Gregor, seduto sul letto, seguiva le cicatrici sulla sua pelle con la punta delle dita. Erano di due tipi diversi. Le linee sottili che gli si intersecavano sul braccio erano state lasciate dai rampicanti infidi che avevano cercato di trascinarlo nella giungla del Sottomondo. I segni più profondi, invece, quelli inferti dalle mandibole di formiche gigantesche durante una battaglia, li aveva su gran parte del corpo, anche se erano le gambe ad aver avuto la peggio nello scontro. Le cicatrici erano diventate un po’ più lisce, ma il loro bianco quasi perlaceo le rendeva fin troppo visibili con le maniche corte e i pantaloncini. La cosa non aveva avuto la minima importanza quando faceva freddo e Gregor doveva portare abiti pesanti, ma adesso, con i trenta e più gradi di luglio, era davvero un bel problema.
Con una smorfia, prese un vasetto di pietra dal davanzale e svitò il coperchio. La stanza si riempì all’istante della puzza di pesce della pomata. Gliel’avevano prescritta i medici del Sottomondo per ridurre i segni delle cicatrici ma non era stato molto coscienzioso nell’usarla. A dire la verità, non ci aveva pensato granché fino a quel giorno di maggio in cui era entrato nel salotto in calzoncini e la sua vicina, la signora Cormaci, aveva boccheggiato: — Gregor, non puoi uscire così, con le gambe in bella mostra! La gente comincerà a fare domande!
Aveva ragione. C’erano milioni di cose che la sua famiglia non poteva permettersi… e le domande erano in cima alla lista.
Mentre si spalmava la pomata oleosa sulle gambe, Gregor ripensò con desiderio al campo di basket del suo quartiere, ai grandi prati erbosi di Central Park e alla piscina pubblica. Almeno poteva andare nel Sottomondo. Saperlo lo consolò un po’.
Certo che era assurdo… Il Sottomondo, luogo che lo aveva sempre terrorizzato, era diventato la meta ideale per sfuggire a quell’estate! Nell’appartamento bollente si ammassavano Gregor, la nonna costretta a letto, il padre malato e le due sorelle più piccole, Lizzie e Boots, rispettivamente di otto e tre anni. Eppure, la sensazione era sempre che mancasse qualcuno… la sedia vuota al tavolo di cucina… lo spazzolino da denti inutilizzato nel bicchiere… a volte, Gregor si sorprendeva a vagare senza meta da una stanza all’altra, in cerca di qualcosa, per poi rendersi conto che sperava solo di trovare sua madre.
Per un sacco di motivi, lei stava meglio nel Sottomondo. Anche se era a chilometri di profondità, rispetto a casa, e tutta la famiglia le mancava moltissimo. La città umana di Regalia aveva dottori e tanto buon cibo, oltre a una temperatura sempre gradevole. Laggiù, la gente trattava sua madre come una regina. Se riuscivi a ignorare il fatto che la città era sempre sul piede di guerra, non era poi tanto male come posto per passarci le vacanze.
Gregor andò in bagno a lavarsi le mani con l’unica cosa che sembrava in grado di annullare la puzza della pomata al pesce, il detersivo in polvere. Poi si avviò verso la cucina per preparare la colazione.
Lo attendeva una piacevole sorpresa. La signora Cormaci era già lì a strapazzare uova e versare succo di frutta. Sul tavolo c’era una grossa scatola di ciambelle cosparse di zucchero a velo. Boots, nel suo seggiolino, aveva un cerchio bianco di zucchero tutto intorno alla bocca e masticava rumorosamente una ciambella. Lizzie, invece, fingeva di mangiucchiare le sue uova.
— Ehi, ma è un’occasione speciale? — chiese Gregor.
— Lizzie va in campeggio! — rispose Boots.
— Proprio così, signorina — confermò la signora Cormaci. — E noi ci assicuriamo che faccia una bella colazione prima di partire.
— Una beeella colazione — concordò Boots. Infilò una manina appiccicosa nella scatola delle ciambelle e ne tese una a Lizzie.
— Ne ho già una, Boots — disse Lizzie. Non l’aveva nemmeno toccata. Gregor sapeva che probabilmente era troppo nervosa per mangiare, con la storia del campeggio e tutto il resto.
— Io no — intervenne Gregor. Bloccò il polso di Boots, diresse la ciambella verso la sua bocca e ne prese un boccone enorme. Boots si mise a ridacchiare e insisté per dargli tutta la ciambella, impiastricciandogli la faccia di zucchero.
Il padre di Gregor entrò in cucina con un vassoio vuoto.
— Come sta la nonna? — chiese Gregor, osservando attento le mani del padre in cerca dei tremiti che indicavano l’inizio di una brutta giornata. Quella mattina, però, le mani sembravano ferme.
