Nello sport, come nella vita, non si dovrebbe mai iniziare un percorso senza essersi prima chiesti il perché, ma soprattutto senza essersi posti un obiettivo.
Per raggiungere l’obiettivo principale, che possiamo definire “a lungo termine”, è necessario determinare delle tappe di passaggio, ovvero degli obiettivi “a breve termine”. Ognuno di essi è strettamente connesso agli altri, in quanto il raggiungimento e superamento degli obiettivi a breve termine permette di rassicurarci e proseguire nel nostro viaggio più sereni e fiduciosi che la strada intrapresa sia quella giusta verso il traguardo che ci siamo prefissi. Nell’intraprendere questo percorso, è fondamentale essere seguiti da una figura di riferimento, l’allenatore, che ci aiuti a determinare con maggior oggettività le tappe intermedie. Spesso tendiamo a richiedere a noi stessi obiettivi difficilmente raggiungibili allo stato attuale, saltando dei passaggi necessari, semplicemente perché ci piace sognare. L’allenatore, facendo leva anche sulla sua capacità di vedere le cose da una prospettiva più “oggettiva”, dev’essere bravo a indirizzare i nostri passi, dando la giusta scansione cronologica agli obiettivi intermedi. Se l’obiettivo è un risultato, esso si ottiene attraverso una prestazione, e non si può arrivare all’ottenimento di una prestazione concentrandosi esclusivamente su obiettivi cronometrici. Il tempo lo si raggiunge determinando traguardi più specifici, come possono essere quelli di natura tecnica (nuotata, partenza, virate) e, soprattutto, focalizzandosi sugli elementi della nostra performance su cui possiamo avere un controllo.
Alzare troppo l’asticella nella ricerca di obiettivi difficilmente raggiungibili in breve tempo, cercando di salire ogni piano con un solo balzo, piuttosto che step by step, porta quasi inevitabilmente al fallimento, che si trasforma in perdita di fiducia da parte dell’atleta nei propri mezzi e nel proprio allenatore. In una parola… una catastrofe. Bisogna essere coscienti e consapevoli della propria situazione di partenza e di quello di cui abbiamo bisogno per garantire la nostra ascesa; è importante poi che l’allenatore calibri attentamente gli obiettivi, che devono essere di stimolo per l’atleta, cosa impensabile se si tratta di mete difficilmente raggiungibili.
Per me gli obiettivi sono sempre stati il punto d’arrivo di ogni stagione agonistica, alla fine della quale tirare una riga e trarre le conclusioni su tutto. Fa male quando non sono riuscita a raggiungerli. Il piacere vero, quello assoluto, è quando invece non solo li raggiungi, ma addirittura vai oltre le tue aspettative. In quei casi, sembra di camminare in paradiso: tutti i sacrifici fatti assumono un sapore completamente diverso, anche perché io non sono una persona che ci va leggera… O è bianco o è nero, o tutto o niente. Non sono mai stata una tipa da sfumature!
Lo stile libero, universalmente conosciuto come crawl, rappresenta ciò che sono, dentro e fuori dall’acqua. È la mia essenza, la mia libertà, la mia eleganza, la mia potenza… Uno stile di vita, tecnicamente quasi perfetto ma libero, istintivo!
Non importa a quale livello voi siate: esordiente, master, amatore… il crawl è da sempre lo stile più nuotato. Salvo rare eccezioni, il 90 per cento dei nuotatori di alto livello che sono specializzati in altri stili sono capaci di gareggiare nello stile libero con ottimi risultati cronometrici. È il primo stile nel quale ci si cimenta da piccoli, in acqua non esiste modo di spostarsi più velocemente, ed è anche quello dove c’è più competizione: basta notare il numero di iscritti alle gare in stile rispetto a tutte le altre. Ed è proprio questo, a mio parere, a renderlo anche il più affascinante.
Proverò adesso a descrivervi nello specifico le caratteristiche tecniche fondamentali, presentandovi idealmente la nuotata perfetta. Ci tengo a precisare, però, che la miglior nuotata non è quella tecnicamente ineccepibile, ma quella che vi permette di andare più veloci, e spesso e volentieri le due cose non coincidono.
La posizione in acqua
Il dato più significativo è che, più veloci andiamo, più alta è la resistenza che ci oppone l’acqua. Di conseguenza, dobbiamo cercare di diminuire il più possibile la superficie che il nostro corpo crea frontalmente, ed è quindi molto importante che ogni nostro movimento sia preciso e perfettamente coordinato.
