
- 210 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
«Spero che questo libro, nato nel tentativo di fare chiarezza nel dibattito sulla pena di morte in America attraverso la mia esperienza personale di avvocato, possa essere visto come una finestra aperta non solo sul mondo degli Stati Uniti. Le domande politiche, morali e legali che riguardano il problema della pena di morte - il valore della vita, il ruolo del governo e lo scopo della pena stessa - sono interrogativi eterni affrontati da ogni società evoluta.»
Scott Turow
Domande frequenti
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Informazioni
1
Legge e omicidio:
Michelle Thompson e Jeanine Nicarico
Il 3 febbraio 19841 una giovane donna, Michelle Thompson, e un suo amico, Rene Valentine, furono costretti da un uomo armato di pistola a scendere dall’auto su cui erano appena saliti nel parcheggio del D. Laney’s, un locale notturno di Gurnee, a nord di Chicago, in Illinois. L’uomo fece spostare Valentine di qualche passo, poi gli sparò al petto da distanza ravvicinata. All’arrivo della polizia, Michelle Thompson era sparita.
All’epoca, io ero un assistente procuratore a Chicago e il mio più vecchio amico nell’Ufficio del procuratore distrettuale federale, Jeremy Margolis, aiutò l’FBI a condurre le indagini per ritrovare la Thompson. Inizialmente, sembrava un caso di rapimento da uno Stato all’altro, reato di competenza federale. Dopo pochi giorni si scoprì che il crimine era invece di competenza delle autorità statali: si trattava di omicidio. Il corpo della donna fu ritrovato nel Wisconsin: era stata picchiata, violentata e strangolata. Poco dopo, Hector Reuben Sanchez, un operaio scassinatore, analfabeta ma ambizioso, fu arrestato insieme a un complice, Warren Peters Jr., che in seguito si dichiarò disposto a testimoniare contro lo stesso Sanchez.
Ormai coinvolto totalmente nel caso, Jeremy fu nominato assistente legale speciale per aiutare i procuratori locali a processare Sanchez in un tribunale statale della contea di Lake, in Illinois. Mentre Jeremy preparava il processo, passai ore e ore ad ascoltarlo descrivere l’ultima, terribile notte di Michelle Thompson. Dopo che Sanchez l’ebbe violentata sul pavimento del salotto di casa sua, la donna fuggì e si trascinò nella neve, ancora in manette e nuda dalla vita in giù, fino alla porta sul retro di un vicino, dove implorò aiuto. Sanchez la trovò, e tranquillizzò il vicino dicendogli che la Thompson era ubriaca e in preda a una crisi isterica. Il racconto dell’uomo su come Sanchez aveva trascinato via la giovane donna spezzava il cuore. Michelle Thompson aveva subito abusi per ore, e non oppose più resistenza. Era rassegnata a essere torturata, umiliata e sperava solo di sopravvivere; un povero, misero desiderio che non si realizzò. Rientrato in casa, Sanchez imbavagliò Michelle Thompson con un pezzo di stoffa, la piegò sulla lavatrice e la sodomizzò, poi la strangolò con un filo di nylon e un appendiabiti. Completò il lavoro sbattendole la testa contro il pavimento del seminterrato.
Indagando sul caso, l’FBI aveva scoperto che nove anni prima Sanchez aveva assassinato la fidanzata tagliandole la gola e sparandole. Si era sottratto alla giustizia minacciando i testimoni. Questa volta Jeremy e i procuratori della contea di Lake erano decisi a fare in modo che ciò non si ripetesse. Volevano la pena capitale.
Attraverso Jeremy seguii da vicino l’evolversi del caso. Alla fine dell’estate lui e Ray McKoski, a quell’epoca primo assistente del procuratore della contea di Lake, avviarono il processo a Waukegan, in Illinois. Quando Sanchez fu dichiarato colpevole e condannato a morte nel settembre del 1984, fui felice della loro vittoria.
