Roma Califfa
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Roma Califfa

  1. 252 pagine
  2. Italian
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Roma Califfa

Informazioni su questo libro

"Roma bizzarra", "Roma venerabile", "Roma bambina", "Roma delle leggende", "Roma del mistero", "Roma della realtà più cruda", "Roma dalle due facce", "Roma dalle mille sfumature", in una parola Roma Califfa: è, e non può che essere, la Roma di Alberto Bevilacqua, parmigiano di nascita, romano di adozione, da quando a vent'anni, partito per tentare la prima avventura della sua vita, trasmigra dal Po al Tevere e si insedia nella città eterna. Come tanti italiani, a quel tempo soprattutto, ha deciso di affidare alla capitale la sua gioventù e il suo futuro: speranze, sogni, anni di vita. Questo volume è l'illuminante cronaca di quelle scoperte. Esplorazioni, immedesimazioni nell'"anima califfa" di Roma, che ha tante affinità con la Califfa, come simbolo carnale e leggendario. Quante felici testimonianze di un variegato percorso dell'autore dal secondo dopoguerra in poi, fra affascinanti personaggi finalmente svelati, che non si dimenticano. Il talento di un maestro della nostra narrativa non ci abbandona mai.
Si spazia dai ricordi di gioventù - quando l'autore, giovane cronista di nera al "Messaggero" muoveva i primi passi nella sua città d'elezione - alla Roma antica di Adriano o Vespasiano, dalla Roma papalina alla Roma del boom e degli anni gloriosi di Cinecittà, senza rinunciare a sulfuree incursioni nella Roma tormentata dei giorni nostri. Un itinerario fatto non solo di luoghi, ma anche di incontri e conversazioni, con attori come Charlie Chaplin, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, registi come Orson Welles e Federico Fellini, scrittori come Giancarlo Fusco, Domenico Rea, Ennio Flaiano, tutti evocati sub specie romanitatis. Tra antichi fasti, moderne inquietudini, "sempiterne insensatezze", ci si inoltra accompagnati da riflessioni, spigolature, "vaghèzie", e intanto sono lo spirito stesso dei luoghi, l'aria dei tempi che prendono forma di fronte a noi.
Alla città che lo ha accolto, Bevilacqua dedica scritti arguti e curiosi, arrabbiati e nostalgici, malinconici e ispirati, dove quello che c'è di più nascosto e intimo viene naturalmente a mescolarsi con i fatti della storia o della cronaca.
Si compone così, sotto gli occhi del lettore, un ritratto vivo e inconsueto della capitale, che è anche una sorta di atlante interiore del suo autore, un involontario repertorio dei motivi più seducenti e forti della sua produzione letteraria.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
Print ISBN
9788804616030
eBook ISBN
9788852023446