— Oh, sta magnificamente. Sai quanto adora una buona ciambella — rispose lui con un sorriso. Poi notò la colazione quasi intatta nel piatto della figlia. — Devi metterti un po’ di quella roba nello stomaco, Lizzie. Oggi è un gran giorno.
Le parole si rovesciarono da Lizzie come acqua da una diga crollata. — Non credo che dovrei andare! Non credo che dovrei andare, papà! E se qui succede qualcosa e avete bisogno di me, e se la mamma peggiora, e se torno e non c’è più nessuno? — Aveva il respiro corto e accelerato. Gregor notò che cominciava ad agitarsi.
— Non succederà proprio niente, tesoro — replicò suo padre. — Ora ascolta: qui staremo tutti benissimo, e anche tu starai benissimo in campeggio. E tua madre migliora ogni giorno.
— Lei ci tiene, Liz — rincarò Gregor. — Mi ha raccomandato almeno venti volte di dirtelo. E poi, non è che tu vada a trovarla e…
Uno sguardo del padre interruppe Gregor. Stupido! Che stupido era stato! Lizzie aveva cercato più volte di trovare il coraggio di scendere nel Sottomondo e andare a trovare la madre, ma non era mai riuscita ad arrivare oltre la grata della lavanderia prima di essere colta da un attacco di panico in piena regola. Alla fine, si ritrovava raggomitolata sulle piastrelle accanto all’asciugatrice, tremante, sudata e col respiro affannoso. Sapevano tutti quanto desiderasse andare. Solo che non ci riusciva.
— Cioè, scusa, intendevo solo… — balbettò Gregor. Ma il danno era fatto, ormai. Lizzie aveva un’aria distrutta.
— Perché tua sorella è l’unica di questa famiglia ad avere un po’ di buon senso — intervenne la signora Cormaci. Sistemò di nuovo le trecce di Lizzie, anche se erano già perfette. — Non mi faresti scendere in quel Sottomondo neanche per un milione di dollari. No davvero.
La primavera precedente, in un momento di disperazione, Gregor aveva deciso di confidare il bizzarro segreto della sua famiglia alla signora Cormaci. Le aveva raccontato tutta la storia, a partire dalla misteriosa scomparsa di suo padre, avvenuta tre anni e mezzo prima. Le aveva detto che, nel rincorrere Boots attraverso una grata nella lavanderia, l’estate precedente, erano precipitati entrambi per chilometri sotto New York, fino a raggiungere una strana terra buia. Quella terra, nota come Sottomondo, era popolata da giganteschi animali parlanti – scarafaggi, pipistrelli, ragni e molti, molti altri – e da umani con la pelle chiarissima e gli occhi viola che avevano costruito una splendida città di pietra chiamata Regalia. Alcune creature erano amiche, altre nemiche, e spesso Gregor faticava a vedere la differenza. Era stato laggiù tre volte: la prima per salvare suo padre, la seconda per affrontare un ratto bianco, detto il Flagello, e la terza solo pochi mesi prima, per aiutare i sanguecaldo del Sottomondo a trovare la cura per una terribile epidemia. La madre di Gregor era stata contagiata e nessuno sapeva quando si sarebbe rimessa abbastanza da tornare a casa. Infine, Gregor aveva rivelato alla signora Cormaci l’esistenza di una serie di profezie che lo definivano “guerriero”. E non un guerriero qualunque, ma quello destinato a salvare i regaliani dall’estinzione, aggiungendo di avere anche scoperto, dopo alcuni scontri violenti, che lui, Gregor, era una furia, appellativo riservato solo a pochi combattenti particolarmente letali.
La signora Cormaci non l’aveva interrotto nemmeno una volta, non aveva commentato in nessun modo. Alla fine del suo discorso, aveva detto solo: — Be’, questa le batte tutte.
La cosa straordinaria era che sembrava avergli creduto. Oh, aveva fatto un sacco di domande, certo. Aveva preteso di verificare tutta la storia una seconda volta con suo padre. D’altra parte, sospettava ormai da tempo che alla sua famiglia stesse succedendo qualcosa di molto strano. La verità fu quasi un sollievo, per lei. Spiegava le sparizioni, le cicatrici di Gregor e il fatto che Boots salutasse tutti gli scarafaggi che vedeva.