Iniziamo con il primo dilemma: come devo tenere la testa? Devo guardare il fondo della vasca o devo inclinarla in avanti di circa 45 gradi? Alcune ricerche hanno dimostrato come la posizione neutra, con lo sguardo rivolto verso il basso, sia la più vantaggiosa, soprattutto per quanto riguarda le gare di sprint, perché diminuisce, se pur leggermente, l’arco lombare altrimenti più accentuato, permettendo così un miglior allineamento del corpo, una minor resistenza all’avanzamento e una maggior facilità di propulsione.
Scendendo un po’ più in giù, diciamo che la parte superiore delle natiche dovrebbe essere alla stessa altezza della parte superiore della testa del nuotatore, sempre per una questione di riduzione della resistenza. È molto importante che la linea posturale che si crea tra le natiche e la testa sia stabile lungo l’asse orizzontale, e per riuscire a fare ciò vi rimando al capitolo dedicato alla preparazione fisica, al concetto di link e al lavoro sul core.
La respirazione
La rotazione della testa dev’essere coordinata con quella delle spalle, rimanendo però indipendente, in quanto se la testa segue la spalla si ha una rotazione eccessiva.
Bisogna eseguire una rotazione laterale della testa sul piano orizzontale: non appena la bocca è fuori dall’acqua inspirare il più velocemente possibile e cercare di riportare la testa in posizione di partenza, prima che il braccio che recupera raggiunga la posizione verticale.
Si deve evitare di respirare quando il braccio è in posizione di massima spinta, perché questo comporta una ridistribuzione della forza tra respirazione e spinta che ha come risultante una minor applicazione di forza. È per questo che una delle richieste più frequenti degli allenatori agli atleti è quella di ritardare la respirazione, aspettando che il braccio abbia terminato la sua fase di spinta.
Più veloce è il movimento di respirazione, meno abbassiamo la frequenza di bracciata, fattore importantissimo per mantenere la velocità ottimale.
Le rotazioni del nostro corpo
Il movimento ideale del nostro corpo è costituito dalla rotazione di 45 gradi, su entrambi i lati, dei fianchi e delle spalle. Questo riduce la resistenza frontale e permette al braccio propulsivo di posizionarsi più vicino alla linea mediana.
Più forte un nuotatore batte le gambe, maggiore è la resistenza sviluppata. La battuta di gambe dovrebbe quindi avere come caratteristiche scarsa ampiezza ed elevata frequenza, ma soprattutto essere sincronizzata con il movimento delle anche e delle spalle.
Il recupero del braccio con il gomito alto faciliterà un buon rollio. La linea che si crea tra il gomito del braccio che sta recuperando, le spalle e il braccio che sta spingendo dovrebbe essere idealmente retta.
La bracciata
Dovete cercare la massima estensione possibile, entrando prima con le dita e tenendo la mano piatta. La spalla dev’essere completamente estesa in avanti per facilitare un maggior allungo. Il braccio deve rimanere ben disteso in avanti mentre il corpo ruota e la spalla si abbassa. A questo punto, il braccio deve ruotare internamente, mentre il gomito si flette per aiutare il posizionamento dell’avambraccio e della mano. L’abduzione del braccio dev’essere l’inizio di un movimento accelerato e continuo. Per avere un’azione di spinta ottimale, è fondamentale cercare di mantenere la mano in posizione verticale. La fine della spinta del braccio propulsivo dovrebbe coincidere con l’entrata in acqua del braccio che stava recuperando. Dovreste sentire la mano del braccio in spinta aumentare la velocità sott’acqua via via che si avvicina alla gamba.
Quando il braccio che stava spingendo si trova completamente posizionato lungo il corpo, il gomito deve essere sollevato per iniziare la fase di recupero.
Questo è quello che dovrebbe essere fatto per ottenere la massima velocità possibile, ma voglio svelarvi un “non segreto”: la perfezione non è umana, e nessuno di noi è in grado di nuotare perfettamente, o comunque di mantenere una tecnica impeccabile per tutta la durata della gara, anche se si tratta di soli 50 metri.
Qualunque sia lo sport che si è scelto di praticare, la motivazione gioca un ruolo fondamentale, e vorrei tentare di approfondire quest’aspetto mentale che costituisce il giusto approccio per affrontare il nostro cammino.
