Gli elefanti hanno buona memoria
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Gli elefanti hanno buona memoria

  1. 196 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Gli elefanti hanno buona memoria

Informazioni su questo libro

Il caso è stato risolto e archiviato molti anni fa: duplice suicidio. Quando però Celia Ravenscroft decide di sposarsi, l'inquietante interrogativo sulla sorte dei suoi genitori, trovati morti su una scogliera nei pressi della loro villa in Cornovaglia, torna d'attualità, e l'inchiesta si riapre. È ancora valida la tesi del suicidio? Oppure è stata la madre a uccidere il padre, o viceversa? Ariadne Oliver, amica della defunta mamma della sposa e celebre scrittrice di gialli, si sente in dovere di intervenire. L'intraprendente signora prova a ricostruire i fatti interrogando tutti i vecchi testimoni, che si rivelano persone dotate di una memoria da elefante... Anche questa volta, però, per risolvere l'intricato puzzle, si renderà necessaria la genialità di Hercule Poirot.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
eBook ISBN
9788852041600
1

Una riunione letteraria

La signora Oliver si guardò allo specchio, poi lanciò un’occhiata all’orologio che stava sulla mensola del caminetto. Aveva l’impressione che fosse indietro di una ventina di minuti. Riprese a studiarsi la pettinatura. Il suo guaio era, e lei lo ammetteva, che cambiava pettinatura troppo spesso. Le aveva provate quasi tutte: capelli severamente raccolti sulla nuca, poi una pettinatura disinvolta, che le lasciava scoperta la fronte e le dava una cert’aria intellettuale, o almeno lei lo sperava, poi riccioli stretti e, infine, una specie di disordine artistico. Quel giorno però la pettinatura aveva ben poca importanza, dal momento che la signora Oliver aveva preso una decisione piuttosto inconsueta: quella di mettersi il cappello.
Sul ripiano più alto dell’armadio ce n’erano quattro. Uno era senz’altro riservato ai matrimoni. Quando si è invitati a un matrimonio, il cappello è d’obbligo. Ma, comunque, per le cerimonie la signora Oliver ne aveva anche un altro. Il primo, che stava nella sua bella scatola rotonda ed era di piume, aderiva alla testa alla perfezione e se, uscendo dall’auto per entrare in chiesa o, come oggigiorno capita sempre più spesso, in municipio, si era sorpresi da un acquazzone, il cappello era in grado di resistere onorevolmente.
Il secondo cappello, più elaborato, era adatto per un matrimonio estivo. Di chiffon guarnito di fiori, aveva una veletta gialla che pendeva da grappoli di mimosa.
Gli altri due cappelli erano decisamente sportivi. La signora Oliver definiva il primo “cappello da campagna”. Era di feltro scuro e si intonava con gli abiti di tweed. Aveva una piccola visiera che poteva essere abbassata o rialzata a piacere.
La signora Oliver possedeva un pullover di cachemire per i giorni freddi e uno più leggero per le belle giornate. Il cappello di feltro si adattava a tutti e due i pullover. Se però i pullover li usava spesso, il cappello non lo portava quasi mai. In fondo che bisogno c’era di metterselo, per andare magari a pranzo in campagna con gli amici?
Il quarto cappello era il più costoso e aveva parecchi vantaggi, forse appunto perché era il più caro di tutti. Si trattava di una specie di turbante di vari strati di velluto in colori contrastanti e sfumature pastello, che andavano praticamente d’accordo con tutto.
La signora Oliver rimase un attimo pensierosa, poi si decise a chiamare aiuto.
«Maria!» gridò. Poi, più forte: «Maria, vieni un momento».
Maria arrivò. Capitava abbastanza spesso che la signora Oliver le chiedesse qualche consiglio, in fatto di abbigliamento.
«Vi volete mettere il vostro bel cappello, vero?» domandò Maria.
