Ash McIntyre era in piedi sul vialetto di cemento di Bryant Park, con le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni sportivi, e respirava l’aria primaverile, ancora pungente per gli ultimi strascichi dell’inverno. C’era gente seduta sulle panchine e intorno ai tavolini a bere caffè, a lavorare al computer o ad ascoltare musica con l’iPod.
Era una giornata meravigliosa, anche se Ash non era il tipo da passeggiate nel parco, tantomeno in orario di lavoro, quando di solito era chiuso in ufficio a parlare al telefono, a scrivere mail o a organizzare qualche trasferta. Non amava particolarmente stare in mezzo alla natura, ma quel giorno si sentiva irrequieto e aveva mille pensieri per la testa, e così si era ritrovato lì quasi senza accorgersene.
Mancavano pochi giorni al matrimonio tra Mia e Gabe, e il suo socio era impegnatissimo nei preparativi per regalare alla fidanzata una cerimonia da sogno. Jace, l’altro socio nonché grande amico, era fidanzatissimo con Bethany… E questo, in pratica, significava che tutti e due i suoi migliori amici erano in altre faccende affaccendati.
Quando non lavoravano erano con le loro donne, per cui Ash ormai li vedeva praticamente solo in ufficio o nelle occasioni in cui uscivano tutti insieme. Erano sempre molto uniti, e Gabe e Jace facevano di tutto per mantenere solido il legame reciproco, coinvolgendo Ash nella loro nuova esistenza, ma non era più come prima, e se per i suoi amici ciò era un bene, Ash non aveva ancora metabolizzato la rapidità con cui le loro vite erano radicalmente cambiate nel giro di pochi mesi.
Era una sensazione strana, anche se in realtà lui era sempre lo stesso. Era contento per i suoi amici, ovvio – loro erano felici e quindi era felice anche lui –, però per la prima volta dall’inizio del sodalizio si sentiva tagliato fuori.
I suoi amici avrebbero negato con decisione. Loro erano la sua famiglia, molto più di quei fuori di testa dei suoi parenti, che Ash faceva di tutto per evitare. Gabe, Mia, Jace e Bethany – soprattutto Gabe e Jace – non avrebbero mai ammesso che adesso Ash fosse escluso. Erano fratelli per tutto ciò che contava ed erano uniti da un legame indissolubile, più profondo di quello di sangue. Qualcosa però era cambiato e in effetti lui era finito davvero ai margini: era sempre parte di loro ma in modo diverso, e forse meno di prima.
Per anni il loro motto era stato “Gioca duro e vivi libero”, ma l’essere impegnato in una relazione poteva cambiare profondamente un uomo, modificare le sue priorità, Ash se ne rendeva conto. Avrebbe disprezzato Gabe e Jace se non avessero considerato le loro donne una priorità, e tuttavia si sentiva escluso, come se fosse il terzo incomodo, e non era una bella sensazione.
Le cose erano ulteriormente complicate dal fatto che, prima dell’arrivo di Bethany, Ash e Jace condividevano la maggior parte delle loro avventure e di solito finivano per scopare insieme la stessa donna. Non sapere come comportarsi al di fuori di un rapporto a tre gli sembrava un’idiozia, eppure era così.
Era teso e irrequieto, in cerca di qualcosa che non avrebbe saputo definire. Non è che invidiasse Gabe e Jace… O forse li invidiava, e non voleva ammetterlo. Si rendeva conto di non essere più lui, e questo non gli piaceva.
Di solito era concentrato sull’obiettivo: sapeva sempre ciò che voleva e aveva il potere e i mezzi per ottenerlo. Le donne disposte a dargli ciò che desiderava o di cui aveva bisogno non mancavano, ma il problema era che in quel momento lui stesso non sapeva quali fossero i suoi desideri e le sue necessità.
Si guardò intorno, osservando le mamme e le tate che spingevano i passeggini, e provò un brivido quando cercò di immaginare se stesso alle prese con dei bambini. Ormai aveva trentotto anni, quasi trentanove, un’età in cui la maggior parte degli uomini si è sistemata e ha avuto figli; lui invece aveva trascorso i suoi vent’anni e buona parte dei trenta a lavorare sodo insieme ai soci per dare vita a un’impresa di successo, senza usare i soldi dei suoi familiari, i loro contatti e soprattutto il loro aiuto.
