
- 518 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Un gusto per la morte
Informazioni su questo libro
Sir Paul Berowne e Harry Mack. Un ministro e un vagabondo uccisi insieme nella sacrestia di una chiesa londinese. L'inchiesta affidata all'ispettore Adam Dalgliesh si presenta come un vero rompicapo: perché l'assassino ha voluto unire nella morte due uomini così diversi?
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Informazioni
Print ISBN
9788804390374eBook ISBN
9788852041549Libro primo
MORTE DI UN BARONETTO
1
I cadaveri furono scoperti alle otto e quarantacinque del mattino di mercoledì 18 settembre da Miss Emily Wharton, una zitella sessantacinquenne della parrocchia di St. Matthew a Paddington, Londra, e dal decenne Darren Wilkes di nessuna parrocchia particolare, per quanto gli risultasse o gli importasse. La strana coppia aveva lasciato l’appartamento di Miss Wharton in Crowhurst Gardens poco prima delle otto e mezzo, per percorrere a piedi il mezzo miglio del Grand Union Canal sino alla chiesa di St. Matthew. Qui Miss Wharton, come ogni mercoledì e venerdì, avrebbe portato via i fiori appassiti dal vaso davanti alla statua della Vergine, raschiato la cera e i mozziconi di candele dai candelieri d’ottone, spolverato le due file di sedie nella cappella della Madonna, sufficienti al piccolo numero di fedeli previsto per la prima messa del mattino, e preparato ogni cosa per le nove e venti, quando sarebbe arrivato Padre Barnes.
Era stato nel corso di una missione simile che, sette mesi prima, aveva conosciuto Darren. Lui stava giocando da solo sull’alzaia, se si può definire un gioco il lanciare oziosamente nel canale vecchie lattine di birra, e Miss Wharton si era fermata ad augurargli il buongiorno. Forse lo aveva sorpreso sentirsi salutare da un adulto che non lo sgridava né gli faceva domande. Qualunque fosse la ragione, dopo averla guardata con apparente indifferenza, le si era appiccicato, prima ciondolando un po’ più indietro, poi girandole attorno, come potrebbe fare un cane randagio, infine trotterellandole accanto. E quando erano arrivati alla chiesa di St. Matthew, l’aveva seguita all’interno, con la stessa naturalezza che avrebbe avuto se quel mattino si fossero messi in cammino insieme.
Sin dal primo giorno, Miss Wharton comprese subito che non aveva mai messo piede in una chiesa, ma né allora né in seguito mostrò mai la minima curiosità per la ragione d’essere di quella costruzione. Aveva girato con piacere dentro e fuori la sagrestia e la stanza delle campane mentre lei sbrigava le proprie faccende, l’aveva osservata in atteggiamento critico mentre sistemava sei giunchiglie, rimpolpate da foglie, nel vaso ai piedi della Vergine, e aveva assistito, con l’amabile indifferenza dell’infanzia, alle sue frequenti genuflessioni, considerando evidentemente questi improvvisi movimenti un ennesimo esempio delle curiose ridicolaggini degli adulti.
Ma lei lo aveva reincontrato sull’alzaia la settimana successiva e anche quella dopo. Dopo la terza visita, senza essere stato invitato, Darren l’aveva accompagnata a casa e aveva diviso con lei una scatola di crema di pomodoro e una di bastoncini di pesce. Il pasto, così simile a una comunione rituale, aveva rafforzato quella strana e tacita dipendenza reciproca che ormai li legava. A questo punto lei aveva capito, con un misto di gratitudine e di ansia, che le era diventato necessario. Quando arrivavano a St. Matthew, lui lasciava sempre la chiesa, ora misteriosamente presente per poi sparire un attimo dopo, appena cominciavano ad arrivare alla spicciolata i primi fedeli. Poi, dopo la funzione, lo trovava a bighellonare sull’alzaia, e lui le si affiancava come se non si fossero mai separati. Miss Wharton non aveva mai fatto il suo nome né con Padre Barnes né con nessun altro di St. Matthew e anche lui, per quanto le risultava, non aveva mai parlato di lei nel suo chiuso mondo infantile. Di Darren, dei suoi genitori e della sua vita, non sapeva ora più di quanto sapesse al loro primo incontro.
