Principessa Laurentina
eBook - ePub

Principessa Laurentina

  1. 240 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Principessa Laurentina

Informazioni su questo libro

Il secondo matrimonio di sua madre ha costretto Barbara a trasferirsi a Milano. I suoi rapporti con la madre diventano sempre più difficili e il disastro è completo quando arriva una sorellina ossia una rivale, amata e coccolata. Ma una imprevista tragedia obbliga Barbara ad affrontare la realtà invece di subirla.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
Print ISBN
9788804619574
eBook ISBN
9788852024184

Parte quarta

Principessa Laurentina

Capitolo
primo

A Laurentina Barbara non ci pensava quasi mai.
Nel mese di marzo aveva ricevuto tre biglietti scritti da Liselotte nel suo italiano stentato. Tre biglietti molto formali, che le davano notizie della sorellina: si era definitivamente trasferita con la fräulein in casa delle zie, stava bene, cresceva, aveva messo quattro denti…
Barbara non aveva risposto. In casa delle principesse cugine lei non c’era mai stata e quindi non riusciva a immaginare la fräulein e la bambina nel loro nuovo ambiente.
Come segnalibro usava una copia di quella sua foto con in braccio Laurentina vestita di pizzi antichi. Non le aveva voluto dare l’onore di una cornice, però non se la sentiva neppure di gettarla via. Tutti quelli che la vedevano ammiravano Laurentina e dicevano: — Sembra una bambola.
Poi, la prima settimana di aprile, le arrivò un quarto biglietto della fräulein, questa volta da Monaco di Baviera.
Cara Barbara,
scrivo per informare te di essermi tornata in mio paese. Mi ho licenziata. Non potevo più di quelle due presuntuose vecchie sopportarne. Adesso Laurentina è rimasta davvero sola. Non dimenticare lei, prego. Millissimi baci.
Liselotte
La prima reazione di Barbara fu: “E io cosa c’entro se lei se ne è andata? Cosa ci posso fare?”
Le dava fastidio pensare alla bambina sola con le due anziane parenti. Lei così tenera, così rosea, così ridente quando tendeva le mani per essere presa in braccio, tutta un fremito come un nido di uccellini. E loro grigie e arcigne, lente nei movimenti, con le pettinature rigide di lacca, gli occhi grifagni come due vecchi gufi in cerca di preda.
Più che fastidio le dava pena, e proprio per questo non ci voleva pensare. Quel giorno le capitò, per una ricerca scolastica, di dover leggere la Bibbia. Andò a cascare proprio sul brano dove Caino, interrogato sulla scomparsa di Abele, risponde: «Sono io forse il custode di mio fratello?»
Le venne un tale malumore che dormì male tutta la notte e l’indomani per sfogarsi lo raccontò a Valentina. Ma invece di consolarla come si era aspettata l’amica rincarò la dose: — Non è possibile che tu sia così indifferente nei confronti di quella bambina! È tua sorella in fondo. Quelle saranno le zie, ma tu e Claudio siete i suoi parenti più stretti. Non puoi lavartene le mani in questo modo. Pensa se io me ne infischiassi così di Roberta!
Roberta era la sorella di Valentina. Aveva cinque anni ed era la cocca non solo della famiglia, ma di tutti gli amici della sorella maggiore. Le tre inseparabili a Dorgo se la portavano sempre dietro, fin da quando era piccolissima, strapazzandola, facendole da mamme e da maestre, ridendo per le scempiaggini che la bambina riusciva a dire per imitarle e, tutto sommato, lasciandosene tiranneggiare.
Valentina sbuffava e si lamentava continuamente che Roberta era una rompiscatole; ma se qualcuno gliela toccava, diventava una tigre. Barbara, nei tempi felici, gliela aveva invidiata.
Ma una cosa è vivere assieme a una sorella minore, altra cosa è averla lontano duecento chilometri.
— Cosa posso fare? — protestò. — Scriverle? Ha solo dieci mesi. E se anche le telefono non capisce niente. Chissà poi se ricorda la mia voce?…
— Potresti andare a trovarla, però.
— Rimettere piede a Milano? Valentina! Lo sai che non ci posso tornare.
— Questo lo dici tu. Non puoi? E perché non puoi? Non vuoi.
Messa con le spalle al muro Barbara preferì cambiare discorso. In realtà non c’era niente, se non i ricordi, che le impedisse di tornare a Milano. Il papà gliel’aveva proposto due o tre volte: — Non ti piacerebbe vedere i tuoi vecchi compagni di scuola? Salutare i tuoi insegnanti? Se vuoi, un sabato ti accompagno.
