
- 128 pagine
- Italian
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Morte di un naturalista
Informazioni su questo libro
Con Morte di un naturalista, nel 1966, iniziava la straordinaria avventura poetica di Seamus Heaney. Il suo esordio aveva subito imposto una personalità d'autore matura e originalissima, la cui voce si sarebbe ben presto confermata inconfondibile e centrale nel panorama della poesia degli ultimi cinquant'anni. Carico di motivi che verranno poi a svilupparsi nella coerenza delle opere successive, questo primo libro colpisce fin dalle battute iniziali per l'energia con cui viene presentato un mondo in cui il legame con la terra – e con la quotidiana esperienza umile di chi la abita e lavora – sprigiona un senso di complessa autenticità vitale, tanto lontana dalla realtà di oggi da sembrare quasi preistorica. Per gli uomini del paesaggio irlandese di Heaney, la realtà è nella fatica e nella sapienza del lavoro, nello scavo della terra stessa. E il poeta è un osservatore sensibilissimo di fronte alla molteplicità della natura, nel suo incessante ripetersi di morte e rinascita, dove la bellezza e la meraviglia vengono inesorabilmente a coesistere con l'orrore e la paura, sentimento molto forte in quest'opera, come sottolinea nella sua Nota Marco Sonzogni, a cui si deve la bella traduzione in versi italiani. Una molteplicità , quella che si manifesta in Morte di un naturalista, pullulante di presenze, di animali, a volte lievi e guizzanti come farfalle o trote, ma spesso invece inquietanti come rane, topi o pipistrelli o quei poveri gattini affogati. E con gli animali queste pagine di Heaney ci mostrano anche svariati personaggi umani, come il portuale «forte e rozzo come una croce celtica», le «vecchie dalla faccia come pasta con scialli neri», ma anche due grandi maestri di scrittura come Synge, che ha «nella testa il raspare di una dura penna», e Joyce «quasi cieco a Parigi». Uomini in genere indaffarati con i loro attrezzi, uomini elementari e formidabili insieme, legati come il poeta a tradizioni e ritmi a lungo rimasti immutabili e sempre caratterizzati da un contatto fisico diretto costante con «la musica di ciò che accade». Figure, scene e situazioni che risaltano nella loro verità semplice dentro un mondo spigoloso, e che lo scavo poetico di Heaney rende per sempre vive ed esemplari.
Domande frequenti
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Informazioni
Morte di un naturalista
Scavare
Tra il mio pollice e l’indice riposala tozza penna, comoda come una pistola.Da sotto la finestra, un suono aspro e nettoquando la vanga affonda nella terra ghiaiosa:mio padre, che scava. Mi affaccio e guardofinché la sua groppa tesa nello sforzo tra le aiuoles’abbassa, si rialza vent’anni addietrocurvandosi ritmicamente tra i solchi di patatedove stava scavando.Il rozzo scarpone annidato sulla staffa, il manicosaldo contro l’interno del ginocchio a fare leva.Sradicava gli alti ciuffi, affondava la lama lucenteper sparpagliare le patate novelle che raccoglievamostringendole con piacere fredde e dure tra le mani.Per Dio, il mio vecchio la sapeva maneggiare, la vanga.E così il suo.Mio nonno tagliava più torba in una giornatadi ogni altro nella torbiera di Toner.Una volta gli portai del latte in una bottigliacon un tappo di carta abborracciato. Si raddrizzòper bere, poi si rimise subito al lavoro,fendenti e affondi netti, gettandosi le zollesopra la spalla, andando sempre più giùdove la torba era migliore. Scavare.L’odore freddo del terriccio sulle patate, il risucchio e lo schiaffodella torba impregnata, i tagli netti di una lamasu radici vive mi si ridestano nella mente.Ma non ho vanga per seguire uomini come loro.Tra il mio pollice e l’indice riposala tozza penna.Scaverò con questa.
