La storia di Tonia
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La storia di Tonia

Coraggio, passione e tradimenti di un'italiana in Australia

  1. 300 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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La storia di Tonia

Coraggio, passione e tradimenti di un'italiana in Australia

Informazioni su questo libro

Bassano del Grappa, 1880: da molto lontano giunge la voce che nella Nuova Irlanda, un'isola oltreoceano, è possibile comprare lotti di terreno e ottenerne favolosi guadagni. La giovane Tonia, figlia di contadini, interrompe gli studi e abbandona il sogno di un amore per seguire la famiglia in questa avventura, che la porterà presto in Australia. Lì trova impiego a casa Colidge, dove conosce i figli dell'eterea padrona di casa: Lester, aitante e gentile, e Janet, una ventenne petulante e gelosa della nuova arrivata, che incanta tutti con le delizie della cucina italiana. Tra Tonia e Lester nasce un sentimento forte, ma è un amore impossibile, che entrambi cercano di soffocare perché è troppa la distanza che li separa. Tonia è destinata al suo compagno di giochi d'infanzia, innamorato di lei al punto di trascinarla fino in Australia per coronare il suo sogno. La vita sembra scorrere serenamente, rallegrata dall'arrivo di due bambini, fino al giorno in cui Lester, passando da New Italy, visita l'emporio in cui Tonia vende i suoi dolciumi. La passione esplode tra i due, che si immergono in una burrascosa relazione clandestina dalla quale nasceranno due stupendi gemelli... Tra Sydney e le Blue Mountains, tra un ristorante d'alto livello e un rettilario che ospita serpenti velenosi, mentre il rombo dei totalitarismi giunge dall'Europa e gli aborigeni lottano per i loro diritti, le vicende di Tonia e Lester, dei loro figli, delle loro cadute e della loro capacità di rialzarsi animano le pagine di questo romanzo dando vita a un'avventura trascinante. Sullo sfondo di un'Australia dai colori mozzafiato, attraverso gli orrori della guerra e le speranze in un mondo nuovo, Cinzia Tani intreccia con passione e maestria i destini di donne e uomini che amano e sbagliano, sempre con straordinaria intensità: ciascuno costruendo il proprio cammino passo dopo passo, con sorprendenti colpi di scena, fino al rocambolesco finale sotto le luci dell'Expo 1930.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804634614
eBook ISBN
9788852050312

1

Cinquant’anni prima
«Dove corri? Aspetta!» la richiamò Clara mentre lei saltava a due a due i gradini senza voltarsi. «Aspetta, ti dico!» ripeté raggiungendola.
Tonia si voltò bruscamente, fremendo per andarsene. «Che c’è?»
«Dove ci vediamo?»
«Qui, fra un’ora. Come sempre.»
«Non tardare!»
Mentre l’amica tornava dalle compagne appena uscite dal ginnasio Brocchi, Tonia accelerò il passo lungo la strada infangata dalle piogge di aprile. Gli scarponcini che portava tutto l’anno erano vecchi e sciupati e i suoi vestiti erano lisi ma a lei non importava, era già molto che i genitori le permettessero di frequentare la scuola e non la obbligassero ad aiutarli nei campi.
Percorse un breve tratto di strada in discesa prima che Matteo le si affiancasse in silenzio. Non lo guardò né diminuì l’andatura ma, sentendosi sfiorare una mano, sorrise. La presenza di altre persone in giro non invogliava a parlare e loro non avevano molto da dirsi. Si accontentavano di procedere così, con i corpi che strusciavano uno contro l’altro a ogni passo.
Arrivarono in piazza Garibaldi e finalmente rallentarono. Erano diretti al Ponte Vecchio, come ogni giorno. Si erano incontrati lì la prima volta in inverno, tutti e due appoggiati alla balaustra a guardare il Brenta scorrere lento sotto di loro. Lui l’aveva notata con la coda dell’occhio e aveva fatto fatica a distogliere lo sguardo. Gli era venuta in mente quella grande bambola che la madre teneva da sempre in mezzo al letto, con i capelli neri a onde, gli occhi come due bottoncini d’ebano, la pelle di porcellana e la bocca rosea appena dischiusa.
