Sulle tracce del tesoro scomparso
eBook - ePub

Sulle tracce del tesoro scomparso

  1. 308 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Sulle tracce del tesoro scomparso

Informazioni su questo libro

Giulia e Olivia, due sorelle milanesi, accompagnano in Sardegna la nonna, un'energica americana chiamata a fotografare uno scavo archeologico in un paesino dell'interno. Ma il soggiorno si rivela movimentato: dal piccolo museo locale scompare un prezioso vaso preistorico e le due ragazze organizzano una caccia al ladro.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
Print ISBN
9788804445951
eBook ISBN
9788852023835

CACCIA AL LADRO

GIULIA DETECTIVE

L’indomani Margaret si alzò con una fortissima emicrania e prese una razione doppia di caffè con due aspirine.
— Ti verrà l’ulcera — osservò Giulia, che a forza di ascoltare le prediche ecologiche di Pietro era diventata sospettosa nei confronti delle medicine.
— Nessuno ha chiesto il tuo parere — rispose la nonna bruscamente. — Giuro che se stanotte quella dannata bestia è ancora sotto alla mia finestra, faccio i bagagli e me ne torno in America.
Costantina invece si era alzata all’alba come suo solito, vispa come un grillo. Era andata alla prima messa e ora si accingeva a mettere in salvo i suoi amati fichi.
Giulia trangugiò il latte senza nemmeno sedersi a tavola e scappò fuori. Gli amici l’aspettavano al bar di Peppiccu per concordare i turni di sorveglianza della giornata.
Olivia rimase nell’orto ad aiutare la sua vecchia amica. Riempirono sette cestini di fichi, scartando quelli troppo maturi, già spaccati e con la goccia di miele, che furono dati a Remedia perché ne facesse una marmellata per l’inverno. Gli altri furono portati sulla terrazza, dove c’era già una gran quantità di pomodori messi a seccare coperti di sale su alcuni graticci di canne poggiati al parapetto.
Remedia e Costantina avevano la dispensa piena di provviste preparate da loro, che a Olivia sembravano molto più appetitose di quelle che si comprano nei negozi. Però era meravigliata della fatica che occorreva per conservare anche una piccola quantità di cibo. “E a mangiarli, ci mettiamo solo un minuto” rifletteva perplessa. Le tornava alla mente, ora, che suo padre le aveva raccontato degli antichi greci, che non conoscevano lo zucchero, ma solo il miele, e quindi traevano gran parte delle calorie dai fichi secchi, tanto che qualcuno aveva pensato di imboscarli per farne salire il prezzo, e chi scopriva questi depositi clandestini e li denunciava alle autorità veniva chiamato “sicofante”, perché in greco fico si dice sikon e faino vuol dire “mostrare”, come nella parola Epifania, che non significa festa della Befana, ma la prima volta che Gesù Bambino si mostrò al pubblico, rappresentato dai re magi.
Olivia era abituata a far vagabondare i suoi pensieri da un argomento all’altro, e spesso a scuola le capitava di andare fuori tema. Ma era stato proprio il suo papà ad allenarla fin da piccola a questo tipo di ragionamenti in cui da una parola o da un fatto ne scaturivano altri diversi fra loro in una catena senza fine, dove non c’era una conclusione, ma solo un interrogarsi continuo.
— Non bisogna mai pensare di aver saziato la nostra curiosità — diceva il dottor Sisti. — Ogni risposta alle nostre domande deve far nascere delle nuove domande, se no finiamo per fossilizzarci come dei minerali.
