Alice Nutter e Roger Nowell cavalcavano alla testa del gruppo. Alice non accennò al conestabile Hargreaves, né a Jem Device o agli eventi della sera precedente. Con la consueta gentilezza, Roger Nowell le chiese se aveva dormito bene, e lei rispose di sì. Spero che abbia trovato il suo evaso, aggiunse. Purtroppo no, non lo aveva trovato.
Potts viaggiava con loro. Era un pessimo cavaliere e di solito preferiva spostarsi in carrozza: purtroppo nel Lancashire le strade non erano necessarie quanto lo erano a Londra, e così aveva dovuto accontentarsi di viaggiare su un carretto aperto tirato da un ronzino, sobbalzando sulle buche di quegli stretti sentieri. Era già di cattivo umore per aver passato una notte insonne a Pendle Hill senza nemmeno vedere l’ombra di un manico di scopa. Era incuriosito all’idea di conoscere Alice Nutter, ma in sua presenza si era sentito a disagio. Quella donna lo guardava in un modo che lo faceva sentire meno importante di quanto lui sapesse di essere.
Era contento di viaggiare dietro il gruppo di cavallerizzi.
Anche Roger Nowell era contento di non dover parlare con Potts. Sia lui che Alice erano assorti nei loro pensieri, e si scambiavano solo qualche monosillabo.
Alice si era svegliata molto prima dell’alba. Christopher dormiva accanto a lei, con il sonno pesante di chi da lungo tempo non dorme abbastanza; sdraiato sulla schiena, con un braccio fuori dal letto, dormiva tranquillo come un bambino che si sente al sicuro.
Dopo averlo svegliato, l’aveva condotto nel passaggio segreto che dalla camera portava nello studio. L’aveva chiuso lì dentro e se n’era andata. Non sapeva se l’avrebbe rivisto. Lui voleva partire per Lancaster. Lei sapeva di amarlo.
«Hoghton Tower» disse Roger Nowell, frenando il cavallo e interrompendo i pensieri di Alice. «È davvero una splendida magione.»
Erano arrivati nel viale lungo più di un miglio che portava alla residenza. Anche se i de Hoghton erano giunti in Inghilterra con Guglielmo il Conquistatore, la casa aveva solo cinquant’anni. Era stata costruita da Thomas Hoghton, che se l’era goduta poco, perché, non volendo abiurare la sua fede cattolica, era stato costretto a fuggire in Francia.
«Aveva dato asilo a Edmund Campion» disse Roger Nowell «Ricordate?»
Alice ricordava. «Bruciato vivo per la sua fede.»
«Thomas Hoghton ha avuto la fortuna di poter fuggire. Ha usato i suoi soldi per fondare il seminario gesuita a Douai, in Francia» disse Roger Nowell. «Christopher Southworth ha studiato da prete lì.»
Alice lo osservò di sottecchi: lui teneva la testa dritta, lanciando sguardi ammirati alla casa.
«Richard, il figlio di Hoghton, non aveva a cuore la religione; in compenso aveva un ottimo fiuto per la politica. Di conseguenza è riuscito a tenersi la casa e Jimmy, il buon Re scozzese, lo scorso anno lo ha insignito del titolo di cavaliere.»
«Non vi piace il nostro Re Giacomo?» chiese Alice.
«È un intrallazzatore, e se il Re è un intrallazzatore, noi dobbiamo seguire le sue orme. Credete forse che mi faccia piacere mandare al patibolo un manipolo di vecchie megere e la loro folle progenie?»
«Allora non chiedetemi di aiutarvi.»
«Mistress, in verità siete voi che avete chiesto il mio aiuto.»
Rallentò l’andatura del cavallo, lasciando che Alice lo superasse. Non poté fare a meno di ammirarne la figura, il portamento, la capigliatura, la bellezza fuori dal comune. Non si era mai interessato a lei. Si controllò: non era questo il momento per cominciare.