«Sì» rispose la signora Oliver. «Dimmi se ti piace di più così o dall’altra parte.»
Maria fece un passo indietro e osservò:
«Be’, adesso ve lo siete messo al contrario, no?»
«Sì, lo so» disse la signora Oliver. «Lo so benissimo. Ma pensavo che potesse star meglio così.»
«E perché mai?» chiese Maria.
«Credo che si possa portare indifferentemente nei due modi» insistette la signora Oliver. «O almeno così mi era parso di capire, quando l’ho comprato.»
«Ma perché pensate che stia meglio, messo al contrario?»
«Perché da questa parte c’è il marrone e l’azzurro, e mi pare che questi colori mi stiano meglio del rosso e del verde che stanno dalla parte opposta.»
A questo punto la signora Oliver si tolse il cappello, se lo rimise di nuovo e lo provò in tutti i modi possibili. Messo di fianco, non piaceva assolutamente né a lei né a Maria.
«Così non potete mettervelo: vi sta male al viso. Starebbe male a chiunque.»
«No, così non va bene. Sarà meglio che lo metta dalla parte giusta.»
«Sì, almeno non correte il rischio di sbagliare.»
La signora Oliver si tolse il cappello. Maria l’aiutò a infilarsi un abito beige di ottimo taglio, poi le diede una mano anche a sistemarsi il famigerato cappello.
«Siete proprio elegante.»
Ecco perché alla signora Oliver piaceva Maria: era sempre pronta a fare un complimento, se ne aveva l’occasione.
«Farete un discorso a quel pranzo, vero?» le domandò Maria.
«Un discorso!» La signora Oliver pareva terrorizzata. «No, nessun discorso. Lo sai che non ne faccio mai.»
«Be’, pensavo che fosse necessario, a un pranzo del genere. È a una riunione letteraria che andate, vero? Saranno presenti gli scrittori e le scrittrici più quotati del 1972.»
«Non c’è bisogno che faccia un discorso» dichiarò la signora Oliver. «Ci sono altri più qualificati di me, a cui piace parlare.»
«Sono sicura che ne fareste uno bellissimo, se solo ne aveste voglia» disse Maria, assumendo per l’occasione il ruolo di tentatrice.
«No, non è vero» ribatté la signora Oliver. «Conosco perfettamente i miei limiti. Non so fare discorsi. Sarei preoccupata e nervosa, e probabilmente mi metterei a balbettare, oppure ripeterei due volte la stessa cosa. Non soltanto mi sentirei stupida, ma farei anche la figura della stupida. Con le parole non è difficile cavarsela quando si tratta di scrivere. Posso fare di tutto con le parole, ma non un discorso.»
«Be’, spero che vada tutto bene. Anzi, ne sono certa. Sarà un gran pranzo, eh?»
«Sì, un gran pranzo» ripeté la signora Oliver, con aria depressa.
“E perché mai ci vado?” pensò. Si mise a riflettere, perché aveva la mania di chiedersi il perché delle cose, invece di farle prima e poi porsi delle domande.
«Probabilmente» disse a se stessa, perché Maria si era affrettata a scendere in cucina, dalla quale proveniva un forte odore di marmellata «sono curiosa di sapere come sono questi pranzi. Mi invitano sempre e non ci vado mai.»
La signora Oliver era arrivata all’ultima portata del pranzo. Tirò un gran sospiro, mentre cincischiava con gli ultimi pezzetti della meringa che aveva sul piatto. Andava matta per le meringhe. Il pranzo era stato eccellente, e per dolce non avrebbe potuto esserci niente di meglio. Però, quando si ha una certa età, con le meringhe bisogna andarci piano. Per via dei denti. Possono essere perfetti, e hanno il vantaggio di non far male, sono bianchissimi e belli da vedere, proprio come quelli veri. Ma il guaio è che veri non sono. E la signora Oliver aveva l’impressione che i denti finti non fossero fatti di un materiale molto buono. I cani, per quanto ne sapeva lei, hanno denti di puro avorio, ma quelli degli esseri umani sono fatti d’osso. Se sono finti, di plastica. Comunque bisognava stare attenti a non sporcarli. L’insalata costituiva un pericolo, come pure le mandorle salate, i cioccolatini con dentro qualcosa di duro, le caramelle molli e le meringhe. Con un sospiro di soddisfazione ingoiò l’ultimo boccone. Era stato un pranzo davvero eccellente.
