Storie di una dolce terra
eBook - ePub

Storie di una dolce terra

  1. 140 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Storie di una dolce terra

Informazioni su questo libro

Doctorow ci racconta, declinato in cinque modi diversi, il fallimento del sogno americano: i cinque racconti compresi nel volume, finora inediti in Italia, esplorano il senso dell'identità e dello stile di vita americani all'alba del ventunesimo secolo. Dall'Alaska a Washington, passando per le campagne dell'Illinois, la California o le comunità di fanatici religiosi dell'Arkansas, queste storie vedono per protagonisti uomini e donne ugualmente alienati, ugualmente falliti e amorali, ugualmente in lotta contro povertà, ignoranza e i propri più bassi istinti: esseri che vivono ai margini delle civiltà, assassini, ladri, menti disturbate e fragili, ma anche ereditiere o agenti federali, ciascuno con un suo piccolo o grande sogno da realizzare nella "dolce terra" americana, che si rivela più amara che mai. Già premiati negli USA con importanti riconoscimenti per la narrativa breve ed entusiasticamente accolti dalla critica, questi racconti descrivono il panorama spirituale degli Stati Uniti all'alba del terzo millennio con l'acuta intelligenza e la straordinaria eleganza di un grande scrittore contemporaneo.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Storie di una dolce terra di E.L. Doctorow, Paola Frezza Pavese in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804558774
eBook ISBN
9788852051920

Bambino, morto, nel Giardino delle Rose

L’agente speciale B.W. Molloy, ora in pensione, racconta la seguente storia. Un mattino venne rinvenuto il corpo di un bambino nel Giardino delle Rose. Era appena sorto il sole. La sera precedente aveva avuto luogo un concerto in occasione del Premio nazionale per le Arti e la Letteratura, un evento che si svolge ogni anno a maggio. Il corpo fu scoperto da Frank Calabrese, sessant’anni, il custode, arrivato prima dei colleghi per sovrintendere allo smontaggio del tendone della manifestazione. L’erba era coperta di rugiada, l’aria fresca. All’interno del tendone, luce soffusa e molte ombre. Ciò che Calabrese vide sotto due sedie pieghevoli nella fila centrale sul lato orientale era una piccola scarpa da tennis Nike che sporgeva da una sorta di lenzuolo. Non sapendo che altro fare, telefonò al posto di guardia della Marina.
In pochi minuti arrivarono gli agenti di turno del Servizio segreto. Delimitarono la zona e si collegarono via radio con l’FBI. Contemporaneamente, si procedette a svegliare il Presidente, avviare le misure per l’evacuazione di emergenza e, in tutta fretta, allontanare dalla Casa Bianca lui e, separatamente, i suoi familiari, gli ospiti e il personale interno.
Il lenzuolo venne sottoposto a raggi X, e poi aperto dagli artificieri dell’FBI. Il corpo era quello di un bambino, bianco, sui cinque o sei anni. Non aveva addosso esplosivi. Fu fotografato, ricoperto, riposto in un sacco di plastica e portato via nel baule di una berlina non identificabile dell’Agenzia.
Dopo un’attenta perlustrazione delle sale aperte al pubblico e dei giardini della Casa Bianca, fu consentito il ritorno del Presidente e del suo gruppo. Si segnalò di entrare agli operai, che erano stati tenuti con i loro camion fuori dai cancelli, e poche ore più tardi, sgomberate tutte le strutture della cerimonia della notte precedente, il parco e i giardini della Casa Bianca tornarono immacolati sotto il sole di metà mattina.
Alle sette e mezzo della stessa mattina l’agente Molloy – un veterano del Bureau, dove lavorava da ventiquattr’anni presso la Divisione indagini criminali – incontrò il direttore della sede di Washington. «Affido a te questo caso» gli disse il capo. «Hai carta bianca. Superfluo dirti che sono fuori dalla grazia di Dio lassù.»
