Vieni via con me
  1. 504 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

Jenny e Ruth sono state amiche per la pelle durante gli anni della scuola, fino al giorno in cui Ruth se ne è andata dal villaggio della Cornovaglia in cui sono cresciute e le due ragazze si sono perse di vista. Quattordici anni più tardi il caso le riunisce: le due donne si ritrovano sullo stesso treno, si riconoscono, iniziano a raccontarsi le loro vite e in breve l'antico affetto si riaccende, il legame si riforma, più forte che mai. Una gioia subito interrotta da una terribile rivelazione: quando Ruth presenta all'amica il figlio Adam, Jenny ritrova immediatamente nel viso del ragazzo i lineamenti di suo marito Tom, morto tragicamente sei mesi prima. Mentre la verità su Adam emerge, Jenny e Ruth vengono avvinte in una spirale di amore, morte, dolore e ossessione che finirà per sconvolgere entrambe le famiglie.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804571490
eBook ISBN
9788852051593

PARTE PRIMA

1

Febbraio 2006
Adam sentì rizzarsi la peluria dietro il collo. Quel terrore angosciante che ben conosceva era tornato. Strinse forte la canna da pesca. Alle sue spalle, la foresta si levava fitta e scura sulla cala. Sapeva che stava lì a guardarlo, lo sentiva.
Un momento prima, voltandosi a prendere la giacca, aveva lanciato un’occhiata agli alberi e si era accorto che le ombre erano cambiate; sapeva che quella forma scura, dove prima c’era solo luce, era qualcosa, qualcuno che stava a guardarlo. Che aspettava. Aspettava che lo superasse sul sentiero per poi balzargli addosso.
Prese a riavvolgere la lenza, le orecchie tese: se fosse passato qualcuno avrebbe potuto precipitarsi sul sentiero e camminargli dietro fino al cottage. Al momento sembrava non ci fosse nessun altro sul viottolo. La curva della spiaggia era deserta, solo chiurli coi loro trilli sottili, un airone ritto su una zampa e la foschia, che si spostava nella sua direzione oscurando il sole, mentre la marea si alzava inesorabile.
Quando ebbe fermato la lenza, Adam chiuse i barattoli, prese il binocolo e mise in ordine le cose. Ora doveva girarsi lentamente per prendere lo zaino. Si costrinse a guardare il bosco. L’ombra era sparita. Il sentiero era libero. Gettò le cose nella borsa, afferrò la canna da pesca e si alzò in piedi mentre il sole sbucava di nuovo da una coltre di nebbia.
Fece un passo verso la vecchia rimessa sul pontile per raggiungere il sentiero retrostante. Mezzo accecato dal sole, si accorse che qualcosa giaceva contro il muro dell’edificio ed ebbe un violento sobbalzo. Guardò meglio: era una donna distesa sopra un cappotto, tutta rannicchiata, le ginocchia al mento e i capelli scompigliati che le coprivano il viso. Sembrava minuscola, come una bambina, e si stringeva nelle braccia sottili, perfettamente immobile. Jenny.
Adam rimase di sasso. La osservò e fu invaso da un profondo senso di pietà che lo spaventò. Il cuore in una morsa, gli occhi trafitti dalla visione di un adulto sofferente. La paura svanì. Tutto iniziava ad assumere un senso, per quanto bizzarro. Jenny l’aveva perso. Talvolta la gente impazzisce per le tragedie.
Doveva tornare al cottage di corsa. Doveva chiamare sua madre, ma non poteva lasciarla lì, così vulnerabile e sola su quel vecchio cappotto, come una barbona. Proprio non poteva. La donna era stranamente immobile. Adam mise giù la canna da pesca, appoggiò lo zaino a terra e si avvicinò per toccarla.
Non era morta. Al contatto delle dita il corpo era tiepido. Quando la sfiorò, lei si mosse e aprì gli occhi. Adam indietreggiò un poco. Non sapeva cosa dire.
Vedendolo, Jenny si sforzò di mettersi a sedere e lui si accorse che le tremavano le mani.
«Va tutto bene» disse in fretta. «È tutto a posto.»
Lei lo fissava come se venisse da un luogo remoto.