La signora Oliver ci teneva alle gioie semplici, come appunto quelle della buona tavola. Aveva gustato il pranzo e anche la compagnia. La serata era in onore delle scrittrici famose, ma per fortuna non erano intervenute soltanto le donne. C’erano anche scrittori, critici letterari e altra gente, che i libri si limitava a leggerli. La signora Oliver era seduta fra due affascinanti membri dell’altro sesso. Da una parte aveva Edwin Aubyn, che scriveva magnifiche poesie e aveva una spiccata personalità. Un uomo di grande esperienza, grazie anche ai suoi numerosi viaggi all’estero. Anche lui aveva un debole per i ristoranti e la buona cucina, argomenti di cui avevano chiacchierato piacevolmente, lasciando da parte la letteratura.
Anche Sir Wesley Kent, che sedeva dall’altra parte, era stato un commensale piacevolissimo. Aveva detto delle cose molto carine a proposito dei suoi libri, senza metterla in imbarazzo, cosa che la gente riusciva a fare spesso, se pur involontariamente. Le aveva spiegato un paio di motivi per cui gli piacevano i suoi romanzi, ed erano i motivi giusti, perciò la signora Oliver lo aveva trovato subito simpatico. Le lodi di un uomo tornano sempre gradite. Erano le donne a darle fastidio. Le cose che le scrivevano! Però certe volte ci si mettevano anche gli esponenti del sesso maschile. Qualche volta le scrivevano da paesi lontani. Non più di una settimana prima aveva ricevuto una lettera curiosa, che cominciava con queste parole: «Avendo letto il vostro romanzo, sono sicuro che siete una donna di nobilissimi sentimenti». Per l’esattezza il romanzo in questione era The Second Goldfish e quella specie di esaltazione da parte del lettore era, secondo la signora Oliver, davvero ingiustificata. Lei non era tipo da darsi delle arie. E perché avrebbe dovuto? I gialli che scriveva erano discreti. Alcuni buoni, altri un po’ meno. Ma non era il caso di considerarla nobile per questo. Era piuttosto una donna fortunata, che aveva trovato il sistema di scrivere cose che al pubblico piaceva leggere. Sì, la sua era proprio una gran fortuna.
Tutto sommato, al pranzo se l’era cavata piuttosto bene. Si era divertita, aveva chiacchierato con gente simpatica. Adesso tutti si sarebbero trasferiti nel salotto, dove avrebbero servito il caffè. Così ognuno avrebbe avuto la possibilità di scambiare due chiacchiere con altra gente. Questo era il momento più pericoloso e la signora Oliver se ne rendeva conto perfettamente. Ora le altre donne sarebbero venute ad aggredirla, con le loro lodi eccessive. E lei non sarebbe stata in grado di dare le risposte giuste, perché in realtà di risposte giuste non ne esistevano. Era come leggere una guida turistica per l’estero, dove sono annotate le solite frasi convenzionali in lingua straniera.
Approccio: “Non potete immaginare quanto mi piacciano i vostri romanzi e quanto li legga volentieri”.
Risposta imbarazzata dell’autrice: “Siete molto gentile”.
“Da mesi aspetto con ansia di fare la vostra conoscenza. Ne sono veramente felice.”
“Oh, voi mi lusingate!”