Parte terza

ROMA-AMOR

Roma-Amor

“Roma-Amor”: comunque la si giri, anche di fronte allo specchio, la città resta di una simbolica, imprescindibile potenza sentimentale. Il gioco lessicale, di antica data, venne ripreso anche da Goethe, nelle sue Elegie romane, come codice cifrato della sua fecondità, madre delle mille facce della vitalità, i cui messaggi emergono ovunque. Un dato curioso, che risulta oggi singolare. Roma non nacque dalla leggenda di due bambini allattati da una lupa, ma da un processo che risale all’uomo primitivo, a capanne e villaggi, fino a formare un consorzio di popoli diversi. Ebbene, gli storici sono concordi nel definire questo consorzio “Lega”. Esattamente così. Lega anche come chiave di lettura di riti magici, credenze fantasiose, culti misteriosi che si sono perpetuati nel tempo. Con un potere di attrazione che non si è mai prodotto altrove. Tre nomi, fondamentali al di sopra di tutti, lo testimoniano. Stendhal, Goethe, Freud. Henri Beyle pubblica un testo che suona così nel titolo originale: Rome, Naples et Florence en 1517, par Monsieur de Stendhal, Officier de Cavalerie. Nasce in tal modo, e con la definizione di ufficiale di cavalleria, lo pseudonimo di Stendhal (lo scrittore francese confessò che, durante questo viaggio di scoperte, subì una sorta di collasso principalmente in seguito alla visita alla chiesa fiorentina di Santa Croce, dal che si può dedurre che Roma non fu estranea al rafforzarsi di quella che, alla fine del secolo scorso, venne definita, teorizzando, “sindrome di Stendhal”).
Dalla Lega (“le varie epoche della Roma antica e della nuova sovrapposte l’un l’altra”) Goethe fu addirittura magnetizzato, al punto di confessare: «L’ansia di giungere a Roma era così grande, aumentava tanto di momento in momento, che non avevo tregua, e sostai a Firenze solo tre ore». Stupisce Freud che scrive della capitale: «Brilla in lontananza come suprema ricompensa ma anche come misteriosa minaccia. Formulazione elementarmente psicanalitica riassumibile nel detto “bella da morire”. Vale per ogni realtà vagheggiata e insieme temuta come sempre avviene per ogni grande aspirazione. Quante opinioni discordi su Roma. Caligola che afferma: «Come vorrei che il popolo romano avesse una testa sola!». Francis Scott Fitzgerald: «So che qui non mi piacerebbe niente. Mi piace la Francia, dove tutti si credono Napoleone. Qui tutti credono di essere Cristo». E Giovenale, nelle Satire: «Cosa farò a Roma? Non so mentire». Durissimo Henry James: «A ragione questa città viene chiamata eterna, perché eterno è senza dubbio l’effetto che produce sulla coscienza. Si ama la sua corruzione più dell’integrità di altri luoghi». Sul versante dell’ironia, per scendere ai tempi nostri, ecco Achille Campanile: «Ma come mai Roma dominò il mondo? Erano maghi gli antichi romani? Prendersi una simile gatta da pelare. Farsi una sfacchinata del genere». Comunque sia, Civis romanus sum, sono cittadino romano, fu una formula per ottenere certe garanzie umane: fu usata, ad esempio, da san Paolo per evitare la tortura. E poi quanta identificazione da parte dei poeti di ogni parte del mondo. Mi sembra di riudire la voce del grande spagnolo Rafael Alberti, che a Roma è vissuto a lungo: «Eccomi a te, Roma vagheggiata, / sono dentro di te, e in me ti scopri! / Voglio disperdermi nel tuo respiro, / essere come te aria popolare».