Quell’esperienza vissuta di riflesso rimase il mio unico contatto diretto con i casi di pena capitale fino al 1991, quando mi fu chiesto di occuparmi, a titolo gratuito, del ricorso in appello di Alejandro Hernandez. All’epoca lavoravo già come socio in un grande studio legale, il Sonnenschein Nath e Rosenthal di Chicago, con sedi in tutta la nazione. Il nome di Hernandez mi era noto da quasi dieci anni, da quand’era coimputato in quello a cui in genere la stampa si riferiva come “Il caso che ha spezzato il cuore di Chicago”.2 Il 25 febbraio 1983, Patricia Nicarico, che lavorava come segretaria in una scuola di Naperville, un sobborgo di Chicago, era rientrata a casa e aveva scoperto che la porta d’ingresso era stata sfondata a calci e che la figlioletta di dieci anni, Jeanine, era scomparsa. Dopo due giorni, il corpo della bambina fu trovato in una vicina riserva naturale: Jeanine aveva una benda sugli occhi e indosso solo una camicia da notte. La bimba era morta in seguito ai numerosi colpi alla testa, inferti dopo abusi sessuali di varia natura. Più di quaranta agenti si unirono a una forza multigiurisdizionale organizzata per prendere l’assassino, per la cui cattura fu offerta una taglia di diecimila dollari.
All’inizio del 1984 il caso non era ancora stato risolto e nella contea di DuPage era in corso un’accesa campagna in occasione delle primarie per l’elezione alla carica di procuratore di Stato. Pochi giorni prima delle primarie, il 6 marzo, Alex Hernandez, Rolando Cruz e Stephen Buckley furono incriminati,3 anche se sei settimane prima il procuratore di Stato aveva dichiarato che le prove raccolte erano insufficienti per incriminare qualcuno.
James Ryan vinse le elezioni e diventò il nuovo procuratore della contea di DuPage. (Ryan divenne procuratore generale dell’Illinois nel 1994 e mantenne la carica fino all’inizio del 2003, dopo aver perso le elezioni del novembre 2002, come candidato repubblicano alla carica di governatore.) La nuova amministrazione di Ryan portò in tribunale il caso contro i tre accusati nel gennaio del 1985. La giuria non giunse a un accordo su Buckley, ma Hernandez e Cruz furono dichiarati colpevoli e condannati a morte. Non c’erano prove fisiche contro nessuno dei due: niente sangue, sperma, impronte digitali, fibre o altre prove legalmente valide.
Il processo si basava esclusivamente sulle deposizioni degli imputati, un labirinto di reciproche accuse e di falsità rivelabili grazie alle testimonianze rese da vari informatori e agenti di polizia. Prima che il caso arrivasse a me, dopo sette anni dall’arresto di Hernandez e Cruz, la corte suprema dell’Illinois, nel 1988, aveva annullato le condanne precedenti e aveva stabilito che si tenessero processi separati per i due imputati. Cruz fu dichiarato colpevole e condannato a morte nell’aprile del 1990. La giuria non si pronunciò nel secondo processo di Hernandez, ma lo Stato lo processò una terza volta nel maggio del 1991 per condannarlo a morte. Fu dichiarato colpevole e condannato a ottant’anni di reclusione, ma non all’esecuzione.
Quando gli avvocati difensori di Hernandez, Mike Metnick, Jeff Urdangen e Jane Raley, mi contattarono furono molto espliciti: il loro cliente era innocente. Io non ci credevo. Sapevo come funzionava il sistema. Condannare un innocente una volta? Non probabile ma possibile. Due volte? Impossibile. E anche se fosse stato vero non riuscivo a immaginare di poter convincere una corte d’appello ad annullare la sentenza per la seconda volta. È lo Stato che elegge i giudici delle proprie corti e questo era un omicidio di minore che aveva fatto molto scalpore.
