Neve d'Aprile
eBook - ePub

Neve d'Aprile

  1. 210 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Pochi giorni prima di sposarsi Caroline Clibum parte alla chetichella con il suo fratellino per ritrovare Angus, un fratello maggiore un po' scapestrato, che sembra essersi stabilito in Scozia. Ma una tempesta di neve fuori stagione, un incidente d'auto e un attacco d'appendicite mandano all'aria tutti i programmi.
E Caroline, tra tanti guai, scopre che, per vivere felice accanto a un uomo, la gratitudine non basta. Un'eccitante e insolita avventura alla scoperta dell'amore.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804375500
eBook ISBN
9788852040788

1

Avvolta nel vapore profumato, con i capelli raccolti in una cuffia da bagno, Caroline Cliburn ascoltava la radio sdraiata nella vasca. Il bagno era grande, come tutte le stanze di quell’ampia casa. Una volta era stato uno spogliatoio, ma molto tempo prima Diana, pensando che gli spogliatoi non venivano utilizzati e quindi non servivano più, aveva deciso di smantellarlo. Aveva chiamato idraulici e falegnami, fatto installare sanitari di porcellana rosa, stendere sul pavimento una spessa moquette bianca e alla finestra tendoni di chintz. Su un tavolo basso dal piano di vetro c’erano sali da bagno, riviste e grandi uova di sapone dal profumo di rosa. C’erano delle rose ricamate sugli asciugamani francesi e sul tappetino del bagno, dove in quel momento erano posate la vestaglia e le ciabatte di Caroline, la radio e un libro che aveva incominciato a leggere e poi abbandonato.
La radio trasmetteva un valzer. Un-due-tre, un-due-tre sospiravano i violini, evocando visioni di cortili con le palme, di signori distinti in guanti bianchi e di anziane signore sedute su sedie dorate che muovevano la testa al ritmo del grazioso motivetto.
“Metterò il tailleur nuovo” pensò. Poi si ricordò che uno dei bottoni dorati della giacca si era staccato e che, molto probabilmente, era andato perduto. Sarebbe stato perfettamente possibile, naturalmente, cercare il bottone, infilare il filo in un ago, riattaccarlo. L’operazione non avrebbe richiesto più di cinque minuti, ma era molto più semplice non fare così. Meglio indossare il caffetano turchese, o il vestito di velluto nero lungo fino al polpaccio che – diceva Hugh – la faceva sembrare Alice nel Paese delle Meraviglie.
L’acqua si stava raffreddando. Aprì il rubinetto dell’acqua calda con il piede e si disse che alle sette e mezzo sarebbe uscita dalla vasca, si sarebbe asciugata, preparata e recata di sotto. Sarebbe stata in ritardo, ma non importava. Tutti sarebbero stati lì ad aspettarla, raccolti intorno al camino, Hugh con la giacca di velluto da sera che lei in cuor suo detestava e Shaun con la fascia di seta scarlatta alla vita. E ci sarebbero stati gli Haldane, Elaine già al secondo Martini, Parker con quegli occhi acuti, insinuanti, gli ospiti d’onore, i soci d’affari di Shaun provenienti dal Canada, il signore e la signora Grimandull,1 o un nome del genere. E, dopo una ragionevole attesa, si sarebbero tutti intruppati per la cena: zuppa di tartaruga, il pasticcio che Diana aveva trascorso la mattina a escogitare, e un budino sensazionale che probabilmente sarebbe stato servito flambé, con l’accompagnamento di “oh” e “ah” e “Cara Diana, ma come lo fai?”.
Il pensiero di tutto quel cibo, come al solito, le fece venire la nausea. Era strano. Sicuramente la cattiva digestione era la prerogativa delle persone molto anziane, dei golosi o, in alcuni casi, delle donne incinte. Caroline, a vent’anni, non apparteneva a nessuna di quelle categorie. Non che si sentisse davvero male, era solo che non si sentiva mai bene. Forse prima del martedì seguente – no, di quell’altro ancora – sarebbe dovuta andare da un medico. Si immaginò mentre cercava di spiegare: “Sto per sposarmi e ho sempre la nausea”. Vide il sorriso di lui, paterno e comprensivo. “Il nervosismo che precede il matrimonio è molto naturale, le darò un calmante...”
Il valzer si affievolì discretamente e subentrò l’annunciatore con il notiziario delle sette e trenta. Caroline sospirando si rizzò a sedere, tolse il tappo prima di soccombere alla tentazione di crogiolarsi ancora, e uscì, appoggiando i piedi sul tappetino del bagno. Spense la radio e, asciugatasi frettolosamente, indossò la vestaglia e si incamminò verso la stanza da letto, lasciando impronte bagnate sulla moquette bianco panna. Si sedette al tavolino da toilette rivestito di stoffa, tolse la cuffia da bagno e osservò, senza entusiasmo, il suo triplice riflesso. I capelli lunghi, dritti e chiari come il latte le pendevano sui due lati del viso come pennacchi di seta. Non era un viso grazioso nel senso comune del termine. Gli zigomi erano troppo alti, il naso schiacciato, la bocca grande. Lei sapeva di poter apparire sia orribile sia bella; soltanto gli occhi, distanti, marrone scuro, dalle folte ciglia, erano realmente notevoli, anche ora che la stanchezza la imbruttiva.