Si era voltato chiedendole perché anche a lei piacesse osservare il fiume. Tonia aveva sussultato, non si era accorta della sua presenza. «Non lo so...» aveva risposto alzando le spalle. «Mi piace l’acqua che scorre... guardo sempre le cose che si muovono.» Fece una pausa per raccogliere le idee e proseguì con più fervore. «Le nuvole... oppure, quando c’è un po’ di vento, la cima degli alberi che si piega e si rialza, le spighe di grano che ondeggiano su e giù. Ecco, anche l’altalena della scuola dopo che qualcuno l’ha lasciata... continua a dondolare, sempre più piano...»
Era stato così fin da piccolissima. Per cancellare una preoccupazione o un pensiero molesto aveva bisogno di fissare lo sguardo su un movimento lento e ripetitivo che le svuotava la mente e le dava un lieve stordimento. Quando, la domenica, il padre la accompagnava alle giostre, lei preferiva rimanere in piedi, attratta dal passaggio regolare dei cavallucci davanti a sé, piuttosto che montarne uno come gli altri bambini. Vittorio non capiva. «Non vuoi salire? Siamo venuti per questo!»
«Mi diverte di più stare qui» rispondeva Tonia, imbambolata a fissare quel girotondo di colori.
Si erano ritrovati sullo stesso ponte il giorno dopo e quello seguente. Matteo era figlio di un pediatra e viveva a Bassano del Grappa con la famiglia; aveva diciotto anni, lei due di meno. Per stare insieme più a lungo avevano cominciato a incontrarsi anche il pomeriggio, nelle campagne vicino a San Michele, una frazione a pochi chilometri dalla cittadina. Lì Tonia viveva in una casa a due piani, con i pavimenti di pino levigato, e se si sporgeva dalla finestra della sua stanza poteva vedere da un lato la facciata della chiesa dove la campana rintoccava ogni quarto d’ora, dall’altro le colline e i sentieri che serpeggiavano tra i campi di mais, seguiva il corso delle stagioni con il cambiare dei colori nella natura, sognando un futuro diverso da quello dei suoi genitori. Nel piano inferiore, oltre alla cucina, c’era il magazzino per l’aratro e gli altri macchinari, le scorte di cibo e i bauli contenenti i vestiti vecchi della madre, che lei tirava fuori ogni tanto per associare a ciascuno un ricordo.
Il cugino Clemente, maggiore di sei anni, l’aveva vista crescere. Tonia aveva perso due fratelli: uno era morto prima che lei nascesse, l’altro quando lei aveva quattro anni. Lucia non aveva voluto altri figli e si era dedicata a quell’unica bambina che le era rimasta, risparmiando per comprarle vestiti decenti e mandarla nella migliore scuola di Bassano.
La madre di Tonia e quella di Clemente erano cugine e avevano lo stesso cognome; abitavano nella frazione di San Michele in due case di pietra affiancate. Gli appezzamenti di terra di entrambe le famiglie si trovavano più lontano, sulle colline. I genitori di Clemente, che avevano sei figli, possedevano una gran quantità di terra coltivata a ulivi, viti, castagni, alberi da frutto. Lucia e Vittorio, invece, avevano un piccolo podere, anch’esso coltivato a ulivi e viti, in cui lavoravano tutto il giorno.
Tonia temeva la gelosia del cugino. Gli voleva bene come a un fratello, era il suo rifugio e il suo divertimento. Quando erano piccoli incrociava le mani sotto i suoi piedi per farle scalare gli alberi, le aveva attaccato un’altalena fra due tronchi e la spingeva finché le braccia non gli dolevano, la portava sulle spalle nelle processioni perché potesse vederle dall’alto; durante tutte le elementari a Bassano era stato lui ad accompagnarla con il carro al mattino e a riportarla a casa il pomeriggio. Smise di farlo quando cominciò a lavorare nei poderi della famiglia e Tonia trovò un passaggio sul calesse che conduceva in città la nipote del parroco.