E si continuava più o meno sullo stesso tono. Pareva che non si potesse parlare di altri argomenti. Esistevano soltanto i libri che avevi scritto tu, oppure che aveva scritto l’altra, se anche lei era una scrittrice e ammesso che avessi letto i suoi romanzi. Una volta entrati nella ragnatela della letteratura, era quasi impossibile districarsene. Qualcuno era capace di farlo, ma la signora Oliver si rendeva amaramente conto di non esserne in grado. Una volta una sua amica straniera l’aveva sottoposta a una specie di provino.
«Ti ho ascoltato» le aveva detto Albertina. «Ho sentito quel che dicevi al giornalista che ti ha intervistato. Ti manca l’orgoglio, quella giusta dose di orgoglio che dovresti avere per i tuoi libri. Dovresti ammettere che sai scrivere, dire che nessuno sa scrivere gialli come te.»
«Ma non è vero» aveva protestato la signora Oliver. «Non sono tanto male, ma...»
«Non devi dire queste cose, anche se le pensi. Devi dichiarare che sei bravissima.»
«Vorrei che potessi ricevere tu i giornalisti al posto mio, Albertina. Saresti bravissima. Non potresti farti passare per me almeno una volta? Io rimarrei ad ascoltarti dietro la porta.»
«Sarebbe divertente, ma si accorgerebbero che non sono io la scrittrice. La tua faccia ormai la conoscono. Però devi ricordarti di dire che sei la migliore. Lo devi ripetere a tutti. Così, quando lo sapranno, lo diranno a loro volta. È terribile sentirti parlare come se ti scusassi per quello che sei. È sbagliatissimo.»
Comunque, stavolta, tanto male forse non sarebbe andata. Quando si fosse alzata da tavola, si sarebbe trovata ad affrontare qualche donna ansiosa di parlarle. Tutto qui. Già se ne vedeva ronzare intorno un paio. Non aveva molta importanza. Avrebbe sorriso, si sarebbe sforzata di essere gentile e avrebbe detto: “Sono lieta di fare la vostra conoscenza”, e altre banalità del genere. Era come pescare a caso in un libro di buone maniere. E poi fra non molto avrebbe potuto andarsene.
La signora Oliver si guardò intorno. Oltre a eventuali ammiratrici, avrebbe potuto trovare anche qualche amica. Ed effettivamente un po’ più in là c’era Maurine Grant, un tipo divertente.
Era arrivato il terribile momento di alzarsi. Tutti sciamarono verso le poltrone, i divani e i tavolini. L’incidente poteva capitare da un momento all’altro, sotto le spoglie di qualcuno che si ricordava di lei, ma che a lei pareva di non aver mai conosciuto, oppure di qualche tizio con cui non avrebbe voluto parlare, se avesse potuto. In quell’occasione si verificò la prima ipotesi. Le andò incontro una cicciona, un donnone che doveva essere autoritario anche per temperamento, oltre che per aspetto. O conosceva già la signora Oliver, oppure aveva tutta l’intenzione di porvi subito rimedio. Si trattava del secondo caso.
«Oh, signora O...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. 1. Una riunione letteraria
  5. 2. Il discorso cade sugli elefanti
  6. 3. Una segretaria imperfetta
  7. 4. Celia
  8. 5. I vecchi peccati hanno le ombre lunghe
  9. 6. Una vecchia amica ricorda
  10. 7. Ritorno all’infanzia
  11. 8. La signora Oliver al lavoro
  12. 9. Risultati della caccia all’elefante
  13. 10. Desmond
  14. 11. Scambio di vedute tra il sovrintendente Garroway e Poirot
  15. 12. Celia fa la conoscenza di Hercule Poirot
  16. 13. La signora Burton-Cox
  17. 14. Il dottor Willoughby
  18. 15. Eugene and Rosentelle, parrucchieri
  19. 16. Il signor Goby a rapporto
  20. 17. Poirot si prepara per la partenza
  21. 18. Intervallo
  22. 19. Maddy e Zélie
  23. 20. Commissione d’inchiesta