Alice si stava vestendo nella stanza che le era stata assegnata. Voleva apparire al meglio. La cameriera le allacciò l’abito color magenta e le mise gli smeraldi al collo e alle orecchie. Non appena se ne fu andata, Alice prese una piccola fiala dalla borsa, ne fece uscire qualche goccia e si umettò il viso. Di liquido ne era rimasto poco: l’aveva preparato John Dee e glielo aveva donato. Non era l’elisir della vita, era l’elisir della giovinezza.
Scese al piano di sotto e trovò Potts che parlava con un ometto quasi calvo dall’aria cordiale. «Sono un gentiluomo londinese, perciò trovo questi intrattenimenti campagnoli assai noiosi» disse Potts.
«E allora perché vi partecipate?» chiese l’ometto, che aveva una faccia da gufo.
«Sono ospite del giudice Nowell. Mi trovo nel Lancashire per questioni che riguardano la Corona. Sì, nientemeno che la Corona!» disse Potts, impettito. «Potrei non dire nulla, ma voi nemmeno immaginate i complotti di stregoneria e papato, papato e stregoneria che ho sventato.»
«Dovete essere stanco morto» disse Alice, raggiungendo i due uomini. «Avete la faccia di chi è stanco morto.»
L’ometto dall’aria cordiale le sorrise. Potts la fulminò con lo sguardo. Suonò una campana e un servitore annunciò l’inizio della rappresentazione.
«Shakespeare» sbuffò Potts. «Un arrampicatore sociale. Melodrammatico e mediocre. Macbeth, suvvia… era davvero un dramma assurdo. E, a parer mio, c’erano molte cose sospette.»
«Sospette?»
«Le megere, le streghe, le vecchiacce, chiamatele come volete, che fanno la profezia a Macbeth, non parlano del “pollice di un pilota naufragato”, pronto per essere gettato nel loro calderone infernale?»
«Sì che ne parlano…»
«Ah! Quello è il pollice di Edmund Campion, il gesuita messo al rogo per tradimento, nascosto qui, in questa casa, proprio così, quando Shakespeare stesso vi lavorava come precettore.»
«E dunque?» disse il cordiale gentiluomo.
«Stregoneria e papato, papato e stregoneria: non sono che la stessa cosa.»
Il cordiale gentiluomo si strinse nelle spalle e offrì il braccio ad Alice. «Posso accompagnarvi alla rappresentazione?»
Alice annuì, e in quel momento Roger Nowell si avvicinò. Non degnò Potts nemmeno di un’occhiata. Fece un inchino al cavaliere di Alice.
«William Shakespeare, i miei omaggi.»
Potts era sparito.
Prendendo posto per assistere alla rappresentazione, Alice e Shakespeare conversarono. Lui disse che si ricordava di averla conosciuta molti anni prima; era appena arrivato a Londra da Stratford, e lei abitava in una casa a Bankside, vicino allo Swan Theatre. L’aveva accolto con il calore di una donna del Nord. Lui amava le donne del Nord per la loro franchezza e la loro gentilezza: ne aveva conosciute molte nel periodo in cui, in giovane età, aveva fatto il precettore lì a Hoghton Tower.
«A quel tempo eravamo tutti cattolici» disse «anche quando non lo eravamo.»
«A quel tempo eravamo giovani» disse Alice.
Shakespeare la guardò, incuriosito. «Anche quando non lo eravamo.»
Alice arrossì. Le ricordava un gufo, con quegli occhi luminosi, la testa che sembrava appollaiata sulla gorgiera. Gli occhi sembravano più profondi del suo sguardo, e lei ebbe l’impressione che sapesse tutto e che non ci fosse bisogno di aggiungere altro.
Ora Shakespeare era ricco, viveva a Stratford e non scriveva più drammi. Si era sobbarcato il viaggio fino a Hoghton Tower perché era affezionato a quel luogo e a quella commedia. La sua compagnia teatrale era ancora quella dei King’s Men, e La tempesta era stata scelta per essere rappresentata al matrimonio della figlia di Re Giacomo, che si sarebbe celebrato l’anno successivo.
«Ho superato tutte le tempeste» disse Shakespeare, «anche quelle che ho scritto di mio pugno. Ecco, guardate, comincia…»
Violento scoppio di tuoni e fulmini.
Entrano CAPITANO e NOSTROMO.