«Adam.» Aveva la voce roca, come se non parlasse da un po’. Gli tese la mano. Adam non trovò il coraggio di stringerla. Sentiva il cuore che gli martellava nel petto. Voleva correre in cerca di Ruth. Era troppo per lui.
Jenny lasciò cadere la mano. «Scusa» mormorò. «Mi dispiace moltissimo averti spaventato.» Aveva un tono apatico e il viso pallido.
Adam le si accucciò di fronte. «Perché... perché mi seguivi nascosta nel bosco? Non capisco.»
Jenny non rispose e Adam disse: «Vado a chiamare la mamma. Andrà tutto bene. In cinque minuti saremo qui».
«Volevo parlarti, stare con te, da sola...» La voce di Jenny si affievolì.
«Perché?» Adam era a disagio.
«Assomigli così tanto a Tom, così tanto. Per qualche ragione ho pensato che fossi mio figlio, e io tua madre.»
Gli occhi di Jenny sembravano pesti e la faccia pareva più piccola sotto la massa di capelli ricci.
«Perdonami» disse. «Probabilmente sto impazzendo. Non volevo spaventarti. Non ti farei mai del male. Credimi, ti prego.»
Adam annuì. «Vedrai, andrà tutto a posto. Ora vado a chiamare Ruth.» Ebbe un’esitazione. «Riusciresti ad arrivare al cottage col mio aiuto?»
Jenny scosse la testa. «Adam, sono stanchissima.»
Lui si sporse in avanti e le toccò la mano. «Tu resta lì, Jenny. Non ci metterò molto.»
Si girò e balzò sul sentiero che si snodava sinuoso verso il cottage e verso sua madre. Rallentò alla curva per prendere fiato. Alle sue spalle sentì degli uccelli spaventati che si alzavano rumorosamente dall’acqua rompendo il silenzio. Si voltò. Jenny era in piedi e si era messa addosso il pesante cappotto. Con fare deciso si stava addentrando nell’acqua, che fluiva rapida e nera all’interno della cala con la corrente entrante.
«No!» gridò Adam, mentre tornava indietro di corsa con tutta l’energia che aveva nelle gambe, il petto che gli doleva a ogni respiro. «No, Jenny, no, no, no.»

2

Agosto 2005
Rosie è stesa fra noi, addormentata, il sederino grassottello all’aria; le piante dei suoi piedini sono rivolte all’insù e ricordano l’interno delle conchiglie rosa. È caparbiamente incuneata fra me e Tom, la faccia contro il suo braccio. Respirano all’unisono, con lo stesso ritmo sommesso. Quando dorme, Rosie sembra ancora piccolissima, con i riccioli scuri appiccicati alla testa e le gote accese. Devo trattenermi dal posare le labbra sulle sue guance morbide.
Tom è mezzo girato verso di noi, una mano sotto la testa e una sulla coscia, con le dita divaricate come per proteggere Rosie.
Ha la faccia affondata nel cuscino, i capelli corti a ciocche irte, il viso umido per il calore dei nostri corpi stretti in un unico letto in questa notte di fine estate.
Il torace e le braccia nude sono scuri e possenti. La sua pelle splende di salute. È proprio in forma.
La finestra è aperta per catturare anche il minimo alito di vento e io lo guardo alla luce gialla del lampione, il mio corpo stremato dal desiderio, dal bisogno costante di toccarlo. Amo questi momenti rubati, queste notti tranquille in cui lo guardo dormire. Le immagazzino nella mente, in previsione di quando scomparirà di nuovo.
È l’ora quieta fra la notte e l’alba, quando Londra si ferma per un attimo. Allora, nel silenzio dell’oscurità, posso fingere di sentire il rumore lontano del mare e gli strepiti dei gabbiani al sorgere del giorno.
Non è nostalgia, ma il lusso della felicità. È la coscienza che qui, sia pure in una città, ho una vita con l’uomo che amo. In una casa adatta a noi, che accoglie tutti quelli di cui ho bisogno per sentirmi bene, per fare il lavoro che amo. Non è una felicità perfetta, perché sarebbe impossibile. Ci sono le separazioni continue che interrompono il corso della nostra vita. Non so mai dov’è Tom, o quando sarà a casa. Queste sono le zone d’ombra.
