L'estate in cui imparammo a volare
eBook - ePub

L'estate in cui imparammo a volare

  1. 630 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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L'estate in cui imparammo a volare

Informazioni su questo libro

Kate e Tully hanno quattordici anni nell'estate del 1974. Ma questa è l'unica cosa in comune: Kate è timida e introversa, rassegnata al suo posto sul gradino più basso della scala della popolarità; Tully invece è bellissima, intelligente, ambiziosa ed esuberante. La prima ha una famiglia amorevole, forse un po' soffocante; la seconda nasconde invece un doloroso segreto. Non potrebbero essere più diverse, eppure nel giro di poco diventano inseparabili, unite da un'amicizia che durerà per decenni. Fino a che Tully diventerà una star del giornalismo televisivo e Kate sposerà Johnny, ex corrispondente di guerra e soprattutto ex amante di Tully. Sullo sfondo di un'America che cambia, dagli anni Settanta a oggi, il legame tra Kate e Tully sarà messo a dura prova, ma le amiche affronteranno insieme le avversità fino all'ultima sfida.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804640585

1

“Le ragazze di Firefly Lane”, così le chiamavano un tempo. Tanto tempo prima, più di trent’anni... Eppure, mentre se ne stava distesa a letto ad ascoltare la bufera che infuriava all’esterno, pareva trascorso appena un giorno.
Quell’ultima settimana era stata senz’ombra di dubbio la peggiore della sua vita, e ormai non riusciva più a tenere a bada i ricordi. Fin troppo spesso nei sogni tornava al 1974, alla ragazzina cresciuta all’ombra di un conflitto ormai perso, che se ne andava in giro in bicicletta con l’amica del cuore, in un’oscurità che rendeva invisibili. Anche se era un posto anonimo che fungeva solo da punto di riferimento, lei aveva ancora davanti agli occhi quel nastro di asfalto che si snodava tra un profondo canale d’acqua torbida e le collinette coperte di erba incolta. Prima di conoscersi, quella strada sembrava perdersi nel nulla. Era una stradina di campagna come tante, con il nome di un insetto, la lucciola, che nessuno aveva mai nemmeno scorto in quell’angolo di natura aspra.
Poi avevano cominciato a vederla l’una con gli occhi dell’altra. Se ne stavano in cima a una collinetta, e gli alberi imponenti, le buche melmose e i picchi innevati in lontananza mutavano nei luoghi in cui un giorno sarebbero state. Di notte sgattaiolavano fuori di casa e si incontravano per andare in riva al fiume Pilchuck a fumare le sigarette rubate, cantando Billy, Don’t Be a Hero a squarciagola e raccontandosi ogni cosa; e alla fine dell’estate le loro vite erano talmente intrecciate che era impossibile distinguerle. Per tutti ormai erano Tully&Kate, legate da un’amicizia che sarebbe stata il caposaldo delle loro esistenze per oltre trent’anni, un rapporto forte, duraturo, solido. La musica passava e cambiava con gli anni, le promesse fatte in Firefly Lane restavano.
Amiche del cuore per sempre.
Ed entrambe vi avevano creduto davvero. Già si vedevano, anziane, a parlare e ridere dei bei vecchi tempi andati cullandosi sulle sedie a dondolo in veranda.
Ora sapeva che non sarebbe stato così. Per oltre un anno si era ripetuta che andava tutto bene, che la vita sarebbe proseguita anche senza la sua amica per la pelle. A volte se n’era addirittura convinta.
Poi però sentiva le canzoni. Le loro canzoni. Goodbye Yellow Brick Road, Material Girl, Bohemian Rhapsody, Purple Rain. Il giorno prima, per esempio, mentre faceva la spesa si era ritrovata in lacrime, impalata accanto ai ravanelli, alle prime note di una brutta versione di You’ve Got a Friend.
Scostò le coperte e si alzò, facendo attenzione a non svegliare l’uomo che le dormiva accanto. Restò immobile per un istante, a fissarlo nel buio. Il suo viso corrucciato non si distendeva nemmeno nel sonno.
Prese la cornetta e si incamminò verso la veranda, fermandosi a guardare la bufera che si scatenava. Si fece forza e digitò quel numero che ben conosceva. Cosa le avrebbe detto dopo il silenzio di quei mesi? Come avrebbe potuto iniziare? “Sapessi che settimana terribile... La mia vita sta andando in pezzi...” o magari solo: “Ho bisogno di te”.
Il telefono si mise a squillare nel buio, mentre il vento mugghiava.
PRIMA PARTE