Lui non aveva detto: “Non credi che dovresti andare a trovare la tua sorellina?” Barbara non capiva che sentimenti avesse il padre nei confronti di Laurentina. La piccola non aveva alcun legame di sangue con lui, eppure era la sorella dei suoi figli. Era il segno tangibile che, mentre lui era rimasto solo, la sua ex moglie si era riformata una famiglia. Le poche volte che lui ne aveva parlato, lo aveva fatto in modo benevolo. Era persino andato a scovare nelle sue carte una vecchissima foto di Barbara a nove mesi che in effetti somigliava tantissimo a Laurentina. Ma forse era così ben disposto proprio perché la piccola era lontana, perché non interferiva in alcun modo nella sua vita.
Comunque, lei non aveva nessuna intenzione di andare a Milano. Né per trovare la sorella né per alcun altro motivo.
Ma la settimana dopo Valentina tornò alla carica.
— E tua sorella? Che intenzioni hai?
— Uffa! — disse Barbara. — Che intenzioni vuoi che abbia? Al suo compleanno, in giugno, le manderò un regalo.
— Ti ricordi com’era buffa quando è nata? — rise Valentina. Poi si accigliò. — E così, pensi di cavartela con un orsacchiotto?
— Potresti chiedere alle zie che una domenica te la portino ad Alaria. Potresti invitarle per un fine settimana. La camera degli ospiti ce l’avete — propose Vittoria.
— Ce lo vedi tu mio padre, con le sue idee politiche, a fare gli onori di casa a due ruderi che credono ancora nei titoli nobiliari? E poi non verrebbero, ne sono sicura — disse Barbara.
— E allora per te quella bambina è perduta per sempre?! — esclamò Valentina esasperata.
— Potrei telefonare per chiedere sue notizie… — azzardò Barbara. Possibile che le due amiche non capissero quanto le costava riallacciare quei vecchi legami?
— Ecco, brava! Comincia almeno a telefonare — disse Vittoria trascinandola verso una cabina.
— Ci vorranno un sacco di gettoni — disse Valentina. — Aspetta che li vado a comprare.
Rassegnata Barbara poggiò a terra la cartella – stavano tornando da scuola – e fece il numero di casa Laurenti. Rispose Selvaggia: — Pronto?
— Sono Barbara, Barbara Lulli. Chiamo da Alaria. Come sta, signora?
— Bene, Barbara. E tu come stai?
— Bene. Volevo… volevo avere notizie di Laurentina.
— Ah! Ci sta facendo disperare, quella bambina. Lo sai che la fräulein se n’è andata?
— Sì, lo so. Me lo ha scritto.
— Bella fannullona, quella tedesca! Non faceva che dire: “Questo non spetta a me. Io devo fare le pulizie solo nella camera della bambina. Io non devo servire a tavola” e cose del genere. Una vera infingarda! E cafona, anche! Lo sai che era stata pagata fino alla fine dell’anno? Pensa che ci ha restituito lo stipendio dal mese scorso a fine dicembre. Ce lo ha sbattuto in faccia prima di andarsene.
— Ma Laurentina come sta? — insistette Barbara.
— Ne ha sempre una. I denti, il mal di pancia, l’otite. Ci sono notti che non riusciamo a chiudere occhio.
— Mi dispiace…
— Adesso è raffreddata. Ha il naso chiuso, tossisce. La senti?
In effetti si sentiva in lontananza una tossetta secca. Barbara era imbarazzata.
— Mi dispiace — ripeté. — Spero che guarisca presto.
— Anch’io lo spero. Non mi ricordavo che un bambino piccolo potesse essere un tale impiastro.
— Be’, grazie delle notizie. Saluti sua sorella.
— Glielo dirò. Ciao, Barbara. Fatti sentire qualche volta. Arrivederci.
— Arrivederci.
Appese il microfono esausta, accaldata. Le due amiche avevano ascoltato tutta la conversazione stando con l’orecchio incollato alla sua testa. Che fatica! E che notizie deprimenti! Povera Laurentina! Quando c’era Liselotte era sempre stata sana come un pesce.
— È l’aria di Milano — sentenziò Vittoria. — I miei cugini da piccoli avevano sempre l’asma o la bronchite.
— Devi assolutamente andare a trovarla — disse Valentina. — E se muore perché quelle due non la curano bene?
Dall’espressione sgomenta dell’amica capì che non era stata una frase felice. Altro che parlare di corda in casa dell’impiccato! Vittoria cercò di correre ai ripari.
— Su, dai! Nessun bambino è mai morto di raffreddore. Non fare così, Barbara. Non piangere. Tu non ci puoi fare nulla.
— Sì, che ci può fare qualcosa — tornò a insistere Valentina — può andare a trovarla… domenica. Andremo anche noi. Vedrete che insieme ci lasciano.
Si era già informata degli orari dei treni. Ce n’era uno alle otto di mattina che arrivava a Milano alle undici. E da Milano potevano ripartire alle cinque e mezzo del pomeriggio per essere ad Alaria prima delle nove.
Non ebbero nessuna difficoltà a ottenere il permesso. Da sole forse non le avrebbero lasciate andare, ma insieme, come aveva calcolato Valentina, la cosa era differente. E poi Barbara conosceva la città. E poi i due cugini di Vittoria sarebbero andati a prenderle alla stazione e le avrebbero portate a pranzo a casa Intimari.