Roma Califfa

Roma è una città femmina. Mi piace andarmene in giro per Roma, di notte. Con la sensazione di affiancare una donna molto bella e curiosa. Ci sono città che stimolano la curiosità, altre che la disarmano. Potrei scrivere un trattato sui paesi in cui mi sono aggirato. Poli glaciali – per il curioso – le città maschio e le loro sottospecie: le città ras, che infiggono grattacieli come lance; le città-gendarme, che ammanettano i desideri; le città bazar, dove non si vendono meraviglie, ma inganni; le città-sepolcro, dove anche Dio pesa... Le città ideali sono quelle femmina. Si va dalle città-gineceo alle città-bordello, passando per infinite sfumature. Quelle che praticano il sentimento delle strade o la lussuria monumentale; le altre che ti seducono e poi ti lasciano, in balìa di una stazione. Le sultane, le favorite, le adultere, le schiave, e via dicendo. Nessuna soffre di sazietà urbana, nessuna la impedisce al viaggiatore curioso... Parma è femmina, o Firenze, Barcellona, per non dire di Venezia o San Francisco. Londra no, è maschio. Come Palermo o New York. Capitale femmina, Roma è attrice. Ma alle esibizioni in palcoscenico – non ama il dominio sul pubblico, essendo lei stessa pubblico – preferisce l’artigianato del retroscena, dove si allestiscono spettacoli.
Roma ha sempre avuto locali off di ogni genere, alcuni erano simili a catacombe. A piazza Navona, ci fu, in passato, l’Agone: da Sant’Agnese in Agone, la cripta nei pressi, col bassorilievo dell’Algardi e la scritta: “Ingressa Agnes / Hunc turpitudinis locum / Angelum Domini / Preparatum invenit”. Qui, infatti, i lupanari si ammucchiavano intorno al circo dove oggi c’è la piazza. Ma i frequentatori dell’Agone ignoravano le sventure di Agnese che il Prefetto si riservò di violentare personalmente. Mai dimenticare il barbarico piacere della guardia pretoriana e della cortigiana Lisisca. Vado in giro per Roma, di notte, col piacere di prestare ascolto ai segnali che mi trasmettono i sotterranei. Nessuna città ha questo potere di trasmettere mistero dai sotterranei. Non si è mai rassegnata all’impalpabile nulla, ha sempre dovuto dargli una consistenza di mura, labirinti, sottopassaggi. Di notte si afferra, nell’aria, un’oscura febbre di danzatori, buffoni e banchettanti che si animano nelle cavità segrete oltre le pareti. I primi tempi della mia venuta a Roma, frequentai un circolo che si chiamava Re Polacco. Dice la leggenda: “Su quella che è oggi via Cavour, un Re Polacco ebbe un tempo lontano uno splendido palazzo, dove abitò a lungo e morì. Passarono anni, e là dov’era la favolosa dimora di quel Re, furono fatti scavi che portarono alla luce un tesoro di preziose gemme. Si dice però che, frugando nelle viscere dell’Esquilino, ci si dovrebbe trovare la statua del Re, tutta d’oro”. I soci del circolo continuavano a scavare di nascosto. E qualcosa era saltato fuori. Una corona di cattivo metallo. Una splendida spada ingioiellata. Ma, della statua, ancora niente. I soci insistevano: «Prima o poi finiremo per trovarla... E frugare sotto Roma è una bella avventura».
Il Re Polacco non si limitava a un sodalizio di stravaganti. Era un’impresa collettiva che, con intelligenza e buon gusto, cercava di mettere a frutto l’energia ricavabile dall’insoddisfazione dell’individuo. I soci potevano esercitarvi, in libertà, i cosiddetti violons d’Ingres. Com’è noto, si definiscono in tal modo, non già i passatempi, ma le seconde vocazioni. Più “alla romana” di così! Non c’è essere umano che non coltivi una seconda vocazione. La preferita è lo stare in santa pace, con nessi e connessi: la pratica dei suoi raffinati piaceri. Si chiudevano i finestroni e si tiravano le tende. Anche nei pomeriggi di pieno sole, si accendevano sui tavoli dolcissime lampade. Il frastuono della città diventava un brusìo, autobus e automobili ronzavano come sopportabili api. Si poteva persino immaginare che Roma fosse un immenso prato fiorito. Altri esempi. Alcuni anziani, che non avevano vissuto che trionfanti banalità, scrivevano le loro memorie. C’era chi suonava strumenti: il più praticato, il sassofono. Qualcuno dimostrava di possedere una bella voce da tenore o da baritono. I più semplici facevano giochi di prestigio. I parlatori affondavano nelle poltrone e comunicavano ai compagni la loro seconda vocazione che consisteva nel prestare silenzioso ascolto ai sogni altrui, non riuscendo essi a sognare.

