Dipendenza. Crisi d’astinenza. Deliri. Allucinazioni. Non sto descrivendo una malattia mentale e nemmeno una scena di Qualcuno volò sul nido del cuculo. Sto parlando di un alimento che lasciate serenamente entrare nelle vostre cucine, offrite ai vostri ospiti e inzuppate nel caffè.
Tratterò adesso i motivi per cui il grano ha caratteristiche uniche rispetto agli altri alimenti, caratteristiche che fanno sì che i suoi effetti sul cervello siano analoghi a quelli prodotti dagli oppiacei. Il che spiega perché alcune persone non riescano a eliminare il grano dalla propria alimentazione così facilmente. Non è solo questione di mancanza di forza di volontà, di fastidio o di difficoltà a rinunciare alle vecchie abitudini: bisogna riuscire a spezzare una relazione con una sostanza che esercita un potere sulla vostra psiche e sulle vostre emozioni, un po’ come l’eroina sui tossicodipendenti.
Quando assumete del caffè o dell’alcol siete ben consapevoli degli effetti che provocheranno sul vostro cervello, ma quando mangiate degli alimenti a base di grano pensate solo alle loro proprietà nutrizionali, e non ai loro effetti psicotropi.
Le persone che eliminano il grano dal loro regime alimentare di solito registrano un complessivo miglioramento del morale, minori sbalzi d’umore, una maggiore lucidità e un sonno più profondo già dopo pochi giorni o poche settimane da quando hanno dato il loro ultimo morso a un panino o l’ultima forchettata a un piatto di lasagne. Queste esperienze «deboli» e soggettive, tuttavia, sono difficili da quantificare. Inoltre, potrebbero risentire di un effetto placebo (ovvero le persone potrebbero semplicemente credere di star meglio). In ogni caso io resto sempre impressionato dal fatto che queste reazioni si ripetono nella maggior parte di coloro che rinunciano al grano, se non altro dopo aver superato l’iniziale crisi d’astinenza, la quale porta con sé annebbiamento mentale e affaticamento. Io stesso ho fatto esperienza diretta di questi effetti benefici e li ho osservati in migliaia di persone.
È facile sottovalutare l’importanza degli effetti del grano dal punto di vista psicologico. Quanto potrà mai essere pericoloso un innocente muffin alla crusca, in fondo?
«Il pane è il mio crack!»
Si sa che Haight-Ashbury, il quartiere hippy di San Francisco, non ha rivali per quanto riguarda gli effetti che può produrre sul cervello e sul sistema nervoso delle persone. Ecco, il grano è un po’ lo Haight-Ashbury dell’alimentazione. Non c’è dubbio: a molti il grano dà veramente dipendenza. E per alcuni questa dipendenza sconfina quasi nell’ossessione.
Alcune persone affette da questa sindrome sono consapevoli di essere grano-dipendenti o, comunque, di dipendere da alcuni alimenti che contengono grano, come la pasta o la pizza, e che danno loro un certo senso di ebbrezza. Ancora rabbrividisco quando ripenso a una madre rispettabile che mi confessò disperata: «Il pane è il mio crack! Non riesco a smettere!».
Il grano costringe chi ne è dipendente a fare scelte alimentari precise, ad assumere una certa quantità di calorie e a seguire un particolare ritmo per scandire pasti e spuntini. Può, inoltre, influenzare il comportamento e l’umore. Può anche arrivare a controllare i nostri pensieri. Alcuni miei pazienti, quando suggerisco loro di togliere il grano dalla loro alimentazione, confessano una vera ossessione per i prodotti a base di grano, al punto da pensarvi, parlarne e avere l’acquolina in bocca per settimane intere. «Non riesco a smettere di pensare al pane. Me lo sogno la notte!» mi dicono, e alcuni finiscono per soccombere alla smania da grano e rinunciano alla nuova dieta dopo pochi giorni.
C’è, infatti, un aspetto da tenere presente. Fra chi rinuncia a prodotti a base di grano, il 30 per cento sperimenta qualcosa di simile a una crisi d’astinenza. Io ho assistito personalmente a centinaia di pazienti che nei primi giorni o nelle prime settimane dopo la rinuncia al grano hanno registrato un affaticamento estremo, annebbiamento, irritabilità, scarsa concentrazione sul lavoro o nello studio, e perfino un senso di depressione. Tali sintomi vengono spazzati via da un panino o da una brioche (o più probabilmente, per quanto la cosa mi faccia dispiacere, da quattro panini, due brioche, un pacco di brezel, due muffin e una manciata di biscotti, seguiti il mattino seguente da un profondo senso di colpa). È un circolo vizioso: se rinunciate a una sostanza, comincerete a risentire di effetti sgradevoli; non appena la assumete di nuovo, gli effetti sgradevoli spariscono (il che assomiglia molto a uno stato di dipendenza con piccoli sintomi di una crisi d’astinenza).