I legali mi pregarono di leggere il rapporto che Larry Marshall, un noto professore di diritto penale alla Northwestern University, aveva steso in difesa di Cruz, e di dare un’occhiata ai verbali dei processi di Hernandez. Dopo averlo fatto, sei settimane più tardi, decisi che dovevo occuparmi del caso o smetterla di definirmi un avvocato. Alex Hernandez era innocente.
Nel giugno del 1985, qualche mese dopo la prima condanna di Hernandez e Cruz, un’altra bambina, Melissa Ackerman, di sette anni, venne sequestrata e assassinata nella contea di LaSalle, a circa un’ora di automobile dall’abitazione di Jeanine Nicarico. Melissa e Jeanine erano state rapite alla luce del giorno, trascinate via avvolte in coperte, sodomizzate e trucidate in un bosco. Per l’omicidio di Melissa fu arrestato un certo Brian Dugan.4 Nel corso di complesse discussioni per la dichiarazione di colpevolezza o innocenza, l’avvocato di Dugan affermò che il suo cliente era pronto a dichiararsi colpevole non solo dell’omicidio Ackerman ma anche di una serie di altri crimini, tra cui la violenza carnale e l’omicidio di altre due donne. Una delle donne che Dugan era disposto ad ammettere di avere ucciso era un’infermiera ventisettenne, Donna Schnorr. L’altra era Jeanine Nicarico.
I procuratori della contea di DuPage furono contattati e invitati a interrogare Dugan tramite il suo avvocato. Il primo assistente, Robert Kilander, e un procuratore più giovane incontrarono il legale di Dugan, ma dopo averci parlato si rifiutarono di accettare le dichiarazioni del condannato o di avere ulteriori contatti con lui. (E del resto nessuno dell’ufficio della contea di DuPage informò gli avvocati di Cruz e Hernandez che un altro uomo era pronto a confessare l’omicidio per cui il loro cliente era all’epoca in attesa dell’esecuzione.)
Di fronte alla risposta della contea di DuPage, uno dei procuratori della contea di LaSalle si mise in contatto con la polizia di Stato dell’Illinois per essere certo che qualcuno si occupasse della questione. La polizia di Stato, diretta dal comandante Ed Cisowski, indagò sulla dichiarazione di Dugan di essere lui l’assassino di Jeanine. Quando le indagini ebbero termine, Cisowski stabilì che la contea di DuPage aveva incriminato gli uomini sbagliati. Dugan non era al lavoro al momento dell’omicidio e una segretaria della chiesa ricordava di avergli parlato quel giorno a due isolati di distanza dall’abitazione dei Nicarico. L’impronta di un pneumatico rilevata nel punto in cui era stato abbandonato il corpo di Jeanine corrispondeva a quella delle ruote dell’automobile di Dugan. L’uomo era anche a conoscenza di un gran numero di dettagli connessi al delitto che non erano mai stati rivelati al pubblico; tra questi c’erano anche molti particolari sull’interno della casa dei Nicarico e sulla benda che aveva messo a Jeanine.
Nonostante tutto, per un decennio i procuratori della contea di DuPage tentarono di screditare la confessione di Dugan, non chiudendo i casi anche dopo che la seconda condanna di Cruz e di Hernandez fu annullata nel luglio del 1994 e nel gennaio del 1995, a seguito dei ricorsi in appello separati presentati da me e da Larry Marshall, e dopo che i risultati di una serie di test del DNA scagionarono prima Hernandez e poi Cruz dall’accusa di reati a sfondo sessuale contro Jeanine Nicarico. Solo dopo che Cruz fu dichiarato innocente nel terzo processo a suo carico, alla fine del 1995, i due uomini furono liberati.