Gli anni Settanta

«young and sweet, only seventeen»
Dancing Queen

2

Nel 1970 il Paese era scosso da un’ondata di tumulti e cambiamenti, ma nella casa in Magnolia Drive tutto procedeva con la quiete di sempre. La piccola Tully Hart, di dieci anni, sedeva su un freddo parquet intenta a creare una casetta con le costruzioni Lincoln Log per le sue bamboline Liddle Kiddles, che nell’attesa dormivano su fazzolettini rosa. Se fosse stata in camera sua, avrebbe messo un quarantacinque giri dei Jackson Five nel mangiadischi portatile, ma in salotto non avevano nemmeno la radio.
Alla nonna la musica non piaceva granché, e nemmeno la televisione né i giochi da tavolo. Trascorreva buona parte della giornata a ricamare, proprio come in quel momento, seduta sulla sedia a dondolo vicino al camino. Creava centinaia di saggi, perlopiù con citazioni dalla Bibbia, che poi a Natale donava alla parrocchia perché fossero venduti nei mercatini di beneficenza.
Il nonno, invece... be’, era come se non ci fosse. Da quando gli era venuto l’ictus non si era più alzato dal letto. Di tanto in tanto suonava un campanello e al primo trillo la nonna scattava in piedi sospirando «santo cielo» tutta sorridente, poi correva in corridoio più veloce che poteva, ciabatte permettendo.
Tully prese la Troll con i capelli gialli e, canticchiando sommessamente Daydream Believer, la fece ballare con Calamity Kiddle. A metà della canzone, si udì bussare alla porta.
Chi poteva essere? Nessuno veniva mai a trovarli, eccezion fatta per i signori Beattle, che passavano a prendere lei e la nonna ogni domenica mattina per accompagnarle in chiesa. Tully smise di giocare e alzò lo sguardo.
La nonna posò il ricamo nella borsa di plastica rosa vicino alla sedia e attraversò la stanza con passo lento e strascicato. Aprì la porta e, dopo un lungo silenzio, disse solo: «Santo cielo».
Tully colse una nota strana nella sua voce. Guardando con la coda dell’occhio, vide una donna alta, con lunghi capelli arruffati e un sorriso malfermo. Era una delle donne più belle che avesse mai incontrato, con la pelle color del latte, il naso appuntito, gli zigomi alti e affilati, un mento sottile e liquidi occhi nocciola. Sbatteva le palpebre molto lentamente.
«Che modo di accogliere la figlia che credevi perduta» disse la donna dirigendosi decisa verso Tully. «E tu sei la mia piccola Tallulah Rose?» domandò chinandosi.
“La mia piccola? Ma allora...”
«Mamma?» mormorò la bambina incredula, quasi intimorita. Da quanto tempo aspettava quel momento, da quanto sognava che la mamma tornasse da lei.
«Ti sono mancata?»
«Sììì!» esclamò, sforzandosi di non ridere. Ma era così felice!
La nonna richiuse la porta. «Perché non vieni in cucina? Prendiamoci un caffè.»
«Non sono tornata per il caffè, ma per mia figlia.»
«Non hai un soldo» replicò la nonna stancamente.
«E quindi?» controbatté sua figlia, stizzita.
«Tully ha bisogno di...»
«Lo so io di cos’ha bisogno mia figlia.» Era come se la mamma cercasse di stare dritta ma, per chissà quale motivo, non ci riusciva. Era incerta sulle gambe e i suoi occhi erano... strani.
«Dorothy, crescere un figlio è una grossa responsabilità» proseguì la nonna avvicinandosi. «Magari potresti stare qui per un po’, così impareresti a conoscere Tully e allora forse...» Si interruppe e corrugò la fronte. «Sei ubriaca.»
Dorothy ridacchiò e fece l’occhiolino alla figlia.
Nel ricambiare, Tully si disse che essere ubriachi non era una cosa brutta. Anche il nonno beveva un sacco prima di stare male. E la nonna mandava giù un bicchiere di vino ogni tanto.
«È-è-è il mio compleanno, mammina cara, o te lo sei dimenticato?»