Le persone che non hanno mai vissuto simili crisi tendono a sottovalutarle o a ridicolizzarle, convinte che un alimento banale come il grano non possa avere sul sistema nervoso centrale effetti paragonabili a quelli della nicotina o del crack.
Il grano e la schizofrenia
Per farci un’idea degli effetti del grano sul funzionamento della mente in generale, può essere utile studiare il caso di pazienti con disturbi psicologici, come ad esempio le persone affette da schizofrenia: gli effetti del grano su persone meno stabili vanno al di là della semplice dipendenza e crisi d’astinenza.
Gli schizofrenici conducono una vita molto difficile: fanno fatica a distinguere la realtà dalla fantasia, spesso hanno manie di persecuzione e arrivano a credere che i loro pensieri e le loro azioni siano controllati da forze esterne. (Ricordate il caso di David Berkowitz, il serial killer di New York che pedinava le sue vittime perché glielo ordinava il suo cane? Per fortuna, i comportamenti violenti sono rari tra gli schizofrenici, ma mostrano comunque a quale profondità psichica possa arrivare tale patologia.) Una volta diagnosticata la malattia, è possibile che uno schizofrenico possa condurre una vita normale tra lavoro, famiglia e figli: una vita istituzionalizzata, scandita da cure mediche con effetti collaterali devastanti e una battaglia continua con i propri demoni interiori.
Ma quali sono gli effetti del grano sulle vulnerabili menti schizofreniche?
Il primo a studiare formalmente gli effetti del grano sulla mente degli schizofrenici fu lo psichiatra F. Curtis Dohan, le cui osservazioni spaziavano dall’Europa alla Nuova Guinea. Il dottor Dohan intraprese questa ricerca dopo aver osservato che, durante la Seconda guerra mondiale, in Finlandia, Norvegia, Svezia, Canada e Stati Uniti, i ricoveri per schizofrenia erano calati in seguito a una ridotta disponibilità del pane e che, al termine della guerra, erano nuovamente aumentati con la ripresa di un consumo normale.1
Il dottor Dohan osservò eventi analoghi nelle tribù primitive dei cacciatori-raccoglitori della Nuova Guinea. Prima dell’arrivo degli occidentali, la schizofrenia era praticamente sconosciuta, diagnosticata solo a due abitanti ogni 65.000. Quando poi le abitudini alimentari occidentali si diffusero tra la popolazione della Nuova Guinea e furono introdotti prodotti a base di grano, birra d’orzo e mais, il dottor Dohan osservò che i casi di schizofrenia ebbero un’impennata, aumentando di sessantacinque volte.2 Su queste basi, il dottor Dohan decise di sviluppare una ricerca per stabilire se esistesse effettivamente una relazione di causa-effetto tra il consumo di grano e la schizofrenia.
A metà degli anni Sessanta, mentre lavorava per il Veteran Administration Hospital di Filadelfia, il dottor Dohan e i suoi colleghi decisero di eliminare tutti i prodotti contenenti grano dai pasti dei pazienti schizofrenici, senza informarli e senza chiedere la loro autorizzazione. (Era un’epoca in cui il consenso informato dei pazienti non era ancora necessario; in seguito poi alla scoperta dell’infame esperimento di Tuskegee sulla sifilide, che scatenò un’ondata di indignazione pubblica, il consenso informato dei partecipanti a uno studio clinico divenne obbligatorio.) Ed ecco che dopo quattro settimane senza grano furono registrati alcuni miglioramenti netti e misurabili in tutti i sintomi distintivi della malattia: meno allucinazioni uditive, meno deliri, minore distacco dalla realtà. Quando poi gli psichiatri reintrodussero i prodotti contenenti grano nel menu dei loro pazienti, allucinazioni, deliri e alienazione tornarono rapidamente ai livelli precedenti. Eliminando una seconda volta il grano, i sintomi migliorarono; reintrodotto una seconda volta, peggiorarono di nuovo.3
Le osservazioni di Filadelfia sugli schizofrenici furono confermate dagli psichiatri dell’Università di Sheffield, in Inghilterra, che giunsero a conclusioni analoghe.4 In seguito ci furono anche casi di guarigioni complete dalla malattia, come il caso della donna schizofrenica di settant’anni descritto dai medici della Università di Duke: dopo aver sofferto per cinquantatré anni di deliri e allucinazioni, e aver tentato il suicidio diverse volte (con oggetti taglienti o bevendo detersivi), nel giro di otto giorni di dieta senza grano tutti i suoi sintomi (dalla psicosi al desiderio di suicidio) scomparvero.5
Sembra improbabile che l’assunzione di grano causi la schizofrenia, ma le osservazioni del dottor Dohan e di altri dopo di lui suggeriscono che il grano sia legato a un peggioramento misurabile dei suoi sintomi.