Morte di un naturalista
Tutto l’anno la fossa del lino suppurava nel cuoredel circondario; lino verde dalla testa grevevi era macerato, sotto il peso di zolle enormi.Ogni giorno sudava nel sole assillante.Bolle gorgogliavano delicatamente, mosconitessevano una forte garza di suoni attorno all’odore.C’erano libellule, farfalle maculate,ma il meglio era la bava tiepida e spessadelle uova di rana che crescevano come acqua coagulataall’ombra degli argini. Qui, ogni primavera,riempivo interi vasetti di gelatinosemacchioline da disporre su davanzali a casa,su scaffali a scuola, e aspettavo e osservavo finchéda quei puntini all’ingrasso non fuoriuscivano,svelti natanti, i girini. Miss Walls ci raccontavache il papà -rana si chiamava rana toro,e gracidava, e la mamma-ranadeponeva centinaia di ovetti da cui poi nascevanole rane. Si poteva anche prevedere il tempo con le rane,ché erano gialle quando c’era il sole e brunequando pioveva.Poi un giorno di calura in cui i campi puzzavanodi letame nell’erba, le rane inferociteinvasero la fossa del lino; mi infilai tra le siepisentendo uno sguaiato gracidio che maiavevo udito. L’aria era ispessita da un coro di bassi.Giù in fondo alla fossa, rane dal ventre greve se ne stavano impettitesopra le zolle; le gole flaccide pulsavano come vele. Qualcuna saltava:i tonfi e i plop erano oscene minacce. Altre stavano fermecome bombe di fango innescate, le tozze teste scoreggianti.Ebbi nausea, voltai le spalle e corsi via. I grandi re della melmasi erano radunati là per vendicarsi, e sapevoche se avessi immerso la mano le uova me l’avrebbero afferrata.
Il granaio
Il frumento trebbiato era ammassato come graniglia d’avorioo solido come cemento in sacchi con due orecchie.L’oscurità stantia ammassava un arsenaledi attrezzi da cortile, bardature, vomeri.Il pavimento era di calcestruzzo, grigio-topo, liscio, freddo.Non c’erano finestre, solo due stretti fascidi pulviscolo dorato, trasversali, da sfiatatoi aperti in altosu ciascuna facciata. L’unica porta voleva dire nessuna correnteper tutta l’estate quando lo zinco ardeva come un forno.Una lama di falce, una vanga pulita, i rebbi di un forcone:lentamente oggetti luminosi prendevano forma quando entravi.Poi sentivi le ragnatele irretirti i polmonie filavi via di corsa nel cortile soleggiato –in notti quando i pipistrelli svolazzavanosulle travi del sonno, dove occhi luminosi fissavano,penetranti, senza battere ciglio, da mucchi di grano accantonati.Il buio era spalancato come la volta di un tetto. Ero pulada beccare quando gli uccelli saettavano dagli sfiatatoi.Mi stendevo a faccia in giù per schivare la paura dall’alto.I sacchi orecchiuti avanzavano come enormi ratti ciechi.
Un avanzamento delle conoscenze
Presi il sentiero lungo l’argine(come sempre, schivandoil ponte). Il fiume correva annusando,flessuoso, impermeabile, copertoda una decalcomania di facciate e di cielo.Curvo sulla ringhiera,ormai lontano dalla stradaosservai i cigni dalla chiglia sporca.Qualcosa sciaguattò, brusco, vicino,sbavando sul silenzio: un rattosgusciò viscido dall’acqua ela nausea mi salì in gola così di colpo cheripiegai lungo il sentiero sudando freddoma, Dio, un altro svelteggiavasu per l’argine opposto, tracciando i suoi archibagnati sui sassi. Incredibilmente allorastabilii una temutatesta di ponte. Mi girai a fissarecon meditata, fremente attenzioneil mio roditore fin lì snobbato.Girò a vuoto su se stesso per un poco,si fermò, rinsaccato e luccicante,le orecchie appiattite sul cranio nocchiuto,insidiosamente in ascolto.La coda affusolata che lo seguiva,gli occhi gocce di pioggia, il vecchio muso:uno alla volta presi atto di tutto.Mi puntò. Ressi la sfida e la vinsidimentico del panico che mi prendeva semprequando i suoi grigi fratelli grattavano e mangiavanodietro al pollaio nel nostro cortile,sulle assi del soffitto sopra il mio letto.Quel terrore, freddo, il pelo bagnato, i piccoli artigli,ripiegò su per un tubo delle fogne.Stetti a guardarlo un altro istante.Poi mi rimisi in cammino e attraversai il ponte.
La raccolta delle more
Fine agosto: pioggia battente e soleper un’intera settimana, e le more maturavano.All’inizio, solo una, un lucente grumo violain mezzo ad altri, rossi, verdi, duri come nodi.Mangiavi quella primizia e la polpa era dolcecome vino addensato: aveva dentro il sangue dell’estateche lasciava macchie sulla lingua e bramadi raccolta. Poi quelle rosse si tingevano d’inchiostro, e quella fameci mandava con lattiere, barattoli di piselli e di marmellatadove i rovi graffiavano e l’erba umida ci scoloriva le scarpe.Intorno a campi di fieno, campi di grano e solchi di patate,scarpinavamo e raccoglievamo fino a colmare le lattine,finché il fondo tintinnante non si ricoprivadi...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Morte di un naturalista
- Morte di un naturalista
- Death of a Naturalist
- Note ai testi
- Nota del traduttore
- Ringraziamenti
- Copyright