La signora Cormaci poteva accettare la natura fantastica del Sottomondo. Dopotutto, lei aveva appeso un cartello vicino alle cassette delle lettere nel quale si offriva di leggere il futuro coi tarocchi. Eppure, quella prima notte in cui Gregor l’aveva portata giù in lavanderia a conoscere un enorme pipistrello parlante, persino la signora Cormaci era parsa un tantino sconvolta. Aveva scambiato due chiacchiere educate con la creatura, fatto commenti sul tempo e, quando dall’asciugatrice si era sollevata un po’ di lanugine che si era attaccata al pelo del pipistrello, non aveva esitato a togliergliela, dicendo: — Sta’ fermo. Hai della polvere su un orecchio. — Dopo che l’alato era ripartito, però, la donna aveva dovuto sedersi sulle scale per un po’, a riprendere fiato.
— Tutto a posto, signora Cormaci? — le aveva chiesto Gregor. L’ultima cosa che voleva era farle venire un attacco di cuore trascinandola nei loro guai.
— Oh, sì. Sto bene — aveva detto lei, dandogli una pacca sulla spalla con aria assente. — È solo che, finché non ho visto quel pipistrello, questa storia non era proprio vera… mentre adesso è un po’ più vera di quanto mi aspettassi.
Da quel momento in poi, la signora Cormaci si era assunta il compito di occuparsi di Gregor e dei suoi. E loro l’avevano lasciata fare perché avevano un gran bisogno del suo aiuto.
La donna finì di sistemare le trecce di Lizzie. — Allora, i vestiti per il campeggio sono già pronti. Ti faranno pranzare appena arrivi. Che ne dici se incarto la tua ciambella per il viaggio? — chiese.
— No, mi dispiace. Tanto non la mangerei — rispose Lizzie. — Voglio che Gregor la dia a Ripred, invece.
— Va bene, Liz — disse Gregor. Quel giorno aveva una lezione di ecolocalizzazione con il grosso rodente. A Gregor non piaceva molto quell’abitudine di portare il cibo di Lizzie a Ripred, ma per lei era importante e la cosa migliorava sempre l’umore del ratto.
La signora Cormaci scosse la testa. — C’è un intero mondo di creature che se la passano male, là sotto: hanno avuto l’epidemia, soffrono la fame, subiscono attacchi continui… Si può sapere perché vuoi regalare la tua ciambella proprio a un ratto strafottente, che forse è l’unico in grado di badare a se stesso?
— Perché credo sia solo — rispose Lizzie a bassa voce.
Gregor soffocò uno sbuffo esasperato. Ci voleva giusto Lizzie per trasformare quel brontolone terrificante e irascibile di Ripred in qualcuno da compiangere!
— Be’, per essere tanto piccola, hai proprio un gran cuore — commentò la signora Cormaci, abbracciandola. — Vai a lavarti i denti, così non perdi il pullman.
Lizzie uscì, felice di evitare la colazione. La signora Cormaci la seguì con lo sguardo e scosse la testa. — Lei sì che mi preoccupa.
— Forse il campeggio le farà bene — suggerì Gregor.
— Certo. Certo che le farà bene — confermò suo padre. Ma nessuno ne sembrava davvero convinto.
Bene o male, quindici minuti più tardi Lizzie salì sul pullman. Destinazione: il campeggio estivo che il municipio organizzava per i bambini.
Gregor aveva circa un’ora prima della sua lezione con Ripred. Si sedette quindi con suo padre e la signora Cormaci per discutere di quelli che chiamavano “affari di famiglia”.
Giù a Regalia, gli umani avevano un museo pieno di cose cadute da New York insieme ai loro sfortunati proprietari. La storia era andata avanti per molti secoli, ragion per cui ce n’era una vera e propria collezione. A causa della situazione finanziaria in cui si trovava la sua famiglia, a Gregor era stato permesso di prelevare qualunque oggetto di valore. All’inizio aveva setacciato vecchi portafogli e borsellini, racimolando tutto il denaro che era riuscito a trovare, e per un po’ quei soldi li avevano tenuti a galla.
Ma la signora Cormaci aveva progetti ben più grandiosi. — Conosco un tale, il signor Otts. Lui compra e vende pezzi d’antiquariato. — Aveva dato a Gregor una valigia, ordinandogli di riempirla in occasione del viaggio successivo. E lui l’aveva fatto. Alcuni oggetti non valevano niente, ma un anello con una grande pietra rossa era servito a pagare i conti di due mesi interi. Il denaro ricavato dall’anello era quasi finito, ormai, così stavano progettando la loro prossima vendita. Furono tutti d’accordo che dovesse trattarsi di un raffinato violino antico che Gregor aveva trovato in fondo al museo, sotto una sella. Era intatto, ancora nella sua custodia. Bastava guardarlo per capire che valeva un sacco di soldi.
Gregor era riconoscente per le entrate che portavano quegli oggetti, ma non gli piacevano le sue perquisizioni del museo. Non gli piaceva pensare ai portafogli, all’anello, al violino… alle persone cui erano appartenuti e alla ...