Parlare a vanvera
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Parlare a vanvera

  1. 126 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Parlare a vanvera

Informazioni su questo libro

"Parlare a vanvera", "scendere a patti", "fare orecchie da mercante", "piangere a dirotto" sono modi di dire che usiamo continuamente, quasi senza pensarci. Chi è curioso del perché può sempre consultare il dizionario, ma se alla curiosità si aggiunge una gran voglia di ridere… meglio leggere questi racconti in cui si azzardano le più stravaganti ipotesi sulle origini di dieci celebri "frasi fatte". Per giocare con le parole e trasformarle in storie. BIANCA PITZORNO, nata a Sassari, è considerata la più importante autrice italiana per l'infanzia e i suoi romanzi sono tradotti perfino in Giappone. Da sempre amatissima dai suoi giovani lettori, ha pubblicato più di quaranta libri di grande successo, tra cui ricordiamo Giulia Bau e i gatti gelosi, Clorofilla dal cielo blu, Ascolta il mio cuore, Diana, Cupìdo e il Commendatore, Polissena del Porcello.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
Print ISBN
9788804599135
eBook ISBN
9788852023828

PIANGERE A DIROTTO
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Era già notte quando la carrozza varcò il cancello del parco e si inoltrò lungo il viale che conduceva alla villa.
La piccola Malvina guardava fuori, col naso schiacciato contro il vetro del finestrino, ma non riusciva a vedere altro che le ombre nere degli alberi. Sentiva un nodo alla gola e aveva voglia di piangere; ma si tratteneva, perché lo aveva promesso alla mamma prima di salutarla, e poi perché temeva che Filiberto l’avrebbe presa in giro.
“Cosa c’è da frignare?” le avrebbe detto. “Non ci stanno mica portando nella tana dell’orco!”
Infatti stavano soltanto andando a passare l’estate nella grande casa di campagna del nonno.
Il fatto è che questo nonno, vecchio generale a riposo dell’esercito sardo piemontese, loro due non l’avevano mai visto prima, e neppure conoscevano la zia Carolina Margherita, sorella del loro papà, che viveva anche lei alla villa perché non si era mai sposata. Il padre dei due bambini lavorava nell’amministrazione del regno, e loro due quindi erano nati e cresciuti in Sardegna. Fino ad allora i genitori non li avevano mai portati in continente per paura del mare. Troppo spesso le navi a vapore incontravano tempeste spaventose passando per le terribili Bocche di Bonifacio e, a parte il rischio di un naufragio, la loro mamma era così delicata di stomaco!
Questa primavera però il dottore, vecchio amico di famiglia, era stato categorico.
— O lei, cara madama, si decide a fare la cura delle acque a Baden Baden, o io non garantisco dei suoi nervi per gli anni a venire.
Così, all’arrivo dell’estate erano partiti: i genitori per la Germania, e i due bambini per il Piemonte, dove appunto avrebbero finalmente conosciuto la famiglia paterna.
Arrivata davanti alla scalinata di marmo della villa, la carrozza si fermò e fu subito circondata da una mezza dozzina di domestici muniti di lanterne.
— Il generale e la signorina sono già andati a dormire da un pezzo — disse una graziosissima cameriera, che aveva un fazzoletto di pizzo bianco puntato sui capelli. — Li saluterete domattina. Anche voi sarete stanchi, poverini! Venite con me.
L’anziano maggiordomo in livrea prese in braccio Malvina come se fosse una bambina piccola (e invece aveva già sette anni); gli altri s’incaricarono dei bagagli, e in processione raggiunsero la stanza degli ospiti, dove c’erano due letti circondati da cortine di tulle bianco.
Dalla finestra aperta arrivava il gracidio delle rane, e grosse falene volavano in tondo attorno alla lampada a petrolio. Su un tavolo apparecchiato vicino alla finestra li aspettava una cena leggera, formata da latte tiepido, crema alla vaniglia, frutta e biscotti.
Malvina si sentì rincuorata, anche se era ancora offesa perché il nonno e la zia erano così poco impazienti di conoscerli da essersi coricati prima del loro arrivo.
La cameriera rimase con loro per aiutarli a spogliarsi e a togliersi di dosso la polvere del viaggio. Si chiamava Aurelia; era simpatica, affabile e molto chiacchierona.
In pochi minuti si fece raccontare tutto del viaggio e della loro vita precedente; poi li informò delle regole della casa e del carattere dei suoi abitanti.
— Il generale vostro nonno sembra burbero, ma è un cuore d’oro. Certo, è attaccato alle sue abitudini, e ci tiene alla disciplina. Ma è facile andarci d’accordo. Madama Carolina Margherita, invece, è un tipo strano. Non si sa mai da che parte prenderla. Ci sono dei giorni in cui è allegra, gentile, e tutto le va bene. Altri giorni invece si alza con la luna storta e se ne va in giro con un muso lungo così. Si fa venire le convulsioni per un granello di polvere o per una porta sbattuta; per un nonnulla piange come se le si spezzasse il cuore… Ha i nervi troppo delicati, povera signorina!
