Capita che, quando la sera Sisto torna a casa, trovi lo zio ad aspettarlo.
È un’ombra scura appoggiata a una parete laterale, che gli viene incontro appena lo vede. Andiamo a fare un giro, gli dice cingendogli le spalle. Sisto è stanco ma non può fare altro che seguirlo.
Si incamminano per le strade scure e deserte del quartiere. Domina un silenzio profondo, interrotto talvolta da qualche schiamazzo in lontananza, che però rapidamente si tace.
Molti lampioni sono danneggiati, quelli che funzionano spargono una fioca luce rossastra che illumina piccole strisce di selciato. Da alcune case proviene l’odore confuso di cibi fritti. Due cani rovistano nelle montagne di buste di plastica, cartoni e cassette di legno, che circondano i cassonetti stracolmi. Ai lati della strada se ne stanno inclinate, con due ruote sul marciapiede, vecchie auto ammaccate, polverose, con larghe chiazze di vernice scollata.
Sisto ha in tasca qualche centinaio di euro ma sa che accanto a suo zio nulla può accadergli. Ha di sicuro la pistola con sé e questo lo rasserena, anche quando, camminando, passano vicino a un gruppo di tizi fermi fuori da un bar. Li guardano di traverso, uno di questi li saluta. Poi tornano a pensare ai fatti loro, perché è una sera tranquilla.
È un po’ che dovevamo fare quattro chiacchiere, vero? gli chiede zio Antonio.
Sisto annuisce.
Tuo padre sarebbe orgoglioso di te, sei diventato un ragazzo forte, si vede.
Lo squadra per bene, gli mette una mano sulla spalla, lo scrolla con energia.
Secondo tua madre gli somigli, gli dice staccandosi per osservarlo meglio, gli somigli ogni giorno di più.
Ma forse parla così, aggiunge subito dopo, perché comincia a sentirne la mancanza. Io cerco di fare il possibile per aiutarla, ma non posso certo sostituirmi a tuo padre.
Sisto si sente incapace di opporsi. Vorrebbe dirgli che solo il pensiero di sostituirsi a suo padre lo offende. Solo quel rievocarlo così superficialmente gli provoca il prurito alle mani. Ma non c’è verso di farlo. Senza volerlo lo zio schiaccia ogni sua manifestazione di volontà.
Sisto si chiede: ma crede davvero a tutto questo? E questa domanda, tutta mentale, pensata nel tono più cinico, che se fosse pronunciata sarebbe accompagnata da una smorfia a denti stretti, è tutto quello che può il suo coraggio. Un po’ poco.
Ora devi cominciare a prenderti le tue responsabilità, termina zio Antonio.
Gli punta gli occhi contro e Sisto capisce che il segreto è in quello sguardo. Ha una costante espressione di sospetto dipinta sul volto, che non riesce a cancellare, nonostante si sforzi. L’abitudine di guardare la peggiore gente gli ha disegnato uno sguardo perennemente feroce.
Che cazzo tremi? gli chiede all’improvviso alzando di un tono la voce.
Un tremito, più forte, scuote il corpo del ragazzo. Lo zio non ammette titubanze, Sisto lo sa bene, odia ogni debolezza. Ripete spesso che i deboli mancano di dignità.
Sto bene, zio, gli dice Sisto gonfiando il petto.
Percorrono una strada in salita che disegna una lunga curva fino a una piccola piazza. Su una panchina dormono due ubriachi. Poco più in là se ne sta accasciato un tossico. Si fermano a debita distanza, l’uno di fronte all’altro.
Mi chiedi di portarti con me, gli dice, e io potrei anche farlo, ma tu hai la minima idea di quello che significa?
Sisto non ce l’ha. Annuisce poco convinto. Lui continua a guardargli attraverso.
Ti dimostrerai all’altezza quando sarà necessario? chiede ancora afferrandogli le spalle. Poi, però, all’improvviso scoppia in una risata fragorosa. Non preoccuparti, gli bisbiglia con uno schiaffetto, ci penserò io a te!
Ricominciano a camminare, tornando indietro lungo la strada percorsa all’andata.