Un’altra patologia su cui il grano potrebbe esercitare degli effetti nefasti è l’autismo. I bambini autistici sono incapaci di avere relazioni sociali normali e di comunicare con gli altri. La diffusione di questa malattia è aumentata negli ultimi quarant’anni: fino alla metà del Ventesimo secolo si trattava di un disturbo raro, mentre all’inizio del ventunesimo è stato diagnosticato un caso ogni 150 bambini.6 Studi iniziali su campioni ridotti hanno mostrato un miglioramento nel comportamento dei bambini autistici in seguito all’eliminazione del glutine dalla loro alimentazione.7 Lo studio clinico più completo fino a oggi ha coinvolto 55 bambini autistici danesi e ha mostrato un miglioramento misurabile nel comportamento autistico a partire dal momento in cui veniva eliminato il glutine (assieme alla caseina dei latticini).8
Pur restando un argomento ancora dibattuto, sembra, inoltre, che un numero consistente di bambini e adulti affetti da disturbo da deficit di attenzione e iperattività o DDAI (conosciuto anche come ADHD, dall’inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder) rispondano positivamente all’eliminazione del grano. In ogni caso le reazioni spesso non sono chiare, a causa di sensibilità ad altri elementi dell’alimentazione, come zuccheri, dolcificanti artificiali, additivi e latticini.9
È improbabile che il grano sia la causa scatenante dell’autismo o dei disturbi dell’attenzione ma, come per la schizofrenia, sembra che sia associato al peggioramento dei sintomi caratteristici di queste malattie.
Sebbene i metodi con cui fu condotto l’esperimento al Veteran Administration Hospital di Filadelfia – su pazienti schizofrenici ignari, trattati come cavie da laboratorio – possano darci i brividi, esso ci fornisce tuttavia un resoconto chiaro degli effetti del grano sul funzionamento della nostra mente. Ma perché mai i sintomi della schizofrenia, dell’autismo e del DDAI sono esacerbati dal consumo di grano? Perché questo cereale è in grado di peggiorare psicosi e comportamenti patologici?
I ricercatori dei National Institutes of Health (NIH) hanno cercato di dare delle risposte.
Le esorfine: il nesso tra grano e cervello
La dottoressa Christine Zioudrou e i suoi colleghi al NIH hanno sottoposto il glutine, la proteina principale contenuta nel grano, a una digestione simulata, per riprodurre il processo che avviene una volta che abbiamo mangiato del pane o altri prodotti che contengono grano.10 Esposto alla pepsina (un enzima che si trova nello stomaco) e all’acido cloridrico (contenuto nei succhi gastrici), il glutine viene scomposto in una serie di polipeptidi. I polipeptidi dominanti sono stati quindi isolati e somministrati separatamente a topi da laboratorio. Si è scoperto così che questi polipeptidi hanno la capacità peculiare di penetrare la barriera emato-encefalica, che separa il flusso sanguigno dal cervello, una barriera che ha una ragion d’essere molto chiara, a livello fisiologico: il cervello è altamente sensibile alla enorme varietà di sostanze trasportate dal sangue, alcune delle quali possono provocare effetti indesiderati se passano nell’amigdala, nell’ippocampo, nella corteccia cerebrale o in altre strutture del sistema nervoso centrale. Una volta penetrati nel cervello, i polipeptidi del grano si legano ai recettori della morfina, gli stessi cui si legano gli oppiacei.
Zioudrou e i suoi colleghi hanno definito questi polipeptidi «esorfine», un’abbreviazione per «composti esogeni simili a morfina», da non confondere con le endorfine, che invece sono composti endogeni (cioè secreti dall’organismo stesso) simili a morfina, rilasciate, ad esempio, durante l’attività fisica e responsabili dello stato di euforia tipico degli atleti (detto runner’s high, «sballo del corridore»). Hanno, quindi, chiamato «gluteomorfina» (composto simile alla morfina derivato dal glutine – anche se al mio orecchio suona più come un tipo di morfina iniettata con una puntura sulle natiche…) il polipeptide dominante fra quelli che attraversavano la barriera emato-encefalica. I ricercatori hanno ipotizzato che le esorfine potessero essere i fattori attivi del grano cui ricondurre il peggioramento dei sintomi schizofrenici negli esperimenti del Veteran Administration Hospital di Filadelfia e in altri studi.
Ancor più significativo è il fatto che l’effetto sul cervello dei polipeptidi derivati dal glutine venga bloccato dalla somministrazione del farmaco naloxone.
Immaginate di essere degli eroinomani. Siete...