E così, a soli pochi mesi dalla pensione, Molloy si trovò a capo dell’indagine su un caso di primaria importanza, malgrado il fatto sembrasse isolato. In nessun posto al mondo i sistemi di sicurezza erano ferrei quanto nel complesso della Casa Bianca, ma qualcuno li aveva forzati, qualcuno che era riuscito a portare un bambino morto, avvolto in un lenzuolo, oltre un incredibile sbarramento di uomini e di sistemi elettronici di sorveglianza.
Si trovò ad affrontare questioni delicate. Prima di tutto chiese al personale militare e agli agenti dei Servizi segreti di guardia la notte precedente un rapporto dettagliato sui loro movimenti. Pretese che tutto fosse riportato su grafici. Gli agenti assegnati all’incarico si scambiarono occhiate, poi guardarono lui. «Lo so, lo so» disse Molloy. «Hanno le loro procedure, come noi abbiamo le nostre. Andiamo avanti.»
Dal segretario particolare della Casa Bianca Molloy si procurò la lista degli ospiti della sera precedente. Al concerto erano state invitate trecentocinquanta persone: i premiati, i loro familiari, editori, agenti e produttori, esponenti del mondo della cultura, membri del Congresso, i personaggi più in vista di Washington. Poi c’erano gli orchestrali, i vari fornitori e la stampa. Più o meno cinquecento nomi e numeri della sicurezza sociale da controllare. Telefonò al direttore per farsi assegnare gli uomini. Bisognava trovare i dossier, se disponibili. Sperava che la ricerca riducesse a una frazione i partecipanti da interrogare.
Avviata l’imponente macchina delle indagini, Molloy fece condurre nel suo ufficio il custode. Calabrese, un uomo semplice, parve alquanto sbalordito per la reazione innescata dalla sua scoperta. Aveva trascorso tutta la sua vita lavorativa al servizio del governo, e da anni prestava la sua opera alla Casa Bianca. Vedovo, viveva solo. Aveva una figlia sposata, avvocato, che lavorava al dipartimento del Tesoro.
«Ho visto quella scarpa da tennis» disse. «Non ho toccato nulla. Neppure le sedie. Nulla.»
«Le sedie erano spostate?»
«Spostate?»
«Non allineate.»
«No, no… erano in ordine. Con quella scarpa che spuntava. Era un bambino, vero? Un bambino morto.»
«Chi gliel’ha detto?»
«Non me l’ha dovuto dire nessuno, l’ho immaginato. Un fagotto bianco, come un bozzolo. Ecco, proprio questo mi ha fatto venire in mente, un bozzolo.»
Calabrese non aveva altro da offrire. Molloy gli raccomandò di non parlare a nessuno di quella storia, e lo aveva già accompagnato fuori per affidarlo a qualcuno che lo riportasse alla Casa Bianca quando arrivò una telefonata da un certo Peter Herrick, vicesegretario dell’Ufficio politica interna della Casa Bianca. Herrick disse che il custode andava trattenuto in isolamento secondo quanto previsto dalla normativa antiterrorismo fino a che non fosse data risposta a tutte le domande del Presidente. Sarebbe arrivata al più presto l’autorizzazione formale da parte del ministero della Giustizia.
Molloy sentì salire in gola la bile. «A parer mio è un errore» affermò.
«Dobbiamo mettere la cosa a tacere» controbatté Herrick. «Nessuno, a eccezione del Presidente, conosce la ragione dell’allarme di stamattina. Non deve assolutamente trapelare nulla, nell’eventualità che si tratti di un atto terroristico.»
«Certo» rispose Molloy. «Però, quando Calabrese verrà dato per disperso, finiremo per rispondere a molte domande sgradevoli. Sua figlia fa l’avvocato al Tesoro.»
«La richiamo presto» disse Herrick.
Molloy racconta che solo quando la linea fu interrotta gli venne da chiedersi come mai il referente della Casa Bianca per la questione fosse l’Ufficio politica interna.
