Sauret, piantata sulla soglia, le bloccava l’uscita. Dallo spazio che non occupava il suo corpo tracagnotto imbacuccato in una vestaglia di felpa entrò un’aria fredda e umida. Ana allungò una mano per prendere il soprabito, nel caso la telefonata si fosse prolungata, e le chiavi per chiudere e impedire gli sguardi curiosi della portinaia. Lei forse pensò che cercasse i soldi e si fece da parte. Ana approfittò del varco per uscire dall’appartamento e chiudersi la porta alle spalle. Lasciò Teresina Sauret con la faccia all’altezza dello spioncino di bronzo rotondo come un oblò. Quelli delle altre tre porte brillavano alla luce della lampadina spoglia che pendeva dal soffitto del pianerottolo. Non c’erano lampadari nei corridoi dei piani in affitto, solo all’ingresso del palazzo e al piano nobile, per le visite dei Serrahima; il fatto che gli inquilini degli appartamenti in affitto non li avessero e quello che potevano pensare non importava ai padroni di casa.
Teresina Sauret biascicò qualcosa, con ogni probabilità niente di bello né di gradevole, e comunque a lei, alla morosa, sarebbe bastato captare il tono per cogliere il messaggio.
Nel frattempo, Ana scese di corsa le scale, raggiunse il vano e sollevò la pesante cornetta di bachelite che la portinaia aveva lasciato appoggiata sulla cassetta.
«Pronto?»
«Aneta?»
Era Mateo Sanvisens, caporedattore della “Vanguardia”.
«Conosci Mariona Sobrerroca?»
Erano ormai due anni che scriveva pezzi di cronaca mondana, doveva conoscerla per forza. Vedova di un insigne medico, discendente da un antico lignaggio catalano, era tra gli ospiti fissi di tutte le feste importanti della città.
«Ma certo» rispose.
Nel frattempo, Teresina Sauret aveva cominciato a scendere le scale, a rilento, per cercare di origliare parte della conversazione. I passi si avvicinavano con lentezza esasperante.
«In realtà è più corretto dire che la conoscevi.»
«Perché?»
«È morta.»
«E ti serve il necrologio per domani...»
Mentalmente aveva già cominciato a scrivere: “Ci ha lasciato l’illustre Mariona Sobrerroca i Salvat, vedova Garmendia, grande benefattrice di...”. Sanvisens le strappò via di colpo la macchina per scrivere dalla testa.
«Aneta, tesoro, sei scema o ti sei istupidita a forza di andare a teatro? Credi che ti telefonerei io per un necrologio?»
Era ormai abbastanza tempo che faceva il negro al giornale da sapere quando non bisognava rispondere alle domande di Sanvisens. Approfittò del suo silenzio per salutare con un cenno della testa la portinaia, che era finalmente riuscita a raggiungere l’ultimo scalino. Teresina Sauret si infilò in casa. Il fruscio delle sue pantofole tacque, com’era prevedibile, appena dietro la porta.
«È stata assassinata.»
Fece trasalire la portinaia con l’esclamazione che le sfuggì sentendo quelle parole, perché si udì un colpo contro la porta. “Spero che abbia preso una bella testata” pensò Ana.
«Vorrei che seguissi tu la faccenda. Ti va?»
Le si affollarono in testa molte domande. “Perché io? Perché non lo fa Carlos Belda? Cosa dice la polizia? Cosa vuoi che faccia? Perché io?” Le si affollarono in testa così tante domande che disse solo:
«Sì.»
Mateo Sanvisens le chiese di raggiungerlo immediatamente in redazione.
Riagganciò. Salì a grandi balzi fino al suo appartamento, si infilò un paio di scarpe, prese la borsa e si precipitò giù dalle scale. Teresina Sauret stava chiudendo lo sportello del telefono.
«Che modi! Quanta fretta!» la sentì dire mentre usciva di corsa in strada, dirigendosi verso la Ronda.
Passò oltre senza guardare la faccia di José Antonio Primo de Rivera dipinta con una scritta a stampatello che proclamava “Presente!”, vandalismo contro cui nessuno aveva osato protestare per timore di esporsi. Dal momento che non arrivava nessun tram diretto a plaza de la Universidad, preferì non aspettare e andare a piedi. Camminò così in fretta fino a calle Pelayo che ben presto non notò più il fresco sulle gambe. Alla redazione del giornale sperava che Sanvisens avrebbe risposto alle sue domande. Forse anche alla domanda sul perché aveva chiamato lei e non Carlos Belda, che si occupava sempre delle notizie di cronaca nera.
«Carlos è amma...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. La morte tra le righe
  3. 1
  4. 2
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  58. 56
  59. 57
  60. 58
  61. 59
  62. 60
  63. 61
  64. 62
  65. 63
  66. 64
  67. 65
  68. 66
  69. 67
  70. 68
  71. 69
  72. 70
  73. Epilogo
  74. Ringraziamenti
  75. Copyright