— Dovrebbe andare anche lei a fare la cura delle acque a Baden Baden come la nostra mamma — osservò Filiberto.
— Dicono che ci sia stata molti anni fa, ma senza ricavarne giovamento — rispose Aurelia. — Anzi, pare che proprio da allora, alle sue stranezze si siano aggiunte le terribili crisi di pianto.
— Non succederà lo stesso anche alla mamma? — chiese Malvina preoccupata.
— No, tesoro, sta’ tranquilla. Sono cose che succedono solo alle ragazze. La vostra mamma è sposata e non corre di questi rischi — disse Aurelia. — Adesso però basta con le chiacchiere: è tardissimo. I bagagli, li disferemo domani. Cercate di dormire. Verrò a portarvi l’acqua calda alle sei, perché in questa casa la colazione è alle sette in punto e il generale esige la massima puntualità. Buonanotte!
Quindi soffiò sul lume a petrolio e se ne andò.
I due fratelli erano così stanchi che si addormentarono immediatamente d’un sonno profondo e senza sogni, a parte la sensazione di essere ancora cullati dal rollio del vapore.
Albeggiava, quando furono svegliati da un leggero bussare alla porta.
— Avanti! — disse Filiberto, mettendosi a sedere sul letto, convinto che fosse Aurelia con le brocche dell’acqua calda per lavarsi.
Ma l’orologio sul ripiano del caminetto – sorretto da un cavallo d’oro che si impennava sotto una campana di vetro – lo informò che erano appena le cinque. Chi poteva essere, allora?
La porta si aprì e nella stanza entrò un vecchio dalla gran barba bianca, magro, secco e dritto come un fuso. Era vestito di tutto punto, con una divisa militare piena di cordoni dorati, stellette e spalline a frangia luccicanti.
— Tu sei il nostro nonno! — disse Malvina sbadigliando, ancora piena di sonno, con i capelli arruffati sugli occhi.
— E tu sei Malvina. Somigli come una goccia d’acqua a Carolina Margherita quando aveva la tua stessa età — disse il nonno con la voce intenerita. — È proprio di vostra zia che volevo parlarvi, bambini, prima che i domestici vi raccontino chissà quali sciocchezze.
I due fratelli si guardarono in silenzio, ripensando alle chiacchiere di Aurelia.
Il nonno continuò: — Speravo di poterlo fare con calma più tardi, ma devo partire immediatamente per Torino. Il re ha bisogno del mio consiglio per un affare urgente e ha mandato una carrozza a prendermi. Starò via qualche giorno. Perciò, almeno all’inizio, con vostra zia dovrete vedervela da soli, e la cosa mi preoccupa.
— È pazza furiosa? — si informò Malvina, messa in allarme da tanti preamboli.
Il nonno sospirò.
— No. Anzi è una ragazza virtuosa, sensata, intelligente, d’ottima educazione; una figlia devota e una perfetta padrona di casa. Solo, ogni tanto, soffre di tremendi attacchi di malinconia, di cui nessuno è mai riuscito a spiegare l’origine. Perciò vi raccomando: non meravigliatevi se improvvisamente, senza motivo, la vedete scoppiare in lacrime. Non è colpa vostra, e lei non ce l’ha con voi. Però è meglio che le giriate alla larga finché non le passa. Per qualsiasi altra necessità rivolgetevi ad Aurelia. Io cercherò di tornare prima possibile. Arrivederci.
Quando il nonno fu uscito, Filiberto guardò Malvina con aria decisa: — Eppure, se piange, una ragione ci deve essere. La gente sensata non piange senza motivo. Cercheremo di scoprirlo, d’accordo?
— D’accordo — promise Malvina.
L’incontro avvenne nel salottino dov’era apparecchiata la prima colazione. I due bambini si erano lavati, vestiti e pettinati con la massima cura, in modo da fare la migliore impressione possibile.
— Presto! — li incitava Aurelia. — La signorina vostra zia è già a tavola che vi aspetta.
Si presentarono, Filiberto battendo i tacchi e chinando la testa, Malvina con una piccola riverenza. La zia doveva essere in una delle sue giornate buone, perché li accolse tutta sorridente, si alzò per abbracciarli, si informò del viaggio e della salute dei genitori, commentò la loro somiglianza con questo e con quello dei parenti… Era vestita di grigio, e a occhio e croce doveva avere la stessa età della mamma, pensò Filiberto, solo che era più magra e aveva un paio di occhialetti rotondi in bilico sul naso. A sentirla chiacchierare così allegramente, fra un panino imburrato e una ciambella, era difficile credere a quanto avevano detto Aurelia e il nonno.