Ci sarebbe anche Profumo, fa Sisto dopo un po’, sai che siamo amici!
Ma Antonio non dice una parola, anzi il suo viso sembra scurirsi. Se ne sta in silenzio senza rispondere per qualche secondo, pensieroso. Poi si ferma e lo stesso fa Sisto che cerca di stare dietro a ognuno dei suoi passi.
Zio Antonio continua a tenere gli occhi a terra come se stesse cercando le parole tra le pieghe dell’acciottolato. Quando alza la testa per parlargli, ha una piccolissima titubanza, un ultimo strascico di pensiero che gli trattiene la lingua.
Non è un tuo parente, dice, per questo non puoi fidarti.
Il suo tono è quello di una sentenza, la sintesi di un pensiero complesso che ha, tra le sue tante motivazioni, l’obbligo genitoriale di somministrare un po’ di diffidenza a questo ragazzo troppo fiducioso nel prossimo.
È come un fratello per me, risponde Sisto guardandosi alle spalle. La luce trasversale di un lampione si riverbera sulle pietre sbrecciate di una parete diroccata. Suo zio gli sembra ancora più solido sotto quel riflesso, un muro senza crepe.
Sì, per te è come un fratello, ma non lo è davvero, gli dice, non c’è nessun legame di sangue.
Il ragazzo si arrende, non c’è nulla che possa fare per far cambiare idea a suo zio. Non ha abbastanza forze.
Antonio gli fa segno di ascoltarlo. Si sposta solo qualche metro più in là, al margine della strada, per allacciarsi una scarpa su uno scalino.
Quando si solleva, gli prende dolcemente la nuca. Sisto, ti prego di ascoltare bene, gli dice, gli amici non esistono, mettitelo in testa; questo può fare la differenza, per questo ti dico di ascoltarmi.
La differenza! Che differenza? gli chiede.
Tra un uomo che sa campare e un uomo da niente, e qui di uomini da niente ne è pieno. Sono quelli che si accontentano, che non lottano, che si nascondono dietro belle parole ma poi non hanno le palle per rischiare un solo centimetro della loro vita del cazzo.
Si zittisce quando si accorge che un uomo affacciato alla finestra di un basso se ne sta acquattato nel buio ad ascoltare. Trascina Sisto poco più in là, dove può continuare la sua lezione di vita.
Se vuoi imparare a campare, ti devi fare furbo, dice, devi essere cattivo. Funziona così, è così in tutto il mondo: devi tenere cazzimma, ma tenerne assai. Capisco l’amicizia che ti lega a Tommaso, aggiunge, vi conoscete da quando eravate ragazzini, ma questo non significa niente, perché siete due estranei.
Sisto annuisce, anche se il suo volto è cupo. Sa che non può permettersi un rifiuto, sa che Profumo, in qualcuno dei suoi modi folli, potrebbe fargliela pagare. Lo zio però ha voglia di mostrarsi generoso, perché all’improvviso sembra concedergli un regalo.
Aiuterò Tommaso, dice, perché me lo chiedi tu, e perché ne ho voglia, ma solo per questa volta. Pensa però a quello che ti ho detto, aggiunge con un accenno di sorriso, riflettici, fanne tesoro.
Sisto si illumina. Va bene, gli risponde. Gli sorride contento. Ha ottenuto quello che voleva e quasi non ci crede.
Ricominciano a muoversi lentamente per il vicolo e Sisto inizia a pensare che forse sarebbe questo il momento per sputare fuori tutto il tormento che lo opprime. Perché non sfruttare la predisposizione alla benevolenza di suo zio?
Alcuni pensieri gli hanno occupato prepotentemente la mente: e se zio Antonio scoprisse tutto? Non sarebbe meglio confessarglielo? Dirgli: guarda zio, io e Profumo abbiamo iniziato questa cosa, ma ti prometto che non lo faremo più, che smetteremo subito, che non c’è nessun pericolo che Cavallaro lo scopra, che non l’ha scoperto finora e che non succederà, perché smetteremo seduta stante, appena lo dirai, e sarà come se nulla fosse accaduto.
