Enigma
eBook - ePub

Enigma

  1. 392 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Un giovane e geniale matematico è in corsa contro il tempo per riuscire a decriptare i codici segreti tedeschi che nascondono micidiali piani di distruzione. Un romanzo di spionaggio ambientato nella Seconda guerra mondiale, giudicato "tra i più belli degli ultimi anni" dal "Times".

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804434887
eBook ISBN
9788852052446

V

Guida

GUIDA: una prova concreta (in genere un codice catturato o un brano di testo in chiaro) che fornisce indizi per la violazione di un crittogramma; “senza dubbio la GUIDA è lo strumento singolo più importante per ogni crittoanalista”.
(Knox e altri: Op. cit., p. 27).
Dizionario di crittografia
(“Segretissimo”, Bletchley Park, 1943)

1
Il rossetto del tempo di guerra era duro e ceroso: era come cercare di truccarsi le labbra con una candela natalizia. Quando, dopo aver sfregato con forza per vari minuti, Hester Wallace si rimise gli occhiali, si guardò allo specchio con disgusto. Il trucco non aveva mai avuto un posto importante nella sua vita già prima della guerra, quando i cosmetici abbondavano nei negozi. Ma adesso che non si trovava più niente, le donne arrivavano ai confini dell’assurdo. Sapeva di certe ragazze del suo capannone che facevano il rossetto con le rape rosse e lo fissavano con la vaselina, usavano lucido da scarpe e sughero bruciato al posto del mascara, e incarti di margarina per ammorbidire la pelle, e si spolveravano le ascelle col bicarbonato per nascondere l’odore del sudore… Atteggiò le labbra in un arco di Cupido, e subito smise con una smorfia. Era completamente assurdo, sì.
A quanto pareva, la mancanza di cosmetici aveva finito per colpire anche Claire. Nonostante ci fosse una profusione di vasetti e boccette sul suo tavolino da toilette – Max Factor, Coty, Elizabeth Arden, tutti nomi profumati dal glamour d’anteguerra – molti erano vuoti, e racchiudevano soltanto una traccia di profumo. Hester li annusò uno dopo l’altro, e la sua mente si riempì di immagini di lusso: abiti da cocktail in raso firmati Worth, Londra, e abiti da sera con scollature audaci, fuochi d’artificio a Versailles e il ballo estivo della duchessa di Westminster, e una dozzina di altre sciocchezze meravigliose descritte da Claire. Ebbe la fortuna di trovare un vasetto semipieno di mascara e un barattolo dal tappo di vetro con un dito di cipria raggrumata e si mise al lavoro.
Non si faceva scrupoli nel servirsi liberamente. Claire non le aveva sempre detto che poteva farlo? Truccarsi era divertente, secondo la filosofia di Claire, rendeva una persona soddisfatta di sé, la trasformava in qualcun’altra e poi «se questo è necessario, tesoro, si fa e basta». Benissimo. Hester si incipriò con decisione le guance pallide. Se questo era necessario per convincere Miles Mermagen ad approvare il trasferimento, ebbene l’avrebbe avuto.
Guardò la propria immagine senza entusiasmo, poi rimise tutto a posto e scese. Il salotto era stato appena spazzato, e c’erano narcisi sopra il camino. Il fuoco era pronto. Anche la cucina era immacolata. Nel pomeriggio aveva preparato un flan di carote per due, con ingredienti che aveva coltivato lei stessa nell’orticello davanti alla porta della cucina. Apparecchiò anche per Claire e lasciò un biglietto per dirle dov’era il flan e come riscaldarlo. Esitò, poi aggiunse: “Bentornata… dovunque tu sia stata. Con affetto, H”. Si augurò di non apparire troppo curiosa e impicciona: non voleva comportarsi come una chioccia.
«ADU, signorina Wallace…»
Claire sarebbe tornata, naturalmente. Tutta quell’agitazione era immotivata, troppo assurda per prenderla sul serio.
Sedette in poltrona e l’attese fino a mezzanotte meno un quarto, quando non osò più aspettare.
Mentre la bicicletta avanzava sobbalzando verso il viottolo, un gufo bianco, colto di sorpresa, si levò in volo nel chiaro di luna, silenzioso come un fantasma.
In un certo senso fu tutta colpa della signorina Smallbone. Se Angela Smallbone non avesse fatto notare, nella sala professori della scuola preparatoria, che il «Daily Telegraph» aveva organizzato una gara di cruciverba, la vita di Hester Wallace sarebbe continuata indisturbata. Non era una vita molto eccitante: placida e provinciale in una remota scuola preparatoria per ragazze presso la cittadina di Beaminster, nel Dorset, a circa quindici chilometri dal luogo dove Hester era nata e vissuta. E non era una vita molto condizionata dalla guerra, a parte le facce pallide dei bambini sfollati in alcune delle fattorie vicine, il filo spinato lungo la spiaggia nei pressi di Lyme Regis e la carenza cronica di insegnanti, una carenza tale che quando, a san Michele, ebbe inizio il semestre dell’autunno 1942, Hester fu costretta a insegnare teologia (la sua materia abituale), e in più inglese e in più un po’ di latino e greco.