A mezzogiorno sentì quelli della Scientifica. Il bambino era morto da quarantotto a sessanta ore prima. Non presentava segni di violenza, né ferite letali: la morte era dovuta a cause naturali.
Molloy andò di persona al laboratorio. Il corpo era supino, le mani strette lungo i fianchi. Al collo, un cordoncino con appeso un broncodilatatore. La bocca era aperta, il viso florido. Le palpebre non chiudevano completamente gli occhi sporgenti. Il piccolo torace era espanso, come se il bimbo giocasse a imitare il culturista Charles Atlas. Aveva i capelli neri un po’ più lunghi del giusto. Molloy ebbe l’impressione che potesse essere ispanico.
«Non c’è niente di losco qui» affermò il patologo. «Lei ha davanti un caso di crisi respiratoria. Le vie respiratorie hanno avuto uno spasmo, si sono contratte e poi occluse.»
«Per quale ragione?»
«Il bambino soffriva d’asma, del tipo peggiore, status asthmaticus. Arriva il momento che non ci sono antinfiammatori o dilatatori che tengano. Per respirare, poiché non può espellere l’anidride carbonica, deve essere attaccato a una maschera per l’ossigeno. Immagino che non ce ne fossero disponibili, dove si trovava.»
Gli indumenti del bambino erano stati sigillati in buste di plastica. T-shirt, jeans, slip, tutti marca Gap. Nessuna etichetta con il nome. Insieme al lenzuolo e alle Nike, gli indumenti dovevano essere sottoposti ad altre analisi. Molloy sperava di trovare qualcosa, qualsiasi cosa. Magari l’indicazione della partita sugli indumenti, per risalire all’origine della spedizione.
Alle otto della mattina successiva, tornato nel Giardino delle Rose, Molloy si mise a guardare la Casa Bianca dal posto in cui era sistemato il podio dell’orchestra. A una ventina di metri, un po’ spostato di lato, un nastro sagomato segnalava la posizione del corpo. Si chiese quando potevano avere portato nel tendone un corpo avvolto in un lenzuolo, senza farsi notare da nessuna delle centinaia di persone presenti, per farlo poi trovare dal custode la mattina successiva. Alla fine del concerto, l’ipotesi più probabile, dopo che tutti si erano allontanati e le luci erano state spente. Ma quello era uno scenario al quale preferiva non pensare. Significava concentrare le indagini su persone alle quali, alla fine della serata, non era stato chiesto di lasciare la zona.
Nei giorni successivi, ci fu un gran dispiego di uomini per cercare di identificare il bambino. Una volta scoperto chi era, il problema di chi l’aveva portato alla Casa Bianca si sarebbe risolto da solo. Nel frattempo, gli agenti lo chiamavano B.P., Bambino Postumo. Con le foto in mano, controllarono le schede dei bambini scomparsi, visitarono ospedali pediatrici e intervistarono pneumologi nel Distretto federale, in Virginia e nel Maryland. Non emerse alcuna pista. Dalla banca dati nazionale dell’FBI non risultavano rapimenti di bambini che corrispondessero alla descrizione. Mentre le carte si accumulavano sulla scrivania, Molloy si chiedeva fino a che punto quelle indagini, destinate a suscitare clamore, sarebbero giunte all’attenzione di chi, per professione, faceva domande.
Per rispettare le direttive che prevedevano la collaborazione tra agenzie, Molloy convocò una riunione informativa con un responsabile dei Servizi segreti, un esperto di sicurezza elettronica assegnato alla National Security Agency, e uno psicologo, consulente della CIA, specializzato nei comportamenti dei terroristi.
Molloy non conosceva nessuno di loro. «Non ho molto tempo» disse, e li aggiornò velocemente.
L’uomo dei Servizi segreti, un tipo sulla quarantina, dritto sulla sedia, era di sicuro un assiduo frequentatore di palestre. L’abito sembrava tagliato sui suoi muscoli. «Bene, abbiamo finito?» chiese con un sorriso gelido.
«Per il momento» rispose Molloy.