Perciò, mentre disponeva con attenzione i fichi sui graticci, in modo che non si toccassero tra loro e il sole e l’aria potessero asciugarli in fretta, Olivia si ritrovò a pensare ai re magi. Quale dei tre aveva portato l’oro in dono al Bambino? E come lo aveva portato? In un cofanetto, come si vedeva nei presepi o in certe figure dei libri, oppure dentro a una pentola come quella de lu Siddaddu? L’immagine della pentola la riportò a un’altra storia. C’era un fumetto in cui un astuto coniglio ingannava Compare Orso e Comare Volpe raccontando che un’estremità dell’arcobaleno cadeva proprio sul punto in cui era sotterrata una pentola piena d’oro. E i due ogni volta ci cascavano come due allocchi e si lasciavano scappare la preda per inseguire il miraggio del tesoro inesistente. Proprio come aveva rischiato di fare lei, Olivia, trascorrendo tanto tempo lontano dalla sua amica Costantina, mentre il vero tesoro stava lì, nella memoria ancora lucida della vecchia, nelle sue parole che uscivano dalla bocca sdentata come sentenze di un oracolo stravagante.
Ora, sistemando i fichi, Costantina cantava a mezza voce certe antiche canzoni in dialetto, di cui Olivia non riusciva a capire una parola, ma che le facevano venire dei brividi lungo la schiena, come in chiesa quando suona l’organo e l’odore di incenso è così forte che ti viene un nodo alla gola e devi piangere, senza capire se sei felice o disperata.
Remedia intanto, con il viso stravolto dalla mancanza di sonno, aveva sciolto il cane e lo aveva riportato al proprietario. Sotto l’albero dove la nonna aveva sepolto il vaso con le monete di cioccolata, era rimasta solo la scala.
Margaret era andata dalla parrucchiera a farsi lavare la testa. “Forse un buon massaggio al cuoio capelluto mi farà sparire l’emicrania” aveva pensato, e due ore dopo, con le chiome acconciate in modo troppo elaborato per i suoi gusti, era andata in piazza a cercare i suoi due amichetti Madd e Max. Li aveva trovati al bar di Peppiccu, che giocavano a biglie sul marciapiede, offesi a morte perché i grandi non avevano voluto spiegare il mistero della loro eccitazione e perché Giulia, che stava distribuendo le parti in quella che era parsa loro una commedia, li aveva ignorati e non aveva affidato loro nessun personaggio da recitare.
— Eppure io so la poesia di Natale — disse Maddalena risentita. — La vuoi ascoltare?
— Un’altra volta — aveva detto Margaret. — Adesso state allegri. Venite, che ho buone notizie da comunicarvi.
I due bambini si avvicinarono coi volti speranzosi: — Quei gelati di ieri non ci hanno fatto nessun mal di pancia — la informò subito Massimiliano.
— Perciò anche oggi possiamo mangiarne quanti ne vogliamo — ribadì Maddalena.
Margaret rise: — Volete proprio farmi andare in rovina, voi due! Per fortuna che da domani sarete ricchi e i gelati li pagherete voi a me, almeno spero.
— Allora è vero? Lu Siddaddu è ritornato come ti aveva promesso?
— E ti ha fatto vedere dov’è il tesoro? Diccelo, dai! Diccelo subito che andiamo a prenderlo.
— Eh, no! L’incantesimo funziona solo se si scava a mezzanotte!
Sull’orario Margaret aveva avuto dei dubbi, chiedendosi se fosse il caso di ritoccare la leggenda a uso dei piccoli creduloni. Ma Osuni era un paese tranquillo. In quei due mesi aveva potuto constatarlo senza ombra di dubbio, e l’idea che al furto del vaso potesse essere connesso qualcosa di pericoloso non le sfiorava la mente. E poi Madd e Max abitavano entrambi vicino alla casa di Costantina, e il tratto di strada non illuminato era brevissimo. E per finire, lei sarebbe restata sveglia e li avrebbe controllati dalla finestra mentre scavavano ai piedi del fico, dove aveva avuto cura di non pressare troppo il terriccio, in modo da facilitare il loro compito. Per niente al mondo si sarebbe persa le loro facce alla scoperta della pentola piena di monete d’oro!
Così, fingendo un’aria misteriosa e una grande paura che qualcuno li potesse sentire, sussurrò all’orecchio dei due bambini il punto esatto dove dovevano scavare.
— In gran silenzio, eh! Senza scambiare una sola parola tra di voi altrimenti l’oro si tramuta in cenere.