Devo essermi addormentata, perché quando mi sveglio gli uccellini cantano e la luce del sole si riversa nella stanza dalla finestra aperta. Sento Flo salire lentamente la seconda rampa di scale fino al laboratorio all’ultimo piano. Che meraviglia quando ha deciso di unirsi a noi. Starà controllando i programmi di lavoro per lunedì. Fra poco entrerà a portarci il tè e dirà qualcosa sul fatto che Rosie è di nuovo nel letto con noi.
Mi stiracchio soddisfatta e poi, sporgendomi sopra Rosie, passo delicatamente la punta del dito sul braccio di Tom. È liscio come un rotolo di seta. I miei capelli si riversano sulla faccia di Rosie, fanno il solletico a Tom, ed entrambi si muovono.
Lui sbadiglia, apre un occhio e, vedendo che lo sto a guardare, sorride assonnato e si gira sulla schiena. Ha un’eleganza spontanea nei movimenti e mi ricorda un gatto.
Si gira verso Rosie, appoggiata a lui, e le scosta i capelli dal visino caldo. Improvvisamente mi guarda, gli occhi di un azzurro intenso. È uno dei rari momenti in cui abbassa la guardia e la sua vulnerabilità m’impressiona.
Ho sempre pensato che il nostro amore non fosse equilibrato. Per me Tom è tutto. Per lui, io sono importante, ma non sono tutto. In questo momento vedo il suo amore per me e per Rosie allo stato puro.
Mi muovo verso di lui e lui mi tira oltre il corpo di Rosie, affondando la testa nei miei capelli.
Rosie si sveglia all’istante e ride. «Io! Io! Papà!»
Tom allunga il braccio e la solleva sopra di noi facendola strillare di gioia.
Flo bussa alla porta. «Tè?» chiede.
Ci separiamo rapidamente e ci mettiamo a sedere. «Sì, grazie. Entra pure!»
Flo entra con il vassoio del tè. Guarda Rosie, fingendosi sorpresa: «E tu, signorina, cosa ci fai qui?».
Tom salterebbe fuori dal letto, ma non ha addosso niente. «Flo, non vorrei che ci servissi. Mi dà un tremendo senso di colpa.»
«Ssh, ma smettila» dice Flo allegramente. «Sono felice di avere la cucina tutta per me la domenica mattina, lo sai perfettamente.» Mette giù il vassoio e tende la mano a Rosie. «Danielle porterà un regalo da Parigi a una brava bambina che mangia tutta la colazione.»
Rosie non vuole lasciare né noi né il calore del letto.
«Elli viene casa?»
«Domani. Forza, cara, lascia vestire mamma e papà, e poi puoi andare al parco.»
E il gioco è fatto. Rosie ci passa sopra e se ne va sgambettando con Flo, che ci chiude la porta. Beviamo il tè, ma non ci vestiamo. Tom mi sfila la camicia da notte da sopra la testa con un gesto rapido e agile, e facciamo l’amore con intensità, sapendo che mancano solo settantadue ore allo scadere del suo permesso.
Affondo il naso nella sua pelle e ne aspiro il profumo. Il suo corpo muscoloso emana una sottile aura di pericolo. Usa un trucchetto eccitante: mentre fa l’amore cerca di tenere gli occhi aperti per tutto il tempo. Guizzano come lucciole viola, poi roteano all’indietro e lui esplode. La cosa più coinvolgente è il suo desiderio di guardarmi, di vedermi in faccia mentre raggiunge l’orgasmo. Quando usciamo e vedo le donne che lo guardano, penso meravigliata: “È mio. È mio. È davvero mio”.
Mi stringe a sé così forte da farmi male. «Tom» bisbiglio. «Non riesco a respirare.»
Mi lascia andare spaventato. «Scusami. Sembro un orso, non mi rendo conto della mia forza.»
«Mi piace» dico piano muovendomi di nuovo verso di lui. E mi piace davvero. Amo il senso di precarietà che mi trasmette l’energia trattenuta del suo corpo; il suo costante stato d’allerta, che cova come brace sotto la cenere. Anche quando non è al lavoro né in pericolo, Tom è incapace di staccare del tutto.