Nel nuoto, il peggior nemico che devi sconfiggere è te stesso: è frequente, infatti, che la paura di fallire prenda il sopravvento. Se fosse facile, potrebbe farcela chiunque. Quello che ti tiene a galla, che non ti fa rinunciare alla prima difficoltà, è la motivazione, la voglia di emergere, di migliorare te stesso passo dopo passo, scalino dopo scalino. Non puoi aspettare che le cose capitino per caso, sei tu che le devi cercare. Il nuoto non è uno sport di squadra, non hai compagni che ti possano aiutare: in acqua sei solo, e da solo devi andare a prenderti quello che desideri. Se la voglia di raggiungere il tuo sogno è grande, se sei disposto a tutto, il dolore fisico e mentale e il sacrificio diventano compagni di viaggio, perché sai che ne vale la pena. Non puoi mai accontentarti prima di aver raggiunto il tuo scopo, perché altri non lo faranno, andranno avanti e saranno lì, pronti a rubarti quel sogno, e tu non te lo puoi permettere.
L’allenatore ha un ruolo fondamentale in questo, soprattutto quando l’atleta sembra non riuscire da solo a mantenere un livello alto di motivazione. Questo può accadere in gara, come vi ho spiegato in un capitolo precedente, ma anche in allenamento.
È attraverso rinforzi positivi e negativi, a volte vere e proprie punizioni, che un allenatore può ottenere il meglio dal suo atleta nel lavoro quotidiano.
A garantire i risultati migliori sono senza ombra di dubbio i rinforzi positivi, che possono essere identificati con una frase o un gesto, a sottolineare il raggiungimento di un obiettivo e/o la corretta esecuzione di un compito specifico. L’atleta tende a costruirsi una memoria a lungo termine basata sulla consapevolezza di essersi allenato bene, di aver soddisfatto appieno le richieste del proprio allenatore, ed è quindi pronto ad affrontare la gara con un minor carico di ansia, identificandola soprattutto come un’opportunità per arrivare al successo.
Questo non significa che un errore dovuto a mancata concentrazione o l’ingiustificata mancanza d’impegno non possano o non debbano essere evidenziate da una punizione. La punizione deve far capire all’atleta che il suo comportamento non è coerente con ciò che gli viene richiesto, e che il ripetersi di questo tipo di atteggiamento non gli permetterà di raggiungere l’obiettivo prefissato. Entra poi in gioco un secondo aspetto molto importante, che è quello dell’influenza negativa che l’atleta ha sui propri compagni di squadra: un atteggiamento troppo permissivo da parte dell’allenatore avrebbe l’unico risultato di coinvolgere negativamente tutto il gruppo.
Un metodo che funziona spesso e in situazioni tra loro differenti è quello di stimolare il nuotatore con un premio, per esempio riducendogli il metraggio di un allenamento in seguito agli eccellenti riscontri cronometrici di una serie. Naturalmente, non può diventare una regola, in quanto l’atleta non dev’essere motivato ad allenarsi bene per nuotare meno. Lo scopo dell’allenatore è di motivare l’atleta ad allenarsi bene, perché è quella l’unica strada che gli permetterà in futuro di raggiungere i propri obiettivi.
Nel nostro mondo ci si sofferma a lungo a cercare la metodologia perfetta, quel sistema di allenamento che permetta all’atleta di migliorare il più possibile, di raggiungere la massima espressione di se stesso. Il bello di questo sport, però, sta proprio nelle tante variabili in gioco, a partire dall’atleta stesso: non esiste la “Bibbia” del nuoto. Quanti allenatori ho sentito dire: “L’importante è tutto quello che fai in acqua. Non pensare troppo alla palestra, all’alimentazione, al massaggio eccetera, per migliorare si deve nuotare”?
È vero: la gara, il punto di arrivo, si svolge in acqua, ma siamo così sicuri che le cinque ore passate in vasca ogni giorno siano l’unica cosa importante?
Io penso di no. Anzi, sono sicura del contrario: il nostro allenamento dura ventiquattr’ore, e ogni parte della nostra giornata contribuisce a cambiare in modo positivo o negativo quelle cinque ore così importanti trascorse in acqua.
Ci sono tre aree principali sulle quali porre particolare attenzione: la preparazione fisica, l’alimentazione e il recupero.
Svilupperò nei capitoli successivi ciascuno di questi aspetti, ma prima voglio soddisfare quelli più curiosi tra voi descrivendovi la mia giornata tipo.
Ore 7.00: sveglia. Accendere i motori è la parte più difficile della giornata: a volte mi sembra quasi che il tutto funzioni come una di quelle vecchie locomotive a vapore, dove devi buttare il carbone nella caldaia se vuoi che il treno si muova, e spesso ho la sensazione che il carbone sia finito! Poi mi dico: “Forza Fede, sarai stanca anche durante le gare, reagisci!”.
7.15: colazione. Accendo la tv e ascolto le news dal mondo, sperando magari in una n...