Hester aveva il bernoccolo delle parole crociate e quando Angela lesse quella sera che il premio era di venti sterline si chiese: Perché no? La prima prova, un cruciverba difficilissimo pubblicato sul giornale dell’indomani, la superò agevolmente. Spedì la soluzione, e a stretto giro di posta le arrivò una lettera che la invitava alla finale, da tenersi nella mensa del «Telegraph», un sabato di lì a due settimane. Angela si offrì di sostituirla nell’allenamento di hockey, Hester prese il treno da Crewkerne a Londra, si unì ad altri cinquanta finalisti… e vinse. Completò il cruciverba in tre minuti e ventidue secondi e lord Camrose in persona le consegnò l’assegno. Hester diede cinque sterline al padre per il fondo restauri della chiesa, ne spese sette per un cappotto nuovo (di seconda mano, per la verità, ma in ottime condizioni) e depositò il resto sul libretto postale di risparmio.
Il giovedì arrivò la seconda lettera, molto diversa dalla prima. Una raccomandata in una busta lunga color nocciola. Al Servizio di Sua Maestà.
Più tardi, Hester non riuscì mai a decidere se il «Telegraph» aveva organizzato la gara dietro suggerimento del War Office, allo scopo di rastrellare nel paese uomini e donne con un’attitudine per i cruciverba, oppure se qualcuno del War Office aveva visto per caso i risultati della gara e aveva chiesto al «Telegraph» l’elenco dei finalisti. Comunque fosse andata, cinque dei migliori furono convocati per un colloquio in un tetro ufficio vittoriano sulla riva meno elegante del Tamigi, e tre di loro ebbero l’ordine di presentarsi a Bletchley.
La scuola non avrebbe voluto lasciarla andare. Sua madre pianse. Suo padre non sopportava l’idea, così come non sopportava nessun cambiamento, e per giorni e giorni fu tormentato dai presentimenti (“Egli non tornerà più nella sua casa, né la sua terra lo conoscerà più” Giobbe, 7.X). Ma la legge è legge. Hester doveva andare. E poi, pensava, aveva ventotto anni. Era condannata a passare il resto della vita nello stesso luogo, avviluppata nella trapunta sonnolenta di campi minuscoli e di villaggi di pietra color miele? Era l’occasione per evadere. Nel corso del colloquio aveva afferrato indizi sufficienti per intuire che si sarebbe occupata di codici, e fantasticava di tranquille biblioteche piene di libri e di serene atmosfere intellettuali.
Quando arrivò alla stazione di Bletchley col cappotto di seconda mano, in una piovosa mattina di lunedì, fu subito accompagnata alla casa padronale, dove le fecero firmare una copia della Legge sui Segreti di Stato. Il capitano dell’Esercito che li aveva ricevuti posò la pistola sulla scrivania e disse che se qualcuno di loro avesse riferito una parola di ciò che stavano per ascoltare, gli avrebbe sparato personalmente. Poi ci fu l’assegnazione. I due finalisti maschi diventarono crittoanalisti, mentre lei, la donna che li aveva battuti, fu spedita in quel manicomio che veniva chiamato Controllo.
«Lei prende questo modulo, vede, e nella prima colonna scrive il nome in codice della stazione intercettatrice. Chicksands è CKS, Beaumanor è BMR, Harpendon è HPN… Non si preoccupi, cara, si abituerà. Qui, invece, deve annotare l’ora dell’intercettazione, qui la frequenza, qui il segnale di chiamata, qui il numero dei gruppi di lettere…»
Le fantasie di Hester erano finite in polvere. Non era altro che un’impiegata un po’ speciale. Controllo era un grande imbuto fra le stazioni d’intercettazione e i crittoanalisti, un imbuto che incanalava la produzione incessante di qualcosa come quarantamila diversi segnali radio di chiamata i quali usavano più di sessanta chiavi di Enigma identificate separatamente.
«Forze Aeree tedesche, bene, di solito sono insetti o fiori. C’è Scarafaggio, diciamo, è la chiave di Enigma per i caccia occidentali con base in Francia. Libellula è la Luftwaffe di Tunisi, Locusta quella della Sicilia. Ce n’è una dozzina. I fiori sono: Digitale, fronte orientale; Giunchiglia, fronte occidentale; Narciso, Norvegia. Gli uccelli sono chiavi per l’Esercito tedesco. Fringuello e Fenice sono la Panzerarmee Afrika; Gheppio e Avvoltoio, fronte russo. Sedici uccellini. Poi ci sono Aglio, Cipolla, Sedano: tutte le verdure sono Enigma meteorologiche, e vanno direttamente al Capannone 10. È chiaro?»