Ma questo era successo sette mesi fa, in un gelido mattino di metà febbraio, quando i cespugli che nascondevano l’alzaia alle vicine case popolari erano grovigli di spine senza vita; quando i rami dei frassini erano neri di gemme talmente fitte che sembrava impossibile potessero un giorno esplodere nel verde; e i rami spogli e sottili dei salici, curvandosi sul canale, lasciavano cadere piume delicate sul rapido corso d’acqua. Adesso invece l’estate si stava imbrunendo e ammorbidendo nell’autunno. Miss Wharton, se chiudeva per un attimo gli occhi mentre arrancava sulla poltiglia di foglie cadute, aveva ancora l’impressione di sentire, attraverso gli odori dell’acqua lenta e della terra umida, un’eco degli inebrianti fiori di sambuco di giugno. Era quel profumo che, nelle mattine d’estate, la riportava più chiaramente ai viottoli dello Shropshire della propria infanzia. L’insorgere dell’inverno le faceva paura e quel mattino, svegliandosi, le era parso di sentirne il respiro nell’aria. Benché non piovesse da una settimana, il sentiero era viscido di fango e smorzava ogni suono. Camminavano insieme sotto le fronde, in un silenzio sinistro. Taceva persino il chiacchierio metallico dei passeri. Ma sulla loro destra il fosso che fiancheggiava il canale era ancora rigoglioso del verde dell’estate, con la sua erba fitta sui pneumatici rotti, i materassi scartati e i brandelli d’indumenti che marcivano sul fondo, e le gemme squarciate e sovraccariche dei salici lasciavano cadere le loro foglie sottili in un’acqua troppo oleosa e stagnante per assorbirle.
Erano le otto e tre quarti e si stavano avvicinando alla chiesa, entrando ora in una delle basse gallerie che attraversavano il canale. Darren, che aveva una predilezione per questo tratto della passeggiata, lanciò un grido di gioia e si gettò a capofitto nella galleria, gridando per sentire l’eco e facendo scorrere le mani, simili a pallide stelle marine, sulle pareti di mattoni. Miss Wharton seguiva la sua saltellante figura, paventando un poco il momento in cui, varcato l’arco, sarebbe entrata in quell’umida e claustrofobica umidità odorosa di fiume e avrebbe udito, particolarmente forte, il gorgoglio del canale contro le pietre della pavimentazione e il lento stillicidio dell’acqua dal soffitto basso. Affrettò il passo e, dopo pochi minuti, la luminosa mezzaluna in fondo alla galleria si allargò fino a riaccoglierli nella luce del giorno e lui tornò rabbrividendo al suo fianco.
Miss Wharton disse:
«Fa molto freddo, Darren. Non faresti meglio a metterti la giacca a vento?» Lui incurvò le spalle sottili e scosse il capo. La stupiva sempre vederlo così poco vestito e così resistente al freddo. Le sembrava a volte che preferisse vivere in un brivido continuo. A meno che coprirsi come si deve in una gelida mattina d’autunno non fosse considerato poco virile. E poi gli stava così bene la giacca a vento. Si era sentita sollevata la prima volta che gliel’aveva vista addosso; era di un blu acceso con strisce rosse, costosa, evidentemente nuova, una prova rassicurante che sua madre, che lei non aveva mai incontrato e di cui lui non parlava mai, cercava di prendersi cura di Darren.
Il mercoledì era il giorno in cui doveva sostituire i fiori e quel mattino portava, avvolti nella carta velina, un mazzetto di rose rosa e uno di piccoli crisantemi bianchi. I gambi erano bagnati e ne sentiva filtrare l’umidità attraverso i guanti di lana. I fiori erano ancora chiusi, ma uno cominciava già ad aprirsi, evocando fuggevolmente un’immagine dell’estate che si portava appresso un’antica angoscia. Le mattine in cui andavano in chiesa, Darren arrivava spesso portandole dei fiori. Venivano, le aveva detto, dal banco dello zio Frank a Brixton. Ma era proprio vero? E poi c’era stato il salmone affumicato, il regalo dell’ultimo venerdì, portato nel suo appartamento poco prima dell’ora di cena. Le aveva raccontato di averlo avuto dallo zio Joe, che gestiva un caffè dalle parti di Kilburn. Ma le fette, così umide, così squisite, erano inframmezzate da fogli di carta oleata e il vassoio bianco sul quale erano stese assomigliava moltissimo a quelli che aveva contemplato, con un desiderio senza speranza, nella vetrina di Mark and Spencer, solo che qualcuno aveva strappato via l’etichetta. Darren si era seduto di fronte a lei, guardandola mangiare e facendo una curiosa smorfia di disgusto quando gli aveva proposto di prenderne un po’, ma senza smettere di fissarla con concentrata, quasi rabbiosa, soddisfazione; un po’, pensò, come una madre guarderebbe una figlia convalescente che assaggia il suo primo boccone. Lei comunque lo aveva mangiato e, sentendo ancora nel palato quel delizioso sapore, capì che sarebbe stata un’ingrata se gli avesse fatto delle domande. I regali, però, stavano diventando sempre più frequenti. Se gliene