1 NOTIZIA SUL TESTO
La raccolta Terra vergine segna l’esordio del d’Annunzio prosatore. Dopo il rifiuto di Zanichelli, il volume uscì nel 1882 presso Sommaruga, editore, nello stesso anno, del primo Canto novo. Nel 1884 fu la volta di una seconda edizione, che aggiungeva ai nove precedenti due racconti, collocandoli in chiusura del libro. La disposizione dei testi all’interno del volume non rispecchia, comunque, la loro effettiva successione cronologica: tranne che per i fino ad allora inediti Fiore fiurelle e Lazzaro, si hanno, infatti, precisi riferimenti temporali costituiti dalle già avvenute apparizioni delle novelle in rivista, in un arco di tempo che va dal 12 dicembre 1880 – data di pubblicazione di Cincinnato, il quarto testo della raccolta, sul «Fanfulla della Domenica» – al 1° dicembre 1882, giorno in cui Ecloga fluviale usciva sulla «Cronaca Bizantina». Nel corso dell’81 d’Annunzio pubblicava, sul «Fanfulla della Domenica», Toto, Fra’ Lucerta e La Gatta – novelle precedute, come Cincinnato, dalla dicitura Figurine abruzzesi –, rispettivamente il 6 febbraio, l’8 maggio e il 18 dicembre; su «Preludio» di Ancona, il 16 maggio, Dalfino, titolo seguito dalla specificazione Bozzetto di mare e, ancora sul «Fanfulla della Domenica», l’anno successivo, Campane e Bestiame, rispettivamente il 19 marzo e il 18 giugno: date, queste ultime, che precedono e prendono l’uscita della novella eponima del volume, sulla «Domenica Letteraria» del 16 aprile.
Fino al dicembre ’81 non era certo nelle intenzioni assegnare il titolo Terra vergine alla raccolta, che doveva chiamarsi, invece, Figurine abruzzesi: un segnale preciso che poneva l’accento sul carattere essenzialmente descrittivo, «pittorico» di testi non a caso destinati all’illustrazione di Francesco Paolo Michetti. In una lettera dell’11 gennaio 1881 d’Annunzio scriveva infatti all’amico Paolo De Cecco: «Ciccillo non potrebbe aiutarmi con la sua matita? Dovrebbe fare degli studietti, come li sa fare soltanto lui, sulle mie figurine; e pubblicheremo il volume dal Treves, il quale prenderebbe la proprietà letteraria, intitolandolo: Figurine abruzzesi /studii/ di F.P. Michetti e G. d’Annunzio. Che ne dici?». In un’altra lettera, del 31 marzo ’81, indirizzata a Enrico Bazan Vitale, tornava sull’argomento: «Io raccoglierò in un volume splendidamente illustrato dall’amico Michetti le mie Figurine abruzzesi che ora il “Fanfulla domenicale” mi paga 40 lire l’una». E il 15 ottobre dello stesso anno scriveva alla Zucconi: «[…] ho diverse figurine da modellare per intero ché Michetti e Treves me le chiedono instantemente […]».
La consonanza dei bozzetti dannunziani con la prima maniera pittorica dell’artista abruzzese venne, del resto, immediatamente segnalata: il volume usciva il 27 aprile e subito nel maggio una recensione sulla «Gazzetta di Aquila» proponeva l’accostamento dei due artisti aggiungendo, a indiretta conferma di tale analogia, l’indicazione della somiglianza degli scritti dannunziani con la scultura del Barbella (citato, peraltro, dal narratore in Fra’ Lucerta: «Venivano innanzi [Mena con altre due contadine] tutt’e tre intrecciate […] facevano pensare a una stupenda terracotta del Barbella») o con le canzoni abruzzesi musicate dal Tosti (e si consideri che il 21 luglio dell’81, scrivendo alla Zucconi del suo proposito di fare di ogni canzone abruzzese studiata una figurina, d’Annunzio faceva riferimento proprio ad una raccolta curata dal Tosti in un «bel volumetto edito dal Ricordi» nel 1879, contenente la trascrizione per pianoforte di quindici canti popolari). Così pure il Capuana – una voce autorevole, dunque, ed estranea all’ambito specificamente regionale che, in quanto tale, poteva essere a suo modo più attento a rilevare certe consonanze – parlava addirittura, in una tempestiva recensione a Terra vergine e Canto novo («Fanfulla della Domenica» del 4 giugno 1882), di un d’Annunzio che aveva voluto «toglier di pugno i pennelli e la tavolozza al Michetti» per tratteggiare delle «splendide marine»: il critico si riferiva in modo specifico alla raccolta poetica, ma è noto, e su tale aspetto si tornerà più avanti, lo stretto legame di questa con il libro di novelle. Il segreto appreso dal pittore consisteva nel lodevole rifiuto della genericità, reso necessario da una adesione al reale che presupponeva volta per volta la scelta di un determinato punto di vista («rendere una data marina, in una data ora, in una data stagione», si legge infatti nello scritto del Capuana). Del resto, interventi critici successivi hanno confermato la possibilità di parlare a proposito di Terra vergine, di «impressionismo» o «frammentismo pittorico» (Ciani), di un d’Annunzio «non narratore ma descrittore minuto» (Schiaffini), di «prosa […] lirica assai più che narrativa» (Beccaria). Più recentemente, inoltre, Paola Sorge ha rilevato la presenza del principio wagneriano della fusione delle arti già nelle prime pagine del d’Annunzio narratore, modellate – dato lo stretto legame e la sintonia con lo stile degli altri componenti del cenacolo di Francavilla: Michetti, Barbella, Tosti – «sui modi e sulle cadenze di pitture, sculture e musiche» (Gli artisti di Francavilla nelle cronache dannunziane, in AA.VV., «Atti sul d’Annunzio giornalista», Pescara 1983, Pescara 1984).
Il volume dannunziano usciva dunque il 27 aprile – lo scrittore lo comunicava alla Zucconi quello stesso giorno – dopo la rinuncia ad un altro proposito, riguardante, questa volta, il destinatario della dedica: non più la sorella Nannina, come era, stando a quanto si legge in una lettera ad Elda del 1° aprile 1882, nelle intenzioni del d’Annunzio (pochi giorni dopo, però, affermava che per lei sarebbe stato adatto «qualche cosa di meno convulso, di più soave», lettera del 6 aprile 1882), ma l’esploratore abruzzese Giovanni Chiarini (Chieti 1849-Regno di Ghera 1879). Nel 1876 questi aveva partecipato, trovandovi la morte tre anni dopo, ad una spedizione italiana in Africa equatoriale, sotto la guida del marchese Orazio Antinori. (Le spoglie del Chiarini furono trasferite a Chieti solo nel novembre dell’84; cfr. C. Gizzi, Giovanni Chiarini, Chieti 1881.) Sul frontespizio di Terra vergine si leggeva appunto: «A Giovanni Chiarini – abruzzese – che giace lontano – sotto una capanna di bambusa – nel cuore dell’Africa»; e si tratta di una dedica che in un certo senso appare in sintonia con un’opera il cui titolo indicherebbe anche il proposito di presentare artisticamente una regione, l’Abruzzo, per certi aspetti ancora inesplorata.
Quanto all’inserimento della raccolta nell’ambito della produzione novellistica dannunziana, è possibile constatare la sua impermeabilità, per così dire, a recuperi posteriori che intrecceranno, invece, in qualche modo, le vicende compositive degli altri libri di novelle, proprio per ripetute operazioni di riprese testuali. Nessun racconto di Terra vergine, infatti, sarà oggetto di revisioni successive miranti – come accadrà ad un testo del Libro delle vergini e ad altri del San Pantalone e dei Violenti – ad un inserimento nelle Novelle della Pescara. Così il proposito, formulato in una lettera a Giuseppe Treves del 24 dicembre 1900, di collocarne alcuni nella raccolta – «Non si potrebbe unire a queste anche alcune pagine della Terra vergine e alcune delle Vergini (edite dal Sommaruga e ormai introvabili)?» – era destinato a non trovare successiva realizzazione. Nel quadro complessivo dell’Opera Omnia, poi, Terra vergine è riproposta nella veste definitiva dell’84 anche se con la data 1882: la sola novità è costituita dal titolo Le primavere della mala pianta della sezione che la contiene insieme col Giovanni Episcopo. E l’unica occasione in cui un testo della raccolta era uscito con l’autorizzazione del d’Annunzio dal suo ambito originario era stata offerta proprio dalla traduzione francese del Giovanni Episcopo che, nel volume del 1895 curato da Georges Hérelle e intitolato Episcopo et Cie, veniva proposta con il racconto Campane, appunto, divenuto L...