Speciale Violante
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Speciale Violante

  1. 248 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Speciale Violante

Informazioni su questo libro

"Speciale Violante" è il titolo di una telenovela interpretata da un'attrice bambina, che viene trasmessa anche nel paesino di montagna dove tre amiche trascorrono da sempre le vacanze estive. Un giorno al bar del paese le ragazzine incontrano Violante in carne e ossa..

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
Print ISBN
9788804619659
eBook ISBN
9788852024177
Parte seconda

Scintilla Luz

Capitolo primo

Fra le tre amiche, Barbara era la più entusiasta per l’arrivo dei “telenovellari”, come li aveva battezzati con disprezzo la madre di Vittoria. Valentina la prendeva in giro.
— Proprio tu che non hai mai voluto guardare nemmeno una puntata di “Violante”! Ti sei pentita, adesso, eh?
— Neanche per sogno. La storia mi sembra sempre una grande scempiaggine. Però sono contenta di poter vedere da vicino come si fa una telenovela, come si realizza.
Molta gente in paese aveva la stessa curiosità. Ma il direttore della produzione non lasciava entrare nessun estraneo nel parco e nella villa dove avvenivano le riprese.
— Fortuna che c’è un muro intorno e un’unica entrata facile da controllare — aveva detto. — Non c’è niente di peggio che avere dei curiosi tra i piedi mentre si gira.
Barbara però era riuscita fin dai primi giorni ad aggirare questo divieto. Ormai non veniva più considerata una curiosa rompiscatole, ma una preziosa collaboratrice.
Era stato un colpo di fortuna, il secondo giorno delle riprese. Lei se ne stava a disegnare insieme alla signorina Lietta Pancaldi vicino all’abbeveratoio, quando era arrivato di corsa un tizio della troupe.
— Sapreste dirmi dove posso trovare un cavallo? — chiese affannato. — Pagando s’intende.
La signorina Pancaldi lo aveva guardato incerta. — Un cavallo? C’è un maneggio, giù ad Alaria. Può telefonare…
Il tizio aveva sventolato la mano, come per cancellare dall’aria quella risposta.
— Mi serve immediatamente. Se non glielo porto entro venti minuti, il regista mi ammazza.
— Ma qui a Dorgo non ci sono cavalli… — aveva cominciato Barbara, poi, improvvisamente, si era ricordata che da piccola qualche volta il papà la portava a montare il vecchio ronzino di due lontani parenti del nonno. — Va bene anche se è molto vecchio?
— Va bene tutto. Purché respiri — aveva risposto l’altro impaziente.
— Ci dovrebbe essere il cavallo dei Bruzzi, se è ancora vivo.
— Dove stanno questi Bruzzi?
Barbara cominciò a spiegare la strada. Era complicato, per uno che non fosse di Dorgo. Il giovanotto scalpitava impaziente.
— Senti, non potresti accompagnarmi tu, che facciamo prima?
Barbara non chiedeva altro. Mollò carta e colori sul bordo della vasca, e via di corsa per le strade ripide, seguita dal giovanotto che intanto imprecava contro il regista.
— Cosa gli è saltato in mente, di far arrivare il marinaio a cavallo? Non andava bene anche a piedi, come aveva deciso la settimana scorsa? Già, loro fanno in fretta a cambiare tutto all’ultimo momento. A scrivere sul copione non ci vuole niente. Ma poi chi deve trovare i cavalli, gli elefanti, le uova di balena sono io!
Il cavallo dei Bruzzi per fortuna era ancora vivo. Ma i due vecchi contadini non capivano perché quello sconosciuto pretendesse di portarselo via su due piedi, a fare cosa, poi… Davanti al mazzetto di banconote sventolato dal giovanotto sotto al loro naso, lo guardavano con aria diffidente e facevano di no con la testa. Il povero trovarobe era disperato.
— Convincili tu! — supplicò spingendo avanti Barbara.
— Non mi riconosce signor Bruzzi? Sono Barbara Lulli, la figlia di Alessio. La nipote di Giorgio Lulli…
I due vecchi sgranarono gli occhi, sorrisero con le bocche sdentate.
— Quella che sta ad Alaria… Quella che la mamma… — una mano sulla bocca a frenare il commento indiscreto — come sei cresciuta… — e stavano per attaccare con i soliti convenevoli, ma Barbara prese il cavallo per la fune: — Vorrei fare un giro come una volta. Lo porto via solo per un paio d’ore. Prima di sera siamo di nuovo qui — e si allontanò decisa tirandosi dietro l’animale.
— Sta’ attenta a non cadere! — raccomandò sollecita la contadina.
Questo fu l’inizio dell’amicizia tra Barbara e Carmine, il trovarobe. Il giovanotto era di una sfacciataggine senza limiti.