(Le venne in mente Drennan e qualcosa che le aveva detto una volta, molto tempo prima, tenendole la testa fra le mani e sollevandole il volto verso il suo. «Com’è che hai il sorriso di un ragazzo e gli occhi di una donna? Gli occhi di una donna innamorata, per di più?» Erano seduti nella sua macchina; fuori era molto buio e pioveva. Ricordava il suono della pioggia, il ticchettio dell’orologio dell’auto, la sensazione della mano di lui che le circondava il mento, ma era come ricordare un episodio di un libro o di un film, un episodio cui aveva assistito, ma senza prendervi parte. Era successo a un’altra ragazza.)
Afferrò bruscamente la spazzola, raccolse i capelli in un giro d’elastico e incominciò a truccarsi il viso. Nel bel mezzo di ciò, lungo il corridoio si udì il rumore di passi, lievi sulla spessa moquette, che si fermarono alla sua porta. Qualcuno bussò leggermente alla porta.
«Sì?»
«Posso entrare?» Era Diana.
«Certo.»
La sua matrigna era già vestita di bianco e oro, i capelli biondo-grigio raccolti a mo’ di conchiglia e puntati con uno spillone d’oro. Era, come sempre, bella, sottile, alta, impeccabilmente curata. Gli occhi azzurri, evidenziati da una abbronzatura mantenuta con regolari sedute di lampada, facevano sì che spesso fosse scambiata per una scandinava. Aveva la fortuna che indossando un completo sportivo da sci o un abito di tweed appariva non meno bella di come lo era in quel momento, vestita di tutto punto per una serata della massima formalità.
«Caroline, non sei ancora pronta!»
Caroline si mise a fare mosse complicate con lo spazzolino per le ciglia.
«Sono a metà. Sai come so essere veloce quando incomincio.» Aggiunse: «È forse l’unica cosa imparata alla scuola di recitazione che mi sarà sempre utile. Sai, truccarsi in un minuto esatto».
Era un’osservazione fatta senza pensare e se ne pentì immediatamente. La scuola di recitazione era ancora territorio proibito per quanto riguardava Diana che, soltanto al sentirla nominare, arruffò le piume. Disse freddamente: «In tal caso, forse non sono stati completamente sprecati i due anni che hai trascorso là» e, quando Caroline, stroncata, non diede risposta, lei continuò: «Comunque, non c’è fretta. Hugh è qui, Shaun gli sta offrendo un drink adesso, ma i Lundstrom saranno un po’ in ritardo. Lei ha telefonato dal Connaught per dire che John è stato trattenuto a una conferenza».
«Lundstrom. Non ricordavo il loro nome. Li ho chiamati Grimandull.»
«Non è per niente carino. Non li conosci nemmeno.»
«E tu?»
«Sì, e sono molto simpatici.»
Incominciò a riordinare, in modo enfatico, le cose di Caroline, aggirandosi per la stanza, appaiando le scarpe, piegando un maglione, raccogliendo l’asciugamano umido nel mezzo del pavimento. Lo piegò e lo riportò in bagno, dove Caroline la sentì che cercava di pulire il lavandino, apriva e chiudeva la porta dell’armadietto a specchi, senza dubbio rimettendo al suo posto qualche vasetto di crema detergente.
«Diana, a che tipo di conferenza partecipa il signor Lundstrom?» chiese alzando la voce.
«Eh?» Diana riapparve e Caroline ripeté la domanda.
«È un banchiere.»
«Ha a che fare con questo nuovo affare di Shaun?»
«Altroché. Lo appoggia. È in Inghilterra proprio per mettere a punto gli ultimi dettagli.»
«Allora dovremo essere tutti molto affascinanti e ben educati.»
Alzandosi e lasciando cadere la vestaglia, Caroline si avviò nuda in cerca dei vestiti.
Diana sedeva sul bordo del letto. «È così faticoso? Caroline, sei terribilmente magra. Davvero troppo magra, dovresti cercare di mettere su un po’ di peso.»
«Sto bene.» Scelse della biancheria da un cassetto traboccante e incominciò a indossarla. «Sono fatta così.»
«Sciocchezze. Ti si vedono tutte le costole. E mangi come un uccellino. L’ha notato persino Shaun l’altro giorno e sai com’è distratto di solito.» Caroline si mise un paio di collant. «Hai un brutto colorito; sei pallidissima. L’ho notato poco fa, quando sono entrata. Forse dovresti incominciare a prendere del ferro.»