CAPITANO: Nostromo!
NOSTROMO: Eccomi, capitano. Che c’è di nuovo?*
La mente di Alice seguiva la commedia solo a tratti. Ripensava all’occasione in cui Shakespeare era venuto a casa sua: allora aveva i capelli lunghi, una folta barba, e portava un orecchino. Questa volta non l’aveva riconosciuto.
Man mano che la recita procedeva, le sembrò di sentire di nuovo la voce di Elizabeth; erano insieme nella casa di Bankside, nelle loro stanze segrete al piano di sopra, affacciate sul Tamigi e su tutta Londra, la grande città.
«Hai venduto la tua anima, Lizzy?»
«Il Signore delle Tenebre si prenderà un’anima. Non deve per forza essere la mia.»
«Dubito che ce ne sarà un’altra disposta ad andare all’inferno per il tuo piacere.»
«Tu non credi nell’inferno e nelle anime, vero, Alice?»
«Io credo che tu sia cambiata.»
Alice alzò lo sguardo, distolta dai suoi sogni ad occhi aperti, rapita dai sogni a occhi aperti della commedia, più potenti dei suoi.
ARIEL: Tuo padre è là nel fondo, a cinque tese:
già sono di corallo le sue ossa,
e i suoi occhi sono diventati perle.
Tutto di lui destinato a svanire
subisce ora dal mare un mutamento
in qualche cosa di ricco e di strano.*
Alice svenne.
Quando riprese conoscenza, si trovava in una stanzetta poco lontana dalla sala principale. Le giungevano le voci degli attori: lo spettacolo continuava. Il suo servitore era chino su di lei. William Shakespeare gli prese di mano l’acqua e gliela fece bere. Disse che era lusingato dal fatto che la sua commediola avesse avuto un tale effetto su di lei.
Mi sono perduta nel tempo, disse Alice. Ah, sì, il tempo, disse lui, il tempo è un luogo dove ci si può perdere.
Poi, senza sapere perché, Alice gli fece questa domanda: «Voi credete nella magia?».
«Lo chiedete proprio a me, che sono un attore e un vecchio pennivendolo, e proprio voi, che avete lavorato con John Dee ed Edward Kelley?»
«Li conoscevate?»
«Conoscevo tutti quelli che era interessante conoscere. Ditemi, credete che una statua di pietra possa tornare in vita? Ho usato questo espediente in una commedia che sto ancora rivedendo, intitolata Racconto d’inverno. Il finale non può funzionare, a meno che non si creda, anche solo per un momento, che una statua possa scendere dal suo piedestallo e abbracciarti. Che possa restituirti quello che hai perduto.»
«John Dee ha costruito uno scarabeo di metallo che volava come una creatura viva. Ecco perché è stato arrestato con l’accusa di stregoneria.»
«Oggigiorno ti possono arrestare per qualunque cosa. Comunque non credo di poter terminare la mia commedia con uno scarabeo di metallo, per quanto possa sembrare vivo.»
«Non mi avete risposto» disse Alice.
Shakespeare scosse la testa e affondò il mento nella gorgiera, assumendo un’aria più da gufo che mai. «Ho già scritto abbastanza di altri mondi. Ho detto quello che posso dire. Ci sono molti tipi di realtà. Questa è solo una delle tante.» Allungò le mani per indicare le pareti, i tappeti, gli arazzi e le cose attorno a lui. «Tuttavia, Mistress, non date a vedere che vi allontanate troppo dalla realtà che è chiara per gli altri, o vi accuseranno di rifugiarvi in una realtà che è chiara per voi.»
La porta si aprì e Roger Nowell entrò, con una parte del suo seguito. Tutti si complimentarono con Shakespeare, eccetto Potts, che se ne stava imbronciato in un angolo. Disse a Nowell: «Lo sapete, vero, che questo commediografo, come lui stesso si definisce, questo Shakespeare, era ben noto a Catesby, il capo dei cospiratori della Congiura delle Polveri?».
Roger Nowell annuì, irritato.
«C’erano due covi di cattolici, in Inghilterra. Un covo a Stratford-upon-...