«Il tuo compleanno?» Tully balzò in piedi. «Aspetta un attimo» disse correndo in camera. Si mise a rovistare nel cassetto della specchiera in cerca della collana di pasta e perline che le aveva fatto l’anno prima alla scuola biblica estiva. Quando gliel’aveva mostrata, la nonna si era accigliata e le aveva detto di non sperare troppo nel ritorno di sua madre, ma lei non aveva potuto farne a meno. Ci sperava da anni. La nascose in tasca e corse di nuovo in salotto.
«Non sono ubriaca, mamma» stava dicendo Dorothy. «È che sto con mia figlia dopo tre anni. L’amore è il trip più grande.»
«Vorrai direi sei anni. Ne aveva quattro quando me l’hai lasciata qui l’ultima volta.»
«Così tanti?»
«Torna qui a casa. Posso aiutarti.»
«Come l’ultima volta? No, grazie.»
“L’ultima volta? Quindi la mamma è già stata qui?”
La nonna sospirò, poi si irrigidì. «Per quanto tempo ancora intendi rinfacciarmelo?»
«Per cose del genere non esiste un tempo limite, che ne dici? Vieni, Tallulah» chiamò barcollando verso la porta.
Questa volta toccò a Tully accigliarsi. Era tutto sbagliato. No, non era così che doveva andare. La mamma non l’aveva stretta a sé, non le aveva dato nemmeno un bacio o chiesto come stava. E poi tutti sapevano che prima di andarsene di casa bisognava fare la valigia. «Ma le mie cose...»
«Non hai bisogno di queste stronzate materialiste.»
«Eh?» Tully non riusciva a capire.
La nonna si avvicinò e la abbracciò stretta, avvolgendola con quel buon profumo di talco e lacca così familiare. Le sue erano le uniche braccia che Tully avesse mai conosciuto, solo lei la faceva sentire al sicuro. «Nonna, cosa succede?» chiese ritraendosi, improvvisamente preoccupata.
«Succede che adesso vieni con me» rispose la mamma, appoggiandosi alla porta.
La nonna le afferrò le spalle e la scosse dolcemente. «Il numero di casa e l’indirizzo li conosci a memoria, vero? Se ti capita di avere paura o succede qualsiasi cosa, chiamaci.» Piangeva. Lei, sempre così forte e tranquilla, piangeva. E questo spaventò davvero la bambina. “Cosa sta succedendo? Cos’ha fatto di male?”
«Nonna, scusami, io...»
La mamma le fu subito addosso e la afferrò per una spalla, scuotendola forte. «Non chiedere mai scusa, mai. È da patetici. Andiamo.» La prese per mano e la trascinò fuori.
Tully la seguì in strada, incespicando fino a un pulmino Volkswagen rosso tutto arrugginito e ricoperto di fiori adesivi, con un enorme simbolo della pace dipinto su un lato.
Il portellone si aprì, liberando un denso fumo grigio, attraverso il quale Tully riuscì appena a intravedere un uomo di colore seduto alla guida, con un’immensa capigliatura afro e una bandana rossa. Dietro sedeva una bionda con un fazzoletto marrone annodato intorno alla testa, un gilet tutto frange e pantaloni a righe. Vicino a lei, un uomo con una maglietta che aveva visto tempi migliori e pantaloni a zampa di elefante. Sulla moquette marrone erano sparsi strani tubi, bottiglie di birra vuote, incarti di cibo e vari nastri Stereo 8.
«Questa è Tallulah, mia figlia» la presentò Dorothy.
Tully non disse nulla, ma detestava essere chiamata così. Glielo avrebbe fatto notare più avanti, quando sarebbero state sole.
«Forte» commentò qualcuno.
«È proprio uguale a te, Dot. Da sballo.»
«Salite» tagliò corto il tizio al volante. «Siamo già in ritardo.»
Detto fatto, l’uomo con la maglietta spo...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. L’estate in cui imparammo a volare
  4. Capitolo 1
  5. PRIMA PARTE. Gli anni Settanta
  6. SECONDA PARTE. Gli anni Ottanta
  7. TERZA PARTE. Gli anni Novanta
  8. QUARTA PARTE. Il nuovo millennio
  9. Ringraziamenti
  10. SCOPRI TUTTI I ROMANZI
  11. Copyright