Dalle principesse cugine sarebbero andate nel pomeriggio, una visita breve per non disturbare. E avrebbero visto Laurentina. Valentina e Vittoria erano quasi più impazienti di Barbara di vedere la bambina, di controllare quanto fosse cresciuta, che progressi avesse fatto e se davvero era così malaticcia come sembrava.
Era la domenica delle Palme. Tra qualche giorno sarebbero cominciate le vacanze di Pasqua.
In treno le cose andarono lisce. Si erano portate un mucchio di riviste e di parole crociate. Poi giocarono a fare buffi anagrammi con i nomi e i cognomi di gente conosciuta e risero tanto che tutti i viaggiatori dello scompartimento le guardavano. Ci fu l’unico inconveniente di un signore, un tizio sui trent’anni, che voleva fare lo stupido. Faceva un sacco di domande, si immischiava in quello che dicevano tra loro, si offrì di fare da cicerone nella “città tentacolare”, come chiamava Milano. Ma Valentina rispose raccontando una tale quantità di bugie che alla fine anche lui si accorse di essere preso in giro e, offeso, se ne rimase zitto per tutto il resto del viaggio.
Quando il treno entrò nella Stazione Centrale di Milano Barbara sentì il cuore che le accelerava i battiti. Non le era mai piaciuta quella città. E dopo quasi due mesi di assenza le piaceva ancora meno.
I cugini di Vittoria, Orso e Lupo, due degni rappresentanti di quella tribù maschile che Valentina aveva battezzato “lo zoo”, le aspettavano puntuali in testa al binario. Presero la metropolitana.
Ora Vittoria e Valentina erano un po’ meno entusiaste e si stringevano ai due ragazzi in cerca di protezione. Che brutta gente c’era in giro, che facce! E l’altoparlante che continuava a gracchiare: “Attenzione ai borseggiatori!” A Barbara sembrava di essere tornata indietro di un anno, e le si stringeva il cuore dall’angoscia.
Finalmente arrivarono in casa Intimari, in un bel quartiere dai giardini alberati, dove non sembrava nemmeno di essere a Milano. Vittoria nello zainetto aveva portato un regalo della nonna per la nuora milanese. Ciò nonostante fu passata in rassegna dalla testa ai piedi.
Per il fatto ch’era l’unica femmina della tribù, ogni zia si sentiva in diritto di criticare la sua educazione, il suo abbigliamento, la sua pettinatura, le sue amicizie, i libri che leggeva… Con loro grande rabbia, almeno così pensava Vittoria, non potevano sgridarla per il rendimento scolastico, perché da quando era arrivata in Italia aveva sempre avuto la media dell’otto, mentre i suoi fratelli e cugini andavano avanti a fatica, sempre a ripetizione per recuperare in questa o in quella materia, spesso rimandati a settembre, qualche volta bocciati.
Anche Barbara e Valentina furono esaminate minuziosamente, ma su di loro la zia ebbe il buon gusto di non fare commenti.
— Certo non ci vorrebbe come mogli dei suoi amati rampolli — sussurrò Valentina all’amica, quando andarono in bagno a lavarsi le mani. — Non siamo abbastanza aristocratiche per la loro nobile stirpe.
Barbara sospirò. — Aspetta di conoscere le due principesse Laurenti!
Mangiarono cercando di stare più dritte che potevano, con i tre immaginari elenchi del telefono in equilibrio sulla testa e stretti sotto le ascelle. E, come succede sempre quando si vuol fare a tutti costi bella figura, Valentina si rovesciò sulla camicia bianca il sugo degli spaghetti alle vongole e Barbara fece cadere per due volte le posate. Orso e Lupo sghignazzavano in modo poco cavalleresco.
Vittoria invece fu irreprensibile. Non voleva dare alla zia la soddisfazione di riferire alla nonna che sua madre non sapeva educarla.
Per fortuna quando si alzarono da tavola erano quasi le due e le zie di Laurentina le aspettavano per le due e mezzo.
— Vi accompagno in macchina — propose il signor Intimari. — È dall’altro capo della città, ma a quest’ora c’è poco traffico! Che idea andare ad abitare al quartiere Lorenteggio!
“Che idea per delle principesse! Un quartiere così plebeo…” completò mentalmente la frase Vittoria, che conosceva i suoi polli.
Adesso che si avvicinava il momento di rivedere la sorellina, Barbara si sentiva a disagio. Se non fosse stata seduta nell’automobile del signor Intimari, con Vittoria e Valentina al fianco come due carabinieri, forse avrebbe ceduto all’impulso di tornare subito alla stazione e di salire sul primo treno diretto ad Alaria.