Forse era per questo che adesso lo odiavano tanto: li aveva liquidati sprezzantemente e in pratica li aveva mandati al diavolo, ma il suo peccato più grave era stato quello di aver avuto ancora più successo senza di loro. Aveva più soldi e più potere di quanti ne avesse mai avuti suo nonno. D’altra parte, cos’aveva fatto il resto della famiglia se non vivere alle spalle del vecchio? Il nonno aveva venduto la sua fiorente attività quando Ash era bambino, e nessuno della famiglia aveva mai avuto bisogno di lavorare.
Scosse la testa. Erano solo maledette sanguisughe. Non aveva bisogno di loro e di sicuro non li voleva tra i piedi. Adesso che li aveva superati tutti – compreso il nonno – non era certo disposto ad accoglierli nella sua vita e lasciare che approfittassero del suo successo.
Fece per andarsene, perché aveva di meglio da fare che starsene in un maledetto parco continuando a torturarsi, come se avesse bisogno di uno strizzacervelli. Adesso doveva fare mente locale e concentrarsi sull’unica cosa rimasta uguale a prima: il lavoro. La HCM Global Resorts aveva progetti a diversi stadi di avanzamento. Avevano chiuso l’accordo per l’hotel di Parigi, pur avendo dovuto trovare in fretta un’alternativa quando alcuni investitori avevano fatto marcia indietro. Tutto procedeva bene, e non era certo il momento di tirare i remi in barca, tanto più che Gabe e Jace non potevano più dedicare agli affari tutto il tempo di prima. Ash era l’unico a non essere distratto dalla propria vita privata, per cui toccava a lui assumersi parte del fardello dei suoi amici, in modo che loro potessero godersi un po’ la vita fuori dall’ufficio.
Si era appena incamminato nella direzione da cui era venuto quando vide una giovane donna seduta da sola a uno dei tavoli ai margini della zona più trafficata. Si fermò e si mise a osservarla: la brezza le scompigliava i lunghi capelli biondi, scoprendo un viso di eccezionale bellezza, con occhi straordinari che lui riusciva a distinguere anche a distanza.
Indossava una stravagante gonna lunga che, quando il vento la sollevava, rivelava il profilo di una gamba affusolata. Ai piedi portava infradito appariscenti, e Ash riuscì a cogliere lo smalto rosa sulle unghie e il riflesso di un anello quando lei spostò il piede. Una cavigliera d’argento luccicava al sole e metteva ancora più in risalto la bellezza della gamba.
La sconosciuta era intenta a disegnare, con la fronte aggrottata per la concentrazione mentre la matita correva lungo il foglio. Al suo fianco c’era una grossa borsa da cui sporgevano fogli di carta arrotolati.
Ciò che attirò di più l’attenzione di Ash fu però il girocollo della donna. Pensò subito che non c’entrasse nulla con lei: le stringeva il collo sottolineando la gola delicata, ma non le si addiceva affatto.
Era tempestato di diamanti, aveva un’aria costosa e con ogni probabilità non era bigiotteria, ma su di lei era pacchiano, in stridente contrasto con il suo aspetto: una nota stonata. Stuzzicò la curiosità di Ash perché un gioiello del genere su una donna aveva un significato molto preciso, e lui era curioso di sapere se fosse davvero un collare o un semplice monile che lei si era scelta da sola. Se era davvero un collare, l’uomo che gliel’aveva regalato non aveva capito niente: forse non la conosceva bene oppure non gli interessava che un dettaglio così importante fosse adatto alla donna che
considerava sua.
Se Ash era stato in grado di formulare un giudizio del genere dopo averla osservata per pochi secondi, com’era possibile che l’uomo che faceva l’amore con lei non se ne fosse accorto? Forse quel collare rispecchiava la personalità del suo dominatore, che magari era un idiota arrogante. Un collare avrebbe dovuto simboleggiare la cura per la propria sottomessa, il legame nei suoi confronti, e avrebbe dovuto essere in totale sintonia con la donna che lo indossava.
Ash stava cominciando a fare troppe supposizioni. Magari era una normalissima collana che la donna stessa si era scelta. Per un uomo come Ash, però, un gioiello del genere significava molto di più.
Non sapeva da quanto tempo la stesse osservando ma a un certo punto, come se avesse percepito il suo sguardo, la giovane alzò la testa e lo fissò sgranando gli occhi mentre sul volto le si dipingeva un’espressione quasi di panico; chiuse di colpo il blocco da disegno e lo infilò nella borsa, quindi si alzò e Ash capì che stava per andarsene.
Senza quasi rendersene conto si mosse verso di lei, sempre più incuriosito. La sensazione di caccia, di scoperta, di sfida gli faceva scorrere l’adrenalina nelle vene. Voleva sapere chi era quella donna e cosa significava il collare che indossava.