Con le guance brucianti dall’emozione, Madd e Max le giurarono che non lo avrebbero raccontato a nessuno e che l’indomani, quando fossero stati ricchissimi, le avrebbero fatto un bel regalo.
— Anche un’automobile da corsa — disse serio Massimiliano.
— Anche un aereo — rincarò Maddalena — anche un missile spaziale.
Tutta soddisfatta Margaret se ne tornò a casa. Mangiò uno yogurt e un po’ di frutta e se ne andò a letto a recuperare il sonno perduto, non senza aver modificato alquanto la pettinatura con l’aiuto di qualche molletta e di una retina.
Luca quella mattina andò come al solito agli scavi. L’Antiquarium era chiuso, ma il lavoro al cantiere proseguiva sotto la guida di Giovanna. Il professor Serra era andato a Sassari a denunciare la scomparsa del vaso alla Sovrintendenza alle Antichità. Non aveva molte speranze di recuperarlo, perché con la stagione turistica ormai al culmine, dai porti e dagli aeroporti della Sardegna partivano ogni giorno migliaia e migliaia di turisti, e sarebbe stato impossibile controllare tutti i loro bagagli.
Giulia aveva stabilito il suo quartier generale nel cortile di Regina, approfittando del fatto che i genitori di quest’ultima erano andati a Nuoro per due giorni e la casa era a completa disposizione della figlia e dei suoi amici.
Nel cortile, sotto una tettoia di canne, c’era un vecchio tavolo da cucina che Giulia aveva trasformato nella scrivania del proprio ufficio investigativo, portandovi una sveglia, un quaderno e naturalmente una provvista di penne e matite. Sul quaderno aveva segnato i nomi di tutti i ragazzi e i turni con i quali dovevano avvicendarsi nella sorveglianza di Luca. Agivano in pattuglie di due, e ogni turno durava un’ora e mezzo, che Giulia controllava caricando volta per volta la suoneria della sveglia. Quando il tempo era scaduto, uno dei membri della pattuglia tornava di corsa nell’ufficio e indicava il luogo dove aveva lasciato il compagno alle costole di Luca, e dove quindi i due ragazzi della pattuglia fresca dovevano raggiungerlo per dargli il cambio. In questo modo Luca non veniva perso di vista neppure un istante.
Si erano organizzati per controllarlo anche durante le ore dei pasti, affidando quei due turni alla pattuglia formata da Regina e Vincenzo, perché essendo entrambi senza genitori (Vincenzo era orfano e abitava con uno zio che faceva il pastore ed era sempre in campagna) non erano tenuti a presentarsi a tavola a un’ora stabilita.
Le pattuglie che smontavano si presentavano davanti a Giulia e facevano il loro rapporto, raccontando tutte le cose strane, inusuali o collegate in qualche modo col furto, e Giulia le annotava sul quaderno per rifletterci sopra e confrontarle con quanto già sapeva.
Le sarebbe piaciuto muoversi anche lei per il paese, pedinare in prima persona il losco assistente della nonna, ma capiva che il lavoro di controllo doveva essere coordinato da qualcuno. E poi, forse che Perry Mason non se ne restava nel suo studio legale a bere drink e a scherzare con la sua segretaria Della Street, affidando le indagini sul campo all’amico investigatore Paul Drake? Non solo. Giulia andava pazza per un’altra coppia celebre di investigatori, protagonisti di tanti libri gialli. Lei, la titolare della Agenzia, si chiamava Bertha Cool, ed era una donna grassissima che non si muoveva mai dal suo microscopico ufficio dove stava incastrata dietro alla scrivania fumando sigari puzzolenti. Lasciava che a correre dietro ai sospetti e a farsi picchiare da loro fosse il suo giovane assistente di nome Donald Lam. E per finire, forse che Nero Wolfe per condurre le proprie felicissime indagini abbandonava mai la sua serra di orchidee o la sua tavola di buongustaio raffinato?
Con tutti questi celebri precedenti letterari, Giulia poteva ben permettersi di districare il bandolo della matassa restando seduta a bere gazzosa nel cortile di Regina.