2
Un agnostico a proposito di pena capitale
Hernandez e Cruz sono solo due dei diciassette uomini che sono stati condannati a morte e poi legalmente assolti1 dall’accusa di omicidio per cui erano stati incarcerati dopo il ripristino della pena di morte, nel 1977, in Illinois per volontà dello Stato. Solo nel 1999 sono stati liberati tre uomini; di loro il più famoso è Anthony Porter,2 che era arrivato ad appena cinquanta ore dall’esecuzione. Porter fu rilasciato in febbraio, dopo che Paul Ciolino, un investigatore privato che lavorava con un professore di giornalismo della Northwestern University, David Protess, e con i suoi studenti, si mise sulle tracce di un uomo di Milwaukee, che ammise di aver commesso il crimine per cui Porter era stato condannato a morte. Di conseguenza, nel novembre dello stesso anno, il “Chicago Tribune” pubblicò una spietata serie3 di articoli sugli errori nei casi di condanna a morte in Illinois, incentrati non solo sulle assoluzioni e i problemi probatori connessi, ma anche sull’alta incidenza di annullamento nei casi di condanna alla pena capitale nello Stato.
Il quarantanove per cento dei casi di pena capitale era stato annullato da un nuovo processo o da una commutazione della pena; più di un quinto di quegli annullamenti era stato determinato dal comportamento scorretto dei pubblici ministeri. Solo in alcuni dei casi riesaminati, gli imputati erano stati condannati alla pena di morte una seconda volta. Ma spesso non era stato così.
Il governatore dell’Illinois, George Ryan (che non ha alcun legame di parentela con Jim Ryan), era un repubblicano che aveva assunto la carica nel 1999 ed era da sempre un convinto sostenitore della pena di morte. Nel 1977, quando faceva parte dell’assemblea legislativa dell’Illinois, aveva votato a favore del suo ripristino. Eppure rimase sconcertato dalla realtà con cui fu costretto a confrontarsi. Alla fine del 1999, i dati generali4 erano pressappoco questi: dal 1977 poco più di duecentosettanta casi di persone condannate in Illinois erano andati oltre il primo appello. Dodici persone avevano esaurito il percorso apparentemente infinito dei dibattimenti ed erano state giustiziate. Tredici erano state assolte. E circa novanta, a cui la pena capitale era stata commutata, furono successivamente condannate a una pena più lieve. In altre parole, in più di un terzo dei casi l’Illinois aveva condannato alla pena capitale persone che non erano colpevoli o comunque, a un più attento esame, non meritavano l’esecuzione.
Consapevole dei frequenti errori commessi dal sistema, per il governatore Ryan apporre la propria firma sull’ordine di esecuzione capitale contro Andrew Kokoraleis nel marzo del 1999 si era rivelata un’esperienza terribile.5 Deciso a non ripeterla, il 31 gennaio 2000 proclamò una moratoria sulle esecuzioni future. Hector Reuben Sanchez, l’assassino di Michelle Thompson, fu uno dei circa centosettanta prigionieri a cui fu sospesa l’esecuzione a tempo indeterminato.
Nella moratoria il governatore Ryan definì il sistema di giustizia capitale “pieno di errori”.6 Sei settimane dopo nominò una Commissione speciale formata da quattordici membri con il compito di indicargli come riformare la pena capitale in Illinois. Io ero una delle persone a cui il governatore affidò l’incarico.
Mi trovavo nei Paesi Bassi per presentare un libro e stavo guidando in mezzo a distese di acqua diretto all’Aja, quando ricevetti la prima telefonata di Matt Bettenhausen, vicegovernatore dell’Illinois per la giustizia penale e la sicurezza pubblica, divenuto poi direttore esecutivo della Commissione. Non esitai quando mi chiese se mi avrebbe fatto piacere essere uno dei candidati. Era un lavoro importante e mi avrebbe dato l’opportunità di studiare in modo sistematico un problema su cui da tempo mi sentivo combattuto.