I Misteri di Roma

I Misteri di Roma. Appena sceso dalla provincia emiliana, vi fui coinvolto. Uno dei miei primi esperimenti cinematografici. Cesare Zavattini chiamava i giovani nei suoi laboratori con l’idea di un cinema che fosse “pedinamento della realtà”. Si entusiasmava proponendo simili prove d’esordio a quelli che – sosteneva – sarebbero stati i maestri di domani. Misteri di Roma, dunque, datati quei primi anni Sessanta. Mi è tornato in mente leggendo, sulla stampa, dei misteri che attraggono attualmente nella capitale. Allora, spronati da Cesare, detto “Za”, andammo alla caccia della tana in cui operava la “Regina della malavita” e registrammo l’avventurosa raccolta delle prostitute all’alba: personaggi stralunati della prostituzione, trans compresi, perché esistevano già le varianti del mestiere stradaiolo. Oggi, apprendo che esiste “un turismo macabro del quadrilatero dei trans”, dove ha avuto il suo incendio il caso Marrazzo, a mio avviso ancora da decifrare nei suoi complessi labirinti: via Gradoli, via Biroli, e via dicendo.
Misteri squallidi, contorti, e c’è gente che prova l’emozione di avventurarsi nei luoghi incriminati, fra creature sessuali brutte a vedersi (ma come mai non appaiono trans almeno avvenenti, perché ce ne sono, altro che: strana anche questa vocazione al peggio). Misteri di questo tipo in una Roma la cui Storia, con la maiuscola, è fatta di luoghi privilegiati per lo sfogo della curiosità all’enigma di certi fatti. Magari andando a scovare, sulla Nomentana, in località Vigne Nuove, dove sorgeva la villa di Faonte, liberto di Nerone, il canneto dove l’imperatore, aiutato da un altro suo liberto, Epafrodito, si diede la morte esclamando: «Qualis artifex pereo!». O andando a scoprire i “rifugi segreti del diavolo”.
Roma pullula di misteri che aspettano di essere scoperti, risolti. Basterebbero i sotterranei dove la città nasconde le sue viscere. Un accavallarsi di cunicoli, anfratti, voragini, piccoli abissi. Un Averno in cui c’è da aspettarsi qualsiasi incontro; la tomba di un santo o una pantegana reale, o una cripta, un ossario, o stucchi finissimi. C’è anche chi si è perso laggiù e non è mai più tornato alla luce. L’esplorazione misteriosa potrebbe durare giorni e giorni. Regioni dell’Ade dove non sappiamo ancora cosa ci sia esattamente, forse davvero i tesori di cui favoleggiò il Medioevo, certamente affreschi, lapidi, sculture. Pensiamo al labirinto della Catacomba di San Callisto, in cui venne miracolosamente ritrovato il corpo intatto di santa Cecilia. Oppure il labirinto, sconvolgente, della Catacomba di San Sebastiano, con l’ambiente centrale dove si aprono scenograficamente tre mirabili ipogei, ornati di stucchi. Ma oggi no, si va a rendere visita al quadrilatero dei trans. E fra poco, chissà, si andrà in pellegrinaggio a Tor Bella Monaca, dove i controlli antidroga e i posti di blocco provocano reazioni esasperate della malavita, e si tirano sassi alle autoambulanze, si assalgono gli autisti degli autobus. E ci sono movida e degrado a piazza Trilussa. E le “ragazze di piazza di Spagna”? Un tempo, erano il titolo di un film animato dalla voglia di letizia del dopoguerra. Oggi, si legge delle adolescenti che, nei weekend, fanno della piazza un regno del bullismo femminile (che è in crescita: il trentaquattro per cento dei casi). Si imitano i bori di borgata. Ci sono le capobanda. E pensare che i “Misteri di Roma” ambientano, nei paraggi, l’amore di Febilia, figlia di Giulio Cesare, per Virgilio. E, sempre nei paraggi, Casanova venne rallegrato in ogni modo da belle romane.