Il primo rapporto della mattina non rivelò niente di speciale. Luca come al solito seguiva Giovanna per il cantiere e fotografava gli scavi.
Ma la seconda pattuglia riferì un particolare strano. Tra gli operai era scoppiata una lite a causa di una paletta di metallo, una vanga in miniatura che veniva usata da Matteo per rifinire le pareti delle trincee, che a un certo punto era scomparsa. Era un arnese vecchio e arrugginito che si sarebbe potuto sostituire facilmente, Matteo però ne faceva una questione di principio. Sosteneva di averlo poggiato sul bordo della trincea cinque minuti prima. Doveva per forza averglielo rubato Bastiano, che setacciava la terra di riporto là vicino.
Bastiano negava. A cosa avrebbe dovuto servirgli quel vecchio rottame? E comunque, non aveva la lingua in bocca per chiederlo in prestito?
— Eppure non puoi essere stato che tu — insisteva Matteo. — L’ho poggiato, ho girato la testa ed ecco che non c’era più.
Dalle accuse i due erano passati agli insulti. Gli altri operai erano intervenuti parteggiando chi per l’uno e chi per l’altro, e c’era voluta tutta la pazienza e la diplomazia di Giovanna per rimandarli al lavoro.
— Adesso non lasciamoci prendere dalla sindrome del furto — aveva detto metà contrariata e metà divertita. — Solo perché ci hanno rubato il vaso di Monte Claro, non è detto che dobbiamo vedere ladri dappertutto! Matteo, nel capanno degli attrezzi troverai tutte le palette che vuoi. Fatti dare la chiave da Nino, prendine una e smettila di mugugnare.
Un incidente banale, a prima vista. Quella paletta era un rottame e già da tempo avrebbe dovuto essere gettata via o lasciata in fondo a una trincea come segnale per i posteri. Ma… ma… chi si era trovato a passare vicino a Bastiano e a Matteo poco prima del diverbio? Luca, che era inciampato, aveva lasciato cadere la custodia della macchina fotografica e si era chinato per raccoglierla.
“Luca probabilmente si è impadronito della vecchia paletta di Matteo” scrisse Giulia sul quaderno. “L’oggetto non ha alcun valore. Poteva chiederlo in prestito. Perché non l’ha fatto? Forse L. è cleptomane? Forse tra il furto della paletta e il furto del vaso c’è qualche relazione?”
Poi fu la volta della pattuglia di cui faceva parte Veronica.
Chiacchierando con gli operai la ragazza era riuscita a scoprire che il giorno prima Luca aveva lasciato il cantiere, premendosi le mani sullo stomaco, verso le undici del mattino. Lo avevano confermato in tre o quattro. Non erano sicuri dell’ora esatta, ma certo era stato verso metà mattina, un bel po’ di tempo prima del pranzo.
“L’alibi di Luca si basa sul fatto che il maresciallo e il farmacista lo hanno visto abbandonare il cantiere uscendo dalla porta principale dell’Antiquarium subito dopo pranzo” scrisse Giulia sul suo quaderno. “Siamo certi di questa testimonianza perché avevano già pranzato ed erano al secondo caffè. E poi perché li ha raggiunti la nonna che aveva mangiato con noi alla solita ora e poi era uscita dicendo che doveva comprare qualcosa da Antioco. Gli operai sostengono invece che Luca ha smesso di lavorare verso le undici. Se è esatto (chiedere conferma a Gavino, che ha parlato del mattino, ma è stato vago sull’ora) nei movimenti di Luca c’è un buco di circa tre ore. Cosa ha fatto dalle undici alle due e mezzo? E dov’era? (Chiedere a zio Migheli se lo ha visto uscire dall’Antiquarium e a che ora.)”
Regina e Vincenzo riferirono che Luca aveva pra...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sulle tracce del tesoro scomparso
  3. Il viaggio
  4. Voci dal passato
  5. Tesori sottoterra
  6. Il furto
  7. Caccia al ladro
  8. Epilogo - Ritorno a Osuni
  9. Dello stesso autore
  10. Copyright