I due erano sempre andati d’accordo, ma negli ultimi tempi il ragazzo era diventato molto possessivo con lei, dimostrandosi insofferente anche della presenza di Clara.
Clemente vide Tonia e Matteo imboccare il Ponte Vecchio mentre si trovava nella distilleria Nardini insieme agli amici. Aveva lavorato nei campi dalle cinque del mattino e come sempre si era fermato a bere un bicchiere di grappa prima di tornare a casa. Incontrava spesso la cugina a quell’ora. Lei amava quel ponte di legno coperto e non c’era giorno, neppure se pioveva, che non lo percorresse. Appena lo vedeva nella distilleria andava a salutarlo e rimaneva a parlare con lui qualche minuto, ma da quando c’era Matteo gli faceva solo un cenno da lontano.
«C’è tua cugina» gli disse un amico affacciato alla porta d’ingresso per guardare il passeggio. «Con il figlio del pediatra... è da un po’ che li vedo insieme!»
Clemente non gli rispose, sapeva benissimo che voleva provocarlo, ma si era perfettamente reso conto che per la prima volta Tonia era seriamente interessata a un ragazzo. Non li aveva visti baciarsi o tenersi per mano ma il loro atteggiamento era evidente. Parlavano sommessamente, si sorridevano guardandosi negli occhi. Tonia aveva scelto un ragazzo biondo con gli occhi chiari, il corpo agile e armonioso di un puledro di razza, tanto diverso da lui che, quando si guardava allo specchio, vedeva solo l’immagine di un contadino. La pelle bruciata dal sole rimaneva scura anche d’inverno, i capelli neri erano così crespi che rinunciava a passarvi il pettine, le mani rovinate, il fisico forte e muscoloso era chiaramente plasmato dal lavoro nei campi e non da qualche sport per signori.
Dal momento in cui aveva scoperto il legame fra i due, la notte non dormiva più. Immaginava la cugina tra le braccia di un altro e si sentiva soffocare. Tonia era stata il suo sogno di adolescente ed era diventata una speranza di futuro. Avrebbe fatto di tutto per riprendersi il loro tempo insieme, le passeggiate in collina, i desideri espressi davanti alle vetrine dei negozi, le incursioni nelle stalle perché lei potesse accarezzare i vitellini appena nati.
Ma Tonia ormai era innamorata di Matteo, che la portava a vedere il panorama dal castello degli Ezzelini e la incantava con il racconto di assedi e combattimenti, le parlava della dominazione dei Visconti e degli Scaligeri, le narrava aneddoti su chiese, piazze e vicoli della città, la accompagnava nei caffè antichi e a passeggiare lungo le mura.
Quando ormai Clemente disperava di riavere Tonia tutta per sé, un’idea gli venne in aiuto. Andò a casa sua ed espose all’intera famiglia il progetto di una colonia nell’Oceano Pacifico. «Un marchese francese, un esploratore che è stato in mezzo mondo, vende lotti nella Nuova Irlanda, un’isola del Pacifico. Pare che sia un luogo paradisiaco, con ottima terra da coltivare. Sono già partite due navi e adesso si sta preparando la terza. Salperà da Barcellona a luglio!»
Vittorio lo guardò senza alcuna curiosità. Clemente aveva spesso idee sbalorditive che poi si risolvevano in niente.
«Me lo ha riferito il parroco, che lo ha saputo dal vescovo di Treviso, e già molta gente ne parla, in tutto il Veneto!»
Lucia gli sorrise mettendogli davanti un piatto di zuppa fumante. «Perché tanto entusiasmo?» gli chiese.
«Ma non capite? È un’occasione splendida anche per noi. Molti italiani hanno già aderito. Ne imbarcheranno trecento.»