Potrebbe farlo, sarebbe logico, persino furbo, ma lo stesso ne ha paura.
Sente su di sé tutto il peso di questa fiducia rinsaldata, di questo legame di sangue rimarcato e non trova la spinta per lasciarsi andare a una confessione sì liberatoria ma anche distruttiva di quel patto appena concluso.
Non posso rovinare la complicità che per una volta siamo riusciti a creare, pensa.
Una sirena in lontananza lo distoglie da questi pensieri e soprattutto evita che lo zio possa accorgersi del tremito che di nuovo è tornato a scuoterlo.
Lo sai che tutti mi chiedono di intercedere con te? gli dice scacciando la tentazione di confessare ogni cosa. E infatti è proprio così: due persone in due giorni. Una coincidenza, forse, o un segnale evidente del potere che nel quartiere Antonio sta conquistandosi, giorno dopo giorno. Lui alza il capo, chiude gli occhi e sorride.
Di chi stiamo parlando? chiede.
Sisto alza le spalle. Prima Golia, poi Hamsik, gli risponde. Non so se lo conosci, aggiunge, intendo Hamsik, Golia invece so che lo conosci bene.
Zio Antonio annuisce, dice di conoscerli entrambi. Golia so che vuole, gli fa mostrandogli il profilo, passiamo ad Hamsik.
A quel punto Sisto vorrebbe mostrargli il regalo dell’amico, ma all’ultimo momento si trattiene: prova un po’ di vergogna a essersi venduto per così poco. L’iPhone gli piaceva e non ha saputo resistere, ma lo zio non capirebbe. Si limita allora a parlargli di Hamsik come di un calciatore incredibile, un amico, uno che vorrebbe fare strada ma che non ci riesce solo perché non gode dei giusti appoggi, delle giuste raccomandazioni. Lo zio annuisce. Hai troppa gente che ti gira intorno, dice tagliando corto. Ricorda che chi tiene pietà della carne degli altri, aggiunge, la sua se la fottono i cani. Devi imparare ad ascoltarli, ma a non accontentarli subito. È così bello farsi pregare! dice ancora scoppiando nella sua risata.
E infatti è bello: Sisto non riesce ad aggiungere altro.
Capita che, camminando e parlando, arrivino in prossimità del bar di Celestino. Sisto segue lo zio che entra. Ci sono sedute alcune persone che conoscono: Recchia Storta, Peppe Speranza, Savino che è l’idraulico di Vico Millenario, il nuovo aiutante che lavora con lui, un uomo corpulento e con un porro enorme sul collo che Sisto ha già visto bazzicare per il quartiere. Gente tranquilla, habitué.
Sisto e lo zio si accomodano in un angolo del bar e ordinano due birre. Celestino li osserva silenzioso, poi si affretta a servirli.
Il gruppo di quattro persone sta guardando su un grande schermo sulla sinistra, tra un bicchierino e l’altro, la partita del Napoli di domenica scorsa. Discutono.
L’arrivo di Mazzarri ha sancito il miracolo, dopo la parentesi disastrosa di Donadoni: è un’altra squadra questa che combatte ora al San Paolo. Donadoni con la sua remissività, la sua aria da eterno incompreso, non era mai andato a genio alla maggior parte degli abitanti di Napoli. Quella sua compostezza irritava tutti. Faceva sospettare disincanto, indifferenza, distacco nei confronti del calcio: cosa imperdonabile per la gente di questi vicoli.
Noi vogliamo persone che si sbraccino, che facciano sentire la loro voce, sta dicendo Peppe Speranza. Savino è d’accordo: guarda che fa! Quello sì che è un allenatore! dice riferendosi al nuovo mister.
La telecamera indugia su Mazzarri che, nonostante piova, se ne sta in giacca e camicia a incitare i suoi.
Il toscanaccio piace. L’opinione unanime è che tiene le palle! E la fortuna lo aiuta. Da quando è a Napoli, ha collezionato quattordici risultati utili, togliendosi un sacco di soddisfazioni.
Il campionato, dice Recchia Storta, ha svoltato grazie...