Sono certo che molti cittadini dell’Illinois rimasero stupiti nel vedere che era stata scelta una persona che conoscevano come romanziere perché collaborasse alla soluzione di quello che è forse il problema più grave a livello legislativo. Anche se oggi dedico la maggior parte del mio tempo all’attività di scrittore, sono ancora socio dello studio Sonnenschein di Chicago. Dopo la pubblicazione dei miei primi due romanzi – Presunto innocente nel 1987 e L’onere della prova nel 1990 – ho cominciato a dedicarmi sempre meno all’esercizio della professione, per occuparmi di incarichi a titolo gratuito. Dunque, negli anni Novanta gran parte del mio lavoro di avvocato si concentrò sulle fasi postprocessuali di due casi di pena di morte molto diversi, quello di Hernandez e uno di cui cominciai a occuparmi in seguito per conto di un giovane di nome Christopher Thomas. Queste attività non mi rendevano assolutamente un esperto di pena capitale; molti dei miei colleghi nella Commissione avevano avuto a che fare con casi di pena capitale con una regolarità ben superiore. Ma io avevo vissuto esperienze personali molto intense che mi davano di sicuro una visione profonda della questione.
Il governatore presentò la Commissione nel corso di una gremita conferenza stampa il 9 marzo del 2000 al Thompson Center di Chicago. Quando un giornalista chiese quanti di noi erano contrari alla pena capitale, solo quattro alzarono la mano: l’ex senatore degli Stati Uniti Paul Simon, Rita Fry e Ted Gottfried, entrambi difensori d’ufficio, e Bill Martin, che anni prima in veste di procuratore aveva spedito nel braccio della morte il pluriomicida Richard Speck. Io non avevo sentito alcun desiderio di unirmi a loro.
All’università e negli anni di dottorato, dal 1966 al 1972, avevo aderito alla fede dell’era dell’Acquario: credevo nella fondamentale bontà di tutti e di conseguenza consideravo la pena di morte una pratica barbara. Nel 1978 ero diventato assistente procuratore a Chicago. A quell’epoca non esisteva la pena di morte.7 (Fu ripristinata nel 1988, ma solo per omicidi collegati a crimini di droga. Nel 1994 fu estesa e applicata agli omicidi in un numero molto maggiore di circostanze.) La cosa mi andava bene quando accettai il lavoro, ma rimasi sconvolto alcuni mesi dopo, quando uno dei miei amici più cari dello studio, Julian Solotorovsky, fu assegnato a un caso di omicidio. Ralph Perez, un paziente del North Chicago Veterans Administration Hospital, stava guardando la TV quando un altro paziente aveva cambiato canale. Ralph reagì prendendo a calci l’uomo fino a ucciderlo. Secondo il codice penale degli Stati Uniti un crimine statale commesso in territorio federale è perseguito dal tribunale federale, ma punito secondo la legge dello Stato. Questo significava che Ralph rischiava la pena di morte.
Julian era di religione quacchera, e ricordo che ci studiammo da un capo all’altro della sua scrivania quando discutemmo per la prima volta questa possibilità. Accadde poi che Ralph fu giudicato non in grado di subire un processo, ma il fatto che chiedere la pena capitale rientrasse effettivamente nelle mie facoltà era stupefacente. Avrei potuto davvero farlo?
Nel 1984, quando Jeremy Margolis processò Hector Reuben Sanchez, avevo deciso di sì. Nel corso degli anni in cui...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Punizione suprema
- Introduzione all’edizione italiana
- 1. Legge e omicidio: Michelle Thompson e Jeanine Nicarico
- 2. Un agnostico a proposito di pena capitale
- 3. Il governatore George Ryan
- 4. L’America e la pena di morte
- 5. La Commissione
- 6. Condannare gli innocenti
- 7. Malafede
- 8. Le vittime
- 9. Deterrenza
- 10. Proporzioni morali: punizione suprema per il male supremo
- 11. Redenzione
- 12. Quando uccidono ancora
- 13. Il rapporto della Commissione e i suoi risultati
- 14. Scrivere sulla pena di morte: Errori reversibili
- 15. Conclusioni
- Preambolo al Rapporto della Commissione del governatore dell’Illinois sulla pena capitale
- Note
- Ringraziamenti
- Copyright