«Perché dovremmo andare fin laggiù?» chiese Tonia ostile.
«Perché qui si muore di fame. Perché non abbiamo nessuna possibilità di migliorare!»
I Pavan, come tanti contadini veneti, si erano impoveriti con la tassa sul macinato entrata in vigore nel 1869 per risanare il deficit pubblico. Caduto il governo di destra, il nuovo primo ministro, Depretis, si era limitato a diminuire l’imposta, vigente per quasi tutti i cereali. Naturalmente questo aveva portato a un aumento del prezzo del pane e dei derivati di tali coltivazioni, gli alimenti principali delle classi meno abbienti.
«Ha ragione» sospirò Vittorio, che cominciava a interessarsi alla novità. «Qui che cosa possiamo fare? Per noi non c’è futuro. E Tonia...»
«Non direte sul serio!» protestò lei alzandosi da tavola. «Clemente! Che idee gli stai mettendo in testa?»
Lui, trovando Vittorio più disponibile a prendere seriamente le sue parole, incalzò: «Io partirei con voi. Credo davvero in questa avventura. E se non ci troveremo bene potremo sempre tornare!».
«Queste terre... non sono gratis naturalmente...» disse Lucia.
«No. Le sottoscrizioni sono di cinque franchi a ettaro e il denaro bisogna tirarlo fuori subito perché il marchese deve pagare le navi, l’equipaggio e tutto il resto. Ma una volta laggiù la terra sarà nostra! Non è una grande cifra...»
«Non possiamo permettercelo» disse in tono conclusivo Vittorio.
«Potreste vendere i campi e la casa...»
Tonia protestò di nuovo. «Cambiamo discorso per favore?»
«Va bene» acconsentì il padre vedendola tanto agitata. «Ne parleremo un altro giorno, ora sono molto stanco.»
La mattina dopo Clemente raggiunse Vittorio nei campi con i volantini che gli aveva dato il parroco. L’uomo li studiò accuratamente e poi alzò lo sguardo perplesso. «Dimmi di più su questo marchese...»
«Si chiama Charles du Breuil, marchese de Rays e console di Bolivia in Bretagna. Ha deciso di fondare una colonia francese cattolica in un arcipelago dell’Oceano Pacifico, ai confini dell’Australia e della Nuova Guinea. È la Nuova Irlanda, che lui vuole chiamare Nouvelle France e di cui ha intenzione di diventare il re.»
Il primo annuncio per gli investitori era apparso nel luglio del 1877, sul “Petit Journal”: “Colonia libera di Port-Bréton. Terra a cinque franchi l’ettaro, pagabile un franco al mese. Fortuna veloce e assicurata. Rivolgersi al marchese de Rays, console di Bolivia, castello di Quimerc’h, Bannalec”.
Con il denaro raccolto il nobile aveva acquistato e rifornito navi per portare gli emigranti nella futura colonia. Parlava di una terra fertile, dal clima simile a quello del sud della Francia, e ne offriva venti ettari più una casa con quattro stanze a ogni famiglia di agricoltori per 1.800 franchi in oro. Il prezzo includeva il viaggio in nave, le razioni alimentari e le provviste per sei mesi dopo l’arrivo a Port-Bréton. Coloro che non possedevano il denaro per acquistare la terra avrebbero potuto lavorare per cinque anni nei poderi altrui e alla fine avrebbero ricevuto ciò che era stato loro promesso. L’amministrazione avrebbe provveduto al loro vitto e alloggio per quel lasso di tempo.