Mentre le si avvicinava era consapevole che, se quel collare significava davvero ciò che pensava, stava invadendo il territorio di un altro, ma non gliene importava nulla.
Portare via la sottomessa a un dominatore era vietato da una delle tante regole non scritte, ma Ash non era mai andato molto d’accordo con le regole, perlomeno con quelle non stabilite da lui. Oltretutto quella donna era bellissima e intrigante, forse proprio quella che lui stava cercando. Come avrebbe potuto scoprirlo se non raggiungendola prima che sparisse?
Le era ormai quasi vicino, quando la sconosciuta si girò, con la borsa in mano, evidentemente pronta ad andarsene, e quasi si scontrò con lui. Senza dubbio Ash stava invadendo il suo spazio privato e doveva considerarsi fortunato che lei non si fosse messa a urlare; probabilmente aveva l’aria di un maniaco.
La sentì respirare affannosamente mentre faceva un passo indietro, urtando con la borsa la sedia da cui si era appena alzata. La borsa si rovesciò e tutto quello che conteneva – matite, pennelli e fogli – si sparpagliò per terra.
«Accidenti» borbottò lei, chinandosi subito a raccogliere le sue cose.
Ash corse a prenderne uno che il vento aveva fatto volare qualche metro più in là.
«Ci penso io» disse la donna. «Non si disturbi.»
Ash raccolse il disegno e tornò verso di lei.
«Nessun disturbo. Se l’ho spaventata, mi dispiace.»
Lei fece una risatina incerta mentre allungava la mano per prendere il foglio. «Certo che mi ha spaventata.»
Ash abbassò lo sguardo sul disegno che le stava porgendo e rimase sorpreso nel vedere che ritraeva lui.
«Ma cosa…?» mormorò, ignorando il tentativo della donna di riprenderselo.
«Per favore, me lo restituisca» disse lei, con voce bassa ma decisa.
Sembrava spaventata, come se temesse la sua reazione, ma Ash era più che altro affascinato dalla porzione di pelle nuda che il morbido top aveva lasciato scoperta sul suo fianco destro nel momento in cui lei aveva alzato il braccio per chiedergli il disegno.
Aveva intravisto un tatuaggio vivace e colorato, proprio come lei. Da quel poco che era riuscito a scorgere aveva capito che si trattava di un motivo floreale, una specie di rampicante, e che doveva essere abbastanza esteso in alto o in basso, forse in entrambe le direzioni. Moriva dalla voglia di vederlo meglio ma lei aveva abbassato il braccio, nascondendolo alla vista.
«Perché stava ritraendo me?» le chiese, incuriosito.
Lei arrossì. Aveva la carnagione chiara, appena baciata dal sole, e con quei lunghi capelli e gli occhi color acquamarina sembrava stupenda. Anzi, era stupenda, e aveva anche molto talento.
Lo aveva ritratto alla perfezione; Ash non aveva avuto alcuna difficoltà a riconoscersi. In quel disegno a matita aveva l’aria pensierosa e lo sguardo distante; era in piedi, con le mani in tasca, e si percepiva chiaramente che era immerso nei pensieri. Il fatto che una sconosciuta fosse riuscita in pochi istanti ad afferrare il suo stato d’animo lo fece sentire stranamente vulnerabile; aveva colto quel momento di fragilità e aveva capito qualcosa che lui nascondeva con cura agli occhi degli altri.
«L’ho fatto di getto» si lasciò sfuggire lei, sulla difensiva. «Disegno un sacco di persone, e anche di cose. Tutto quello che attira la mia attenzione.»
Ash le sorrise, senza mai distogliere lo sguardo da lei; aveva occhi molto espressivi, in cui un uomo poteva perdersi, e quel girocollo sembrava fissarlo sfrontato, facendogli intravedere mille possibilità.
«Quindi sta dicendo che ho attirato la sua attenzione.»
La giovane arrossì di nuovo e Ash capì che lo aveva studiato tanto quanto lui aveva studiato lei, anche se forse in modo meno sfacciato; del resto il tatto non era mai stato il suo forte.
«Sembrava un pesce fuor d’acqua» disse lei, quasi senza riflettere. «Ha dei lineamenti molto decisi, e mi è venuta voglia di metterli sulla carta. Ha un viso interessante, ed era chiaramente immerso nei suoi pensieri. Trovo che le persone siano molto più aperte quando non sanno di essere osservate. Se si fosse messo in posa, il ritratto sarebbe stato completamente diverso.»
«È davvero bello» commentò lui, esaminando ancora una volta il disegno. «Lei ha...