Altri luoghi del mistero

Il mistero a Roma? Tanti i luoghi che lo racchiudono. Ma io, fra tutti, scelgo il Colosseo. Ho sempre amato viaggiare verso i luoghi del mistero sparsi nel mondo. Ne citerò alcuni. Scegliendo, per cominciare, il Colosseo, anche se qualcuno si stupirà di questa scelta: i luoghi più misteriosi, infatti, sono spesso quelli che si ritengono come un libro aperto, già decifrati, senza nulla che non si sappia già. I viaggi esoterici sono esperienze straordinarie. Esiste uno stile esoterico, come esiste un turismo selezionato, segreto, alimentato da viaggiatori che, nella valigia, mettono anche un po’ di anima. Leggo che, giorni fa, è stata denunciata per danneggiamento aggravato una giovane colombiana giunta in Italia per partecipare al festival degli “artisti da strada” in corso a Latina. Che ha combinato la colombiana? È entrata nel Colosseo per incidere, con un coltellino, il nome del fidanzato Carlos. Un pegno d’amore. Chissà cosa ne avrebbe pensato Longfellow, uno dei più popolari poeti dell’Ottocento, influente “bramino” della cultura della Nuova Inghilterra. Secondo Longfellow, l’architetto del Colosseo si sarebbe chiamato Gaudenzio: la sua ricompensa sarebbe consistita nell’essere gettato vivo fra le bestie feroci. Un primo mistero. Alla costruzione dell’anfiteatro avrebbero lavorato quindicimila uomini per otto anni. L’inaugurazione, avvenuta nell’80 d.C. per opera di Tito, fu celebrata con feste che durarono cento giorni e costarono l’uccisione di cinquemila belve. Aggirarsi nel silenzio del Colosseo significa avere il senso, misterioso, di tutto ciò che squarci quel silenzio. Altra festa interminabile per salutare l’anno Mille: si diedero battaglia duemila gladiatori e vennero uccisi trentadue elefanti, sessanta leoni, dieci tigri, dieci iene, venti asini selvaggi. Questo sostengono le cronache misteriose. Aggirarsi nel Colosseo impone anche di alzare gli occhi al cielo e pensare all’immenso velario di seta steso sull’anfiteatro per riparare dal sole gli spettatori. Si racconta che costasse tanto oro quanto pesava. Per manovrarlo, veniva tenuto di stanza a Roma un distaccamento di marinai.
I luoghi del mistero si trovano menzionati negli atlanti della stravaganza. A chi si perde lungo il Tigri e l’Eufrate, suona come favola curiosa il fatto che la Genesi citi i due fiumi evocando l’Eden. Il Paradiso Terrestre. Leggenda? Ma quanta verità esiste nella leggenda, se una storia del mondo, fra infiniti misfatti, si dimostra potentemente capace (e divertita, beffarda) di infinite sorprese? Potremmo stabilire, ad esempio, quanto ci sia di vero su Cadbury Castle, l’antico forte che sorge presso South Cadbury, nel Somerset. È davvero identificabile con Camelot, la capitale del regno dove Re Artù fu circondato dai cavalieri della Tavola Rotonda? La Camelot dei poeti prosperò fra castelli incantati, foreste, magicamente fuori del tempo, il che ci fa vagamente sorridere, ma soltanto perché non riusciamo a credere che i luoghi, ancora, possano sprigionare un incanto. Errore: i luoghi, come gli animali, detengono un effettivo potere di magia. “Tutto è pieno di dèi” secondo Talete, e l’affermazione è da intendere in questo senso: non esiste terra che non abbia un suo dono fatale e non sia in grado di sprigionare i suoi sogni e i suoi arcani. Penso agli arcani della Persia mirabile – per citare un titolo di Cesare Brandi, che andrebbe riscoperto – come il sepolcro di Ciro il Grande, dove il viaggiatore si chiede: “Che volle comunicarci il piccolo pastore, Giotto senza saperlo, che illuminò di graffiti queste imponenti strutture?”. Penso all’India nella Grotta di Elephanta, alla Stanza del Trono, la più segreta di Ebla, l’antichissimo regno della Siria. Ancora un ricordo: come tutte le piramidi messicane di Teotihuacan, anche la Piramide del Sole è orientata secondo le stelle. Ebbene, i viaggiatori dell’esoterico credono fermamente che là si possono rivedere le figure dei nostri morti più cari. Penso ai miei viaggi in Tibet. Chiudo con il Disco di Festo, nel cretese museo archeologico di Eraklion: vi stanno incisi, con simboli stupefacenti racchiusi nelle iscrizioni geroglifiche, grandi misteri che sembrano offrirsi alla decifrazione con una sorta di trepida fraternità. Orazio sostiene: “La terra è piena di segreti che il tempo può portare alla luce”. Ma il tempo siamo noi, è il nostro volerla trovare, quella luce. Se ne siamo impediti, ciò si deve al corrompersi della nostra attenzione spirituale.