«Potrei lanciare un diagnostico del sistema» disse l’elettronico della NSA. «Ma il sistema si automonitora e produce un report: se avesse mostrato qualcosa, già si sarebbe saputo.»
I tecnici di Molloy gli avevano detto la stessa cosa.
Lo psicologo, il mento sulla mano, aggrottò la fronte. «Lei la definirebbe un’azione simbolica, agente Molloy?»
«Direi di sì.»
«Le ricordo che l’11 settembre ha avuto una valenza fortemente simbolica, nel caso lei ritenga quello che abbiamo per le mani un fatto che comincia e finisce lì. Forse sarà tentato di evocare come precedente storico gli anni Sessanta, quando gli antinuclearisti entravano illegalmente nelle sedi governative e versavano sangue sui depositi dei missili e così via. In realtà, erano più interessati alla propaganda che a danneggiare le strutture. Sarebbe un errore. Quegli hippy erano americani. Si presentavano di persona a compiere le loro azioni. Finivano in prigione. Non si infiltravano di nascosto, per lasciare il biglietto da visita e sgattaiolare via. Qui siamo di fronte a qualcosa di completamente diverso. Più minaccioso.»
«In che senso?» chiese Molloy.
«Un avvertimento, del tipo: avete visto fino a cosa possiamo arrivare?»
«Dunque un bambino morto non significa nulla di particolare?» chiese Molloy. «Rappresenta soltanto un biglietto da visita?»
«Be’, da qualche parte l’hanno preso per portarlo lì. A me suona come un’azione da arabi.»
«Niente identificazione, per il momento?» si informò l’uomo dei Servizi segreti.
«No.»
«Minoranza etnica?»
«No, un bambino bianco. Potrebbe essere qualsiasi cosa.»
«Allora potrebbe venire da dove ci odiano» affermò lo psicologo. «Potrebbe essere un piccolo musulmano.»
Durante la seconda settimana di indagini si aprì uno spiraglio quando un comandante del distretto di polizia, John Felsheimer, chiamò Molloy per invitarlo a bere una birra dopo il lavoro. I due avevano già lavorato insieme in qualche occasione e, pur non essendo veri e propri amici, si stimavano molto dal punto di vista professionale. Appartenevano alla stessa generazione, padri di famiglia con nipotini, e anche questo costituiva un legame tra loro.
Scambiati i soliti convenevoli, Felsheimer estrasse una lettera dalla tasca interna della giacca. Si disse molto dispiaciuto di aver saputo solo quel giorno che l’FBI stava indagando su una persona scomparsa, quando aveva sentito per caso qualche chiacchiera su una lettera, lasciata al suo distretto la settimana precedente. Non firmata, non datata, di una sola pagina, conteneva una sola frase scritta al computer: «Sappiate che è stato trovato un bambino, morto, nel Giardino delle Rose».
Felsheimer spiegò a Molloy che quella che aveva in mano era una fotocopia: l’originale era conservato alla Casa Bianca. L’aveva messo lui stesso in una busta trasparente e portato all’Ufficio di collegamento con la polizia di Washington. Subito dopo, era stato dirottato all’Ufficio politica interna, cosa che gli era parsa assai strana. Un viceassistente, tale Peter Herrick, lo aveva ascoltato manifestando sorpresa che lui, Felsheimer, attribuisse importanza alla lettera di un qualche maniaco. Però aveva aggiunto che l’avrebbe conservata lui.
Felsheimer, alla seconda birra, riferì la conversazione.
«Dunque, lei sostiene che non c’era nulla nel Giardino delle Rose?»
«Non ho detto questo, comandante Felsheimer. Qualcosa c’era: un animale.»
«Un animale?»
«Sì, un procione. L’ha esaminato l’FBI. Mo...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Storie di una dolce terra
  3. La casa nella prateria
  4. Baby Wilson
  5. Jolene: una vita
  6. Walter John Harmon
  7. Bambino, morto, nel Giardino delle Rose
  8. Copyright