Capitolo
secondo

Aveva ragione lo zio di Vittoria. Era proprio un condominio popolare. Nelle scale e sul pianerottolo ristagnava uno sgradevole odore di cucina: cavoli, pesce, soffritto di cipolla… Anche l’ascensore ne era impregnato.
L’appartamento era al terzo piano, e stonava come un pugno in un occhio in quel tipo di edificio. Stanze buie, tetre, piene zeppe di grandi mobili di legno scolpito, scuri, con zampe di leone al posto dei piedi, che in origine dovevano aver arredato vaste stanze severe, dai soffitti alti e dalle finestre a vetri piombati.
— Stile Impero — sussurrò Vittoria che se ne intendeva. Qui però il soffitto era basso e nell’ingresso il grande lampadario quasi sfiorava la testa delle visitatrici.
Le pareti erano rivestite di tappezzeria damascata rosso cupo e i pavimenti ricoperti di tappeti polverosi su cui, pensò Valentina, che a casa sua era addetta all’aspirapolvere, quell’elettrodomestico non era passato chissà da quante settimane.
Le due signore erano tutte eleganti, pettinate con cura e piene di gioielli come due madonne di campagna. Barbara si ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Principessa Laurentina
  3. Prefazione
  4. Parte prima - L’esilio
  5. Parte seconda - Il diario di Barbara
  6. Parte terza - Ritorno ad Alaria
  7. Parte quarta - Principessa Laurentina
  8. Epilogo
  9. Copyright