Il Colosseo

Il Colosseo. Quanto Roma conti ancora oggi nel mondo lo dimostra l’impegno di Italia e Giappone per il restauro di questo simbolo della potenza romana, nessun altro monumento creato nella storia degli uomini sarebbe in grado di provocare tanto slancio in un mondo distratto da mille drammi. Il sindaco Alemanno laggiù a Tokyo; il viceministro degli Esteri nipponico per tirare le fila dei possibili sponsor del Sol Levante, con la tecnologia giapponese che è la più avanzata nel settore; gli imprenditori italiani coinvolti nel recupero, avendo a capofila Diego Della Valle; il sottosegretario ai Beni Culturali Francesco Giro che ha quantificato in ventitré milioni di euro la cifra necessaria per il restyling. L’opera di decoro riguarderà anche l’Arco di Costantino e l’area dell’Anfiteatro Flavio. Il vero nome, infatti, fu Anfiteatro Flavio, perché fu iniziato dalla famiglia Flavia e inaugurato da Tito il 21 aprile dell’80 d.C., ma gli ultimi lavori furono compiuti sotto Domiziano. Mantenere in vita il Colosseo si aggancia a una predizione fra le più celebri dell’antichità. Il termine Colosseo comparve la prima volta in una profezia attribuita al venerabile Beda, vissuto nell’VIII secolo: “Finché esisterà il Colosseo esisterà anche Roma; quando cadrà il Colosseo cadrà anche Roma; quando cadrà Roma, cadrà anche il mondo”. Varie ipotesi sull’appellativo. Potrebbe essere venuto dalla vicina statua di Nerone, il Colosso di trentacinque metri; oppure dalla mole stessa della costruzione, o anche dal luogo in cui sorge, anticamente detto Collis Isei, da un tempio di Iside che sorgeva sul colle Oppio. Ma c’è chi crede nella leggenda riferita dal bolognese Armannino Giudice, che ipotizza l’esistenza di un vasto tempio diabolico, con tanto di stregoni che rivolgevano agli adepti la domanda “Coli Eum?”, ossia “Adori Lui?”, con ovvio riferimento al diavolo. Da qui, Coliseum. Nella tradizione popolare, il luogo fu a lungo covo di demoni: ne parla diffusamente anche Benvenuto Cellini. Alcuni dati per chi si sta proponendo il restauro. Per la costruzione occorsero centomila metri cubi di travertino e trecento tonnellate di metallo per i perni di aggancio dei blocchi, ai quali si devono i numerosi buchi sulle pareti. Si raggiungevano settantamila spettatori, che sedevano sulle gradinate di mattoni, mentre la tribuna d’onore aveva sedili di marmo. Gli ingressi erano ottanta. La copertura della cavea era assicurata da un velario che, per essere manovrato, richiedeva l’intervento di un distaccamento di marinai di Capo Miseno. Le corde che lo tendevano venivano agganciate a una serie di cippi (ne sono rimasti soltanto cinque).
Vi si svolgevano i duelli fra i gladiatori, ma anche le venationes, le cacce agli animali feroci, e le battaglie navali: le naumachie. Non è certo, invece, che vi avvenissero le torture ai cristiani. Anche se il Colosseo resta in funzione, con i suoi spettacoli, anche dopo la cristianizzazione di Roma, fino al VI secolo. In seguito, l’anfiteatro entrò in uno stato d’abbandono, con acque stagnanti e melma. Nel 1084, i Frangipane vi fecero la loro fortezza. Per il possesso del Colosseo iniziò una guerra con gli Annibaldi, che lo assediarono costruendo una torre dalla quale lo si dominava, riuscendo a impadronirsene alla fine del XIII secolo. Nel 1332 l’imperatore Enrico VII scese a Roma per la sua incoronazione e assegnò l’anfiteatro al Papa, che lo mise sotto la giurisdizione del Senato. Fu l’inizio di un nuovo periodo di abbandono: gli abitatori furono, a lungo, delinquenti, ladri, prostitute. Sisto V fu incerto se abbatterlo o inserirlo nell’itinerario delle basiliche, al centro delle tre grandi strade verso il Laterano, il Campidoglio e il Quirinale. In seguito, si diede credito all’idea che il Colosseo fosse stato un’arena di martirio per i primi cristiani. Si arrivò a collocarvi le edicole della Via Crucis con una croce al centro. La cerimonia della Via Crucis fu ripristinata da Giovanni XXIII, nella sera del Venerdì Santo. Una singolarità. Nel 1855, uno studioso, il Deakin, stampò un’opera (Flora of Colosseum) in cui enumerava ben quarantadue specie vegetali di cui aveva constatato la presenza nell’anfiteatro. Vi abbondavano garofani, menta, lattuga, cicoria, rosmarino, verbena, asparagi. Il diritto al taglio delle erbe si sorteggiava con regolare gara d’appalto.

Luoghi e passioni

Roma: passionale, romantica, spregiudicata negli amori celebri che ha ospitato. Celebri e tutti da scoprire. Ogni strada, ogni luogo una passione memorabile.
Via del Babuino e Franz Liszt
In via del Babuino, nel cuore dell’Ottocento, abitò Carolina, sposata col principe di Wittgenstein. Perse la testa per Liszt che, fino al 1849, fu il concertista più ammirato, più discusso, più retribuito d’Europa, con successi paragonabili a quelli ottenuti, nel decennio precedente, da Paganini. Uomo d’amori chiacchierati con donne molto in vista, Liszt aveva scritto la prima pagina di quello che definì “il mio album d’irresistibile” rubando la moglie al conte d’Agoult, dalla quale ebbe tre figli (Cosima sposò Wagner). A Roma, il pianista visse il suo rapporto passionale più lungo e tormentato, appunto con Carolina. L’albergo Alibert, nei pressi del Babuino, fu teatro d’incontri memorabili. Fu annunciato l’annullamento del matrimonio della principessa di Wittgenstein, ma il pontefice impedì che la pratica avesse corso. “Stavo per sposare Carolina” annotò Lisz...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Roma Califfa
  3. Parte prima - PROVE DI VITA A ROMA
  4. Parte seconda - INCONTRI ROMANI
  5. Parte terza - ROMA-AMOR
  6. Dello stesso autore
  7. Copyright