De Rays agiva con estrema superficialità visto che non era mai stato nei luoghi di cui vendeva lotti e non aveva neppure la certezza che un altro Paese potesse rivendicarne i diritti. Quando la notizia si diffuse nei principali giornali e molta gente cominciò a inviare il denaro delle sottoscrizioni, il governo francese si allarmò e bloccò tutta l’operazione. La prima nave ormai pronta, il Chardenagor, con a bordo marinai, falegnami, muratori e diversi emigranti provenienti da tutta Europa non ebbe il permesso di salpare da Le Havre e fu obbligata a partire da Flessingue, in Olanda, il 14 settembre 1879. Dopo che fu condotta un’inchiesta giudiziaria, il marchese, pur avendo dalla sua parte il clero e gran parte della popolazione, decise di trasferirsi a Barcellona in esilio volontario, dove la Spagna cattolica lo supportava con entusiasmo. Una seconda nave, il Genil, partì nel marzo 1880 e una terza, l’India, sarebbe salpata a luglio.
Vittorio andò a parlare con il parroco. «Io ve lo consiglio» disse il sacerdote. «Il vescovo di Treviso è favorevole. Si imbarcheranno anche dei preti per evangelizzare gli indigeni di quelle parti. Già duecento veneti hanno dato la loro adesione. Famiglie intere, donne con bambini piccoli. In fondo è la terza nave che parte... se fosse successo qualcosa alle prime due l’avremmo saputo.»
«Ma dovrei vendere la terra... la casa...»
«Sei ancora giovane Vittorio! Costruirai una casa laggiù e troverai una terra migliore. E poi Clemente verrà con voi, ha volontà e braccia forti!»
Vittorio si informò se qualcun altro di Bassano o dei dintorni fosse deciso a tentare l’avventura e, avuti i nomi, andò a parlare con ciascuno di loro, trovando solo convinzione ed entusiasmo. Il padre di Clemente si offrì di comprargli la fattoria e la terra, che in quel modo sarebbe rimasta in famiglia. Era contento che uno dei figli emigrasse, perché questo avrebbe permesso agli altri di vivere meglio e poi lui sperava che Clemente, il più irrequieto, trovasse la sua strada e la fortuna.
Lucia dal canto suo si lasciò persuadere facilmente: tutto sarebbe stato meglio della vita che era costretta a fare. La loro proprietà era solo un pugno di terra e non avevano figli maschi o lavoranti che li aiutassero nei campi.
L’unica a opporsi con fermezza alla partenza fu Tonia. «Devo finire la scuola!»
«A cosa ti servirà?» le chiese il padre. «Quello che dovevi imparare l’hai imparato. Uno o due anni in più non cambieranno niente!»
La ragazza non replicò. Non le importava molto della scuola ma si sentiva morire all’idea di separarsi da Matteo. Si erano fatti delle promesse. Lui sarebbe andato all’università e avrebbe fatto il lavoro del padre, e dopo quattro o cinque anni avrebbero potuto sposarsi.
Lucia la abbracciò. «Finirai l’anno scolastico e poi andremo a Barcellona. Per fortuna la nave salpa a luglio.»
«Mamma, ti prego! Io non voglio partire...»
«Tesoro, questa è una bella occasione per noi tutti. Siamo riusciti a mandarti a scuola, ma ti rendi conto da sola che non possiamo darti niente di più. Guarda i tuoi vestiti...»
«I miei vestiti vanno benissimo!»
«Sì, ora che passi la giornata tra la scuola e la casa. Ma poi? Quando frequenterai i ragazzi, quando vorrai sceglierti un marito... Potrai continuare a indossare queste scarpe?»
Tonia istintivamente nascose i piedi sotto la veste. Avrebbe voluto dirle che Matteo non faceva caso ai suoi vestiti perché l’amava. Tacque comprendendo che sarebbe stato inutile: l’amore di un’adolescente non poteva competere con la speranza di un adulto in un avvenire migliore.
Nel frattempo Clemente, che si occupava della vendita delle proprietà dei Pavan e di tutti i documenti necessari per la partenza, aveva avuto una notizia che avrebbe dovuto distoglierlo dal suo progetto. Nel primo viaggio organizzato dal marchese de Rays, oltre a tedeschi, francesi e belgi c’erano anche alcun...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. La storia di Tonia
  3. Prologo
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. 18
  22. 19
  23. 20
  24. 21
  25. 22
  26. 23
  27. 24
  28. 25
  29. Copyright