— Spero che passerete delle belle vacanze qui da noi. Sono così contenta che siate venuti a portarci un po’ di allegria… Una casa senza bambini è molto triste, sapete?
“Forse sarà per questo che piange” pensò Malvina, mentre la zia continuava, tutta infervorata: — Ditemi quello che vi piacerebbe fare. Volete invitare i ragazzi delle ville vicine? Volete montare a cavallo? Volete andare a fare il bagno nel fiume? Io non mi intendo di ragazzi, ma sono pronta a organizzare qualsiasi cosa per farvi divertire. Basta che domandiate.
Filiberto lanciò un’occhiata alla sorella che in quel momento nascondeva uno sbadiglio dietro la mano grassoccia.
— Tanto per cominciare, non potremmo dormire un po’ più a lungo al mattino? A casa nostra siamo abituati ad alzarci alle otto.
La zia sussultò, come se avesse preso una frustata in pieno viso. Poi si premette il tovagliolo sugli occhi facendo cadere gli occhiali nel vasetto del miele. Si alzò e abbandonò in gran fretta la stanza squassata dai singhiozzi.
Filiberto restò a bocca aperta, la mano che reggeva la tazza del cioccolato sospesa a mezz’aria.
— Non dovevi proporle di cambiare le regole della casa — lo sgridò Malvina. — Siamo appena arrivati e già critichiamo le loro abitudini. Bisogna andare a chiederle scusa.
La raggiunsero in giardino, dove singhiozzava ancora vicino al labirinto di bosso. Quando li vide arrivare, la zia si asciugò le lacrime e cercò di calmarsi.
— Scusatemi, cari bambini. I miei poveri nervi… Cercherò di stare più attenta d’ora in avanti. Ecco… È passato.
Si soffiò rumorosamente il naso.
— Su, andiamo a disfare i vostri bagagli! Poi faremo una bella passeggiata.
Nel grande baule, oltre agli abiti e agli oggetti da toeletta, Malvina si era portata dietro tutti i suoi tesori. Libri illustrati dalle pesanti rilegature, giocattoli, il cestino da ricamo, i quaderni di musica, l’occorrente per dipingere all’acquerello… La zia tirava fuori ogni cosa e, prima di riporla nell’armadio, le dedicava qualche parola di ammirazione. Malvina non aveva mai incontrato un adulto così interessato alle sue cose; e desiderava con tutto il cuore mostrare alla zia il suo affetto e la sua gratitudine. Finalmente, dopo una breve lotta interiore, prese il suo giocattolo più caro, l’amatissimo Teddy, e lo porse alla zia esclamando: — Ti regalo il mio orsacchiotto. Tieni! È tuo.
Ma la zia non lo prese. Indietreggiò inorridita, si coprì il volto con le mani e si accasciò sul letto piangendo e balbettando: — Questo è troppo! Questo è davvero troppo!
Malvina ci restò malissimo. Anche Filiberto era sconcertato. D’accordo, un giocattolo di peluche – e usato, per giunta – non è il regalo più adatto per una persona grande. Ma in un dono, come ripeteva sempre la mamma, quello che conta è il pensiero.
Che la zia fosse così permalosa da interpretare il gesto di Malvina come: “Sei rimbambita”? Oppure che avesse una tale paura degli orsi da provare orrore anche quando erano giocattoli di finta pelliccia?
A ogni modo Filiberto prese per mano la sorella e la trascinò fuori: — È meglio che per oggi giriamo alla larga — disse. — Il nonno aveva ragione. Non piangere anche tu, adesso. Non ne hai nessuna colpa se la zia ha i nervi troppo delicati.
Non la rividero per tutto il giorno, neppure a tavola. Aurelia li informò che la signorina si era chiusa in camera e si era stesa sul letto, al buio, con una pezzuola bagnata sulla fronte.
L’indomani si presentò nel salottino della prima colazione allegra e affettuosa come se non fosse successo niente.
Per quel giorno, tutto filò liscio. La zia li portò a fare una gita in calesse fino al boschetto di noccioli e al ritorno andarono a prendere le uova fresche alla fattoria.
I due nipoti chiacchierarono a tutto spiano e non ci fu mai un attimo in cui gli occhi della zia si riempissero di lacrime.
Passò la notte e arrivò un’altra giornata. La zia era sempre d’ottimo umore.
— Sono così felice che siate qui a farmi compagnia! — dicev...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Parlare a vanvera
  3. Parlare a vanvera
  4. Mangiare la foglia
  5. Filare all’inglese
  6. La stoffa del campione
  7. Orecchie da mercante
  8. I conti senza l’oste
  9. Piangere a dirotto
  10. Rompere gli indugi
  11. Inghiottire il rospo
  12. Scendere a patti
  13. Dello stesso autore
  14. Copyright