Una notte dormivamo tutti e due quando un rumore ci svegliò. Tom uscì dal letto con un movimento agile e scattante, e si mosse per la stanza silenzioso come un’ombra. Aprì un cassetto, estrasse qualcosa e strisciò sul pianerottolo. Io mi misi a sedere e restai lì, incapace di muovermi di fronte alla furtività felina dei suoi gesti. Lo guardai scagliarsi in avanti e aggredire. Sentii un urlo, accesi la luce sul comodino e corsi alla porta.
Tom aveva afferrato qualcuno per la testa nell’oscurità della cucina. L’uomo mugolava di paura e di dolore, ma era stata Danielle a gridare. Era entrata dall’altra parte della casa con un amico, in cerca di caffè. Erano piuttosto ubriachi tutti e due. L’uomo si scapicollò giù dalle scale e uscì dalla porta principale a velocità supersonica. Tom, furente, se la prese con Danielle per essere stata così stupida e irresponsabile da aggirarsi furtivamente nel buio.
Sapevo che la rabbia di Tom non era indirizzata solo contro di lei, ma anche contro se stesso. Avrebbe potuto fare male seriamente a quell’uomo. Danielle era tanto furibonda quanto imbarazzata. Da allora, di notte teniamo la porta fra i nostri appartamenti chiusa a chiave. Tom e Danielle non si parlarono per tre giorni, ma poi fecero pace, per amor mio.
Quella fu l’unica volta in cui vidi il lato addestrato e aggressivo di Tom. Aggiunge un brivido erotico ai miei sentimenti per lui. Talvolta, nei giorni che precedono una nuova partenza, è come se si trasformasse in uno sconosciuto chiuso in se stesso e, man mano che lo conosco, mi rendo conto di quanto poco io sappia della sua seconda vita.
Dal laboratorio all’ultimo piano guardo Tom spingere il passeggino di Rosie per la strada, in direzione del parco. Odio che sia lontano da me, ma aspetto una telefonata di Danielle da Parigi. Potrebbe benissimo rispondere Flo, ma so che secondo Danielle io non mi dedico seriamente al lavoro quando Tom è a casa, e questo non è vero.
Giù in cucina sento Flo che si muove e canticchia mentre prepara il pranzo della domenica. Io vago per il laboratorio, prendendo cose che poi rimetto giù, soffocando una lieve sensazione di noia. Comincio senza convinzione ad abbozzare un disegno e poi, irrequieta, mi alzo e mi dirigo alla finestra.
Il marciapiede lungo la strada è scintillante e lavato dalla pioggia. L’aria è più fresca e riesco quasi a sentire l’odore di terra bagnata che sale dal giardino.
Guardo verso il fondo della strada vuota dove un momento fa si trovavano Tom e Rosie, e mi coglie il panico. Mi giro e corro giù per le scale gridando a Flo che vado al parco. Apro la porta principale con foga e corro per la strada ampia, attraverso appena il traffico lo consente e sfreccio attraverso i cancelli del parco. Mi dirigo verso il laghetto e solo quando li individuo e vedo che danno da mangiare alle anatre rallento e mi chino a prendere fiato. Stanno bene. Eccoli lì: un omone e una bimba, le teste appoggiate l’una all’altra, che gettano del pane a un avido branco di anatre in circolo.
Resto a guardarli. Rosie è la prima a percepire la mia presenza. Si gira, grida «Mamma!» e lancia un trillo di gioia.
Tom ride. «Che bello, sei scappata.»
Mentre insieme lanciamo il pane, Tom dice: «Quando sto qui con te e Rosie mi viene da chiedermi perché non sia un civile anch’io, sai?».
«Tu!» Rido al solo pensiero. «Sì, certo! Ti vedo proprio, a prendere il metrò all’ora di punta con l’abito da lavoro.»
«Be’, immagino che arriverà il momento, anche se sono nell’esercito. Metterò su pancia e starò ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Vieni via con me
  3. PARTE PRIMA
  4. PARTE SECONDA
  5. Ringraziamenti
  6. Copyright