— Per forza — si giustificava — se no, non potrei fare questo lavoro. In città ci sono i negozi, i rigattieri. Ma quando giriamo nei paesi e all’ultimo momento serve, che ne so, un vaso da notte, una dentiera, dove vado a prenderli, se non riesco a farmeli dare dalla gente del posto? E di solito, non è che me lo dicono in anticipo, loro, quello che vogliono. No. È come una caccia al tesoro. Presentarsi entro un’ora al traguardo con una bandiera della Papuasia, un bullone di astronave e otto pecore parlanti.
“Loro” erano principalmente il regista e lo sceneggiatore, i quali, a sentire Carmine, avevano la pessima abitudine di passare le notti a riscrivere da capo a fondo il copione dell’indomani, solo per far dispetto a lui.
Ma ci si metteva anche lo scenografo, che all’ultimo momento cominciava a strepitare: — Alt! Alt! Quel mazzo di fiori davanti allo specchio è una schifezza. Avevo chiesto delle orchidee e delle camelie bianche. Chi è quell’imbecille che ha portato le margherite?
— E tu vagli a spiegare che le serre più vicine sono a cento chilometri, o che il produttore ti lascia spendere solo ventimila lire per i fiori…
E come se non bastasse, qualche volta ci si mettevano anche gli attori. Specialmente quella smorfiosa di Scintilla.
— Se non ho un frustino da sbattere sul tavolo, io quella scena non la faccio. Non se ne parla neanche! Me lo dici dove tengo le mani durante il litigio? In tasca? Hai mai visto uno litigare con le mani in tasca? Oppure me le taglio?
Barbara ascoltava divertita, e anche un po’ frastornata da tanta parlantina. Si rendeva conto che Carmine non le raccontava tutti quegli aneddoti a puro scopo informativo, ma per tirarla dalla sua parte, coinvolgerla nei suoi guai, impietosirla… e chiederle nuovi favori. Ma aiutarlo non le pesava, anzi. Era divertente. Proprio come una caccia al tesoro.
Dopo il cavallo fu la volta di un quadro. Doveva essere antico e rappresentare la Madonna, non importa in quale atteggiamento. Col bambino, ai piedi della croce, assunta in cielo su un tappeto di nuvole. Andava bene tutto. La zia Elvira aveva in camera una riproduzione della Madonna della seggiola di Raffaello, ma ne era gelosissima. Altrettanto la Carlina del suo falso Murillo. Finì che Barbara andò a disturbare don Pierino. Il trovarobe e il parroco fecero subito amicizia e una Madonna dei Sette Dolori, autentica del Settecento, fu staccata dal muro della sacrestia e prestata a Carmine con mille raccomandazioni.
Poi si trattò di attirare con del prosciutto una gatta randagia e metterla dentro un cesto con i suoi cinque gattini.
Dopo di che, constatata l’efficienza di Barbara, Carmine la promosse ufficialmente aiutante-trovarobe. Davanti alla proposta di estendere il titolo anche a Vittoria e Valentina, aveva risposto sdegnosamente: — Io ho bisogno di una persona di fiducia. Una dà affidamento. Tre fanno solo confusione.
Così, detentrice unica di quel titolo, Barbara fu ammessa, lei sola, oltre il muro del parco, ad assistere alle riprese.
Il primo giorno provò uno stringimento di cuore al vedere la villa oggetto di tante fantasticherie invasa da quell’orda di saltimbanchi. Un senso di profanazione, come se qualcosa di sacro fosse stato insultato e deriso.
La solitudine, la quiete ombrosa e umida del parco erano sparite. Dappertutto cavi elettrici, cavalletti, lampade fortissime legate ai rami dei cedri. Le stanze di servizio al piano terreno erano state trasformate in uffici, in depositi di attrezzi e di vestiario, in camerini da trucco. I bei mobili antichi erano stati spostati. Solo i quadri erano rimasti appesi al loro posto perché sul muro sarebbe rimasto il segno.
E dappertutto circolava gente agitata, frettolosa, che gridava, che gettava per terra la cenere delle sigarette, lasciava borse e maglioni buttati sulle sedie, e scarpe da tennis sudate negli angoli.
Quella sera Barbara tornò a casa di pessimo umore e si sfogò col nonno.
— Se fossi milionaria, lo comprerei io, il Palazzo della Luna, e non ci lascerei entrare nessuno!
Il nonno cercò di tranquillizzarla.
— Tuo padre e io abbiamo fatto l’inventario di ogni cosa. Non solo, abbiamo scattato quattro fotografie per ogni stanza. L’organizzatore si è impegnato a restituire la villa esattamente com’era prima.
Questo era meglio di niente. L’indomani Barbara tornò a varcare il portone di ferro con uno stato d’animo più bendisposto verso i telenovellari, e col passare dei giorni la sua curiosità, il suo interesse per quello che accadeva là dentro, le fecero quasi dimenticare, o almeno fare l’abitudine, allo scempio del parco e della villa.