«Non fa annerire i denti?»
«Ma dove hai sentito quella vecchia storia da comari?»
«Forse c’entra con il fatto di sposarsi. Di dover scrivere centoquarantatré lettere di ringraziamento.»
«Non fare l’ingrata... oh, a proposito, ha telefonato Rose Kintyre, chiedendosi cosa desideravi come regalo. Le ho consigliato quei calici che hai visto in Sloane Square, sai, quelli con le iniziali incise. Che cosa hai intenzione di metterti stasera?»
Caroline aprì l’armadio e tirò giù il primo vestito che le venne fra le mani, per caso quello di velluto nero. «Questo?»
«Sì. Adoro quel vestito. Ma con quello dovresti mettere calze scure.»
Caroline lo rimise a posto e tirò fuori il successivo. «Allora questo?» Il caffetano, naturalmente, non il tailleur.
«Sì. Delizioso. Con orecchini d’oro.»
«I miei li ho persi.»
«Oh, non quelli che ti ha regalato Hugh, spero.»
«Non li ho proprio persi, li ho solo messi nel posto sbagliato. Li ho messi da qualche parte, ma non mi ricordo dove. Non preoccuparti.» Si gettò sulla testa la seta turchese, soffice come la lanugine del cardo. «Gli orecchini non mi stanno bene, comunque, a meno che i miei capelli non siano pettinati nel modo giusto.» Cominciò ad allacciare i minuscoli bottoni. «E Jody? Dove cenerà?» chiese.
«Con Katy, nel seminterrato; gli ho detto che poteva cenare con noi, ma lui vuole vedere il film western alla televisione.»
Caroline sciolse i capelli e li lisciò con la spazzola. «È là adesso?»
«Credo di sì.»
Caroline si spruzzò distrattamente il profumo, con il primo flacone che le capitò sotto mano. «Se non ti dà fastidio,» disse «prima scendo ad augurargli la buona notte.»
«Non metterci troppo. I Lundstrom saranno qui fra circa dieci minuti.»
«D’accordo.»
Andarono insieme di sotto. Mentre scendevano nell’ingresso, si aprì la porta del salotto e apparve Shaun Carpenter, reggendo un secchiello per il ghiaccio rosso a forma di mela, con un picciolo dorato sul coperchio che prolungandosi formava un manico. Guardò in su e le vide.
«Non c’è ghiaccio» disse a mo’ di spiegazione, poi, come un attore teatrale che finge di sorprendersi in ritardo, distratto dalla loro comparsa, rimase fermo in mezzo all’ingresso a guardarle scendere.
«Siete bellissime! Due donne stupende.»
Shaun era il marito di Diana; riferendosi a lui, Caroline lo definiva talvolta “il marito della mia matrigna”, oppure lo chiamava “il mio patrigno in seconda”, o, semplicemente, “Shaun”.
Era sposato con Diana da tre anni, ma – come Shaun amava raccontare alla gente – la conosceva e la adorava da molto più tempo.
«L’ho conosciuta ai vecchi tempi» diceva. «Pensavo di aver sistemato per bene l’intera faccenda, poi lei partì per le isole greche per comprare un pezzo di terreno. La prima cosa che venni a sapere da una sua lettera è che aveva incontrato e sposato quel tizio... quell’architetto, Gerald Cliburn. Senza un soldo, già con una famiglia e terribilmente anticonformista. È stato un fulmine a ciel sereno.»
Era tuttavia rimasto fedele al ricordo di lei e, poiché era per natura un uomo di successo, aveva interpretato con pari fortuna il ruolo dello scapolo di professione e dell’uomo maturo, sofisticato, molto richiesto dalle signore di Londra e sempre con un’agenda zeppa di impegni per mesi a venire.
In verità, la sua vita da scapolo era mirabilmente organizzata e piacevole, e quando Diana Cliburn, rimasta vedova e con due figliastri al seguito, era ritornata a Londra per trasferirsi ancora nella sua vecchia casa, riprendere i vecchi legami e incominciare una nuova vita, ci furono varie ipotesi su quello che Shaun Carpenter avrebbe fatto a quel punto. Che si fosse accomodato troppo profondamente nella sua confortevole routine da scapolo? Avrebbe rinunciato – seppur per Diana – alla sua indipendenza per adattarsi alla vita monotona di un ordinario uomo di famiglia? I pettegoli non ne erano affatto certi.
Ma i pettegoli non avevano fatto i conti con Diana. Era ritornata da Aphros più bella e desiderabile che mai. Aveva allora trentadue anni ed era al culmine del suo fascino. Shaun,...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. di Rosamunde Pilcher
  3. Neve d'Aprile
  4. 1
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  12. Copyright