«Cosa sono Moffetta e Istrice?»
«Moffetta è il Fliegerkorp VIII, fronte orientale. Istrice è la cooperazione terra-aria, Russia meridionale.»
«Perché non sono insetti anche quelli?»
«Dio lo sa.»
I moduli che dovevano riempire erano chiamati blist o hanky; lo schedario per il materiale miscellaneo era conosciuto come Lago Titicaca («un lago andino con molti immissari» dichiarava Mermagen con aria solenne «ma senza emissari»). Gli uomini si davano a vicenda nomi buffi, “Unicorno-Zebra”, “Finta Tartaruga”, mentre le ragazze si struggevano per i crittoanalisti più belli della Sala Macchine. Quell’inverno, seduta nel capannone gelido e impegnata a compilare elenchi interminabili, Hester percepiva la Germania nazista solo come una sterminata pianura buia, con migliaia di minuscole luci che ammiccavano fra loro. Ironia del destino, pensava Hester: a suo modo tutto ciò era lontano dalla guerra quanto i pascoli e le stalle dai tetti di paglia del Dorset.
Parcheggiò la bicicletta nella baracca accanto alla mensa e si unì al flusso dei dipendenti che la trasportò fino all’entrata del Capannone 6. La sezione Controllo era già in piena animazione. Mermagen si aggirava con aria d’importanza fra le scrivanie, batteva la testa contro i paralumi bassi inviando in tutte le direzioni folli sciabolate di luce. La Quarta Armata Panzer comunicava la vittoriosa riconquista di Kharkov, strappata ai russi, e quegli stupidi del Capannone 3 chiedevano che ogni frequenza del settore sud del fronte meridionale venisse immediatamente messa sotto il controllo di due stazioni.
«Hester, Hester, appena in tempo. Da brava, parla con Chicksands, e vedi cosa possono fare. E già che ci sei, la Sala Macchine pensa di aver ricevuto un testo sbagliato nell’ultima infornata di Gheppio: l’operatrice deve controllare i suoi appunti e ritrasmettere. Poi la trasmissione da Beaumanor delle undici va messa su blist. Fatti aiutare da qualcuno. Oh, sarebbe anche opportuno rimettere in ordine lo Schedario.»
Tutto questo prima ancora che si fosse tolta il cappotto.
Arrivarono le due prima che trovasse un attimo di pausa per andare a parlare a quattr’occhi con Mermagen. Era nel suo ufficio, non più grande di un ripostiglio per le scope, con i piedi sulla scrivania, e studiava a occhi socchiusi un fascio di carte, in una posa da formidabile uomo del destino che, sospettava Hester, aveva copiato da qualche attore di cinema.
«Posso parlarle un momento, Miles?»
Miles. Secondo lei, quell’abitudine di usare i nomi anziché i cognomi era un’affettazione irritante, ma l’assenza di formalità era una regola rigida, una parte essenziale dell’etica di Bletchley: noi, i dilettanti civili, sconfiggeremo loro, i disciplinati guerrieri unni.
Mermagen continuò a studiare le carte.
Hester batté il piede sul pavimento. «Miles?»
Lui girò un foglio. «Ha tutta la mia attenzione… completamente divisa.»
«La richiesta di trasferimento…»
Lui gemette e girò un’altra pagina. «Non ricominciamo.»
«Ho imparato il tedesco…»
«Che coraggio.»
«Aveva detto che era impossibile ottenere il trasferimento perché non conoscevo il tedesco.»
«Sì, ma non ho detto che conoscerlo rendesse il trasferimento più probabile. Oh, maledizione! Bene, venga avanti, allora.»
Posò le carte con un sospiro e le fece cenno di varcare la soglia. Qualcuno, una volta, doveva avergli detto che il Brylcreem gli dava un’aria affascinante. Gli untuosi capelli neri, pettinati all’indietro e girati dietro le orecchie, luccicavano come la cuffia di un nuotatore. Stava cercando di farsi crescere un paio di baffetti alla Clark Gable, ma erano un po’ troppo lunghi sul lato sinistro.
«I trasferimenti di personale da una sezione all’altra, come ho già spiegato, sono estremamente rari. Dobbiamo tener presenti le esigenze della sicurezza.»
Le esigenze della sicurezza: doveva aver addotto la stessa argomentazione, prima della guerra, per rifiutare i prestiti. All’improvviso la fissò, assorto, e lei comprese che aveva notato il trucco. Non sarebbe sembrato più sorpreso se lei si fosse dipinta di turchino. Abbassò la voce di un’ottava.
«Mi cre...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Enigma
  3. Nota dell’autore
  4. I. Bisbigli
  5. II. Crittogramma
  6. III. Pizzicare
  7. IV. Bacio
  8. V. Guida
  9. VI. Spogliare
  10. VII. Testo In Chiaro
  11. Ringraziamenti
  12. Copyright