Naturalmente non stava tutta la giornata là dentro. Solo un paio d’ore, fino a che il regista non avesse passato in rassegna tutti gli oggetti necessari alle riprese di quel giorno e si fosse dichiarato soddisfatto. Però, se voleva fermarsi per assistere alle riprese, nessuno la mandava via.
La prima cosa che la lasciò sbalordita fu il fatto che, in tutte le scene dove c’era Violante, gli altri attori recitavano in piedi su un panchetto, o, se dovevano andare su e giù, sopra una pedana lunga un paio di metri.
— Quella scimmia durante l’inverno non ha trovato di meglio che prendersi la scarlattina. È stata a letto per due mesi. Non ti dico che pace, per noialtri, senza le sue bizze da primadonna! Ci siamo arrangiati girando con gli altri attori tutte le scene in cui Violante non compariva, e così ci siamo portati avanti nel lavoro. Ma quando finalmente si è alzata, non era diventata più alta di un buon palmo? Guardala. Adesso sembra una ragazza di sedici anni, è alta quanto l’istitutrice. Ma nelle scene che abbiamo girato in autunno era ancora una bambina e le arrivava a metà spalla. Così dobbiamo usare questo trucco per completare le puntate già iniziate.
— Ma scusa, non si vede che gli altri stanno sul panchetto?
— No, perché non inquadrano mai i piedi.
— E non capiterà mai di dover girare una scena in cui si vedono da lontano, tutti interi?
— Per questa serie no. Hanno eliminato dal copione le scene in campo lungo. E per la prossima, ci penserà Ettore a inventare qualcosa per fare crescere l’orfanella.
Ettore era lo sceneggiatore. Un signore sulla quarantina, stempiato, con gli occhialetti tondi da intellettuale e la voce un po’ stridula, che girava sempre con un blocco da appunti su cui prendeva nota di ogni frase curiosa che gli capitava di sentire, di ogni nome strano, ogni battuta di spirito, ogni aneddoto.
«Non si sa mai. Può sempre venir buono per una nuova puntata» era la sua frase preferita. Girava sempre in coppia col regista, come il Gatto e la Volpe di Pinocchio. Se si allontanava per soli cinque minuti, l’altro si metteva in agitazione. — Tu devi essere sempre qui, quando giriamo. E se per caso ho bisogno di fare un taglio, di cambiare qualcosa, e tu non ci sei?
Ettore era bravissimo a inventare qualsiasi cosa su due piedi. Un attore si presentava sul set con un orzaiolo spuntato durante la notte? E lui subito ci costruiva attorno un episodio, un duello, una tempesta di vento con vortici di sabbia accecante, lo scoppio di un fuoco artificiale, in modo che il pubblico non si meravigliasse di vedere il personaggio in quelle condizioni.
Ogni tanto lo sceneggiatore si divertiva a punzecchiare Scintilla. — Guarda che se non ti comporti bene, ti faccio rapire di nuovo dagli zingari. Guarda che faccio rinchiudere Violante in una prigione per nove anni, e quando uscirà non sarà più una ragazzina, così dovremo sostituirti con un’altra attrice.
Scintilla gli rispondeva con due sberleffi. Sapeva benissimo di essere la stella del programma, e che i telespettatori volevano vedere lei, non un’altra. Nel suo contratto c’era scritto che non poteva intervenire sulla trama, né lei né il suo agente e che avrebbe dovuto fare tutto quello che le diceva il regista. Ma se nella sua parte c’era qualcosa che non le piaceva, si impuntava, pretendeva che la cambiassero, faceva un sacco di storie minacciando di andarsene, penale o non penale, di piantare il lavoro a metà lasciandoli nei pasticci. E di solito finiva per averla vinta.
Vista da vicino Scintilla era graziosa, ma non così bella come appariva sullo schermo. I capelli, quelli sì, erano davvero straordinari: lunghi fino alla vita, folti, ondulati, di un biondo color miele che sembrava emanare una luce interna. Ma il viso, quella pelle liscia e tesa che sullo schermo sembrava una albicocca dorata, sotto al cerone era cosparso di lentiggini fitte fitte, e i famosi occhi blu, senza trucco e senza ciglia finte, erano soltanto celesti. Il corpo poi era gracile, infantile, nonostante l’altezza.
“È più piatta di me e di Valentina” pensa...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Speciale Violante
  4. Prefazione
  5. Parte prima. Le tre inseparabili
  6. Parte seconda. Scintilla Luz
  7. Parte terza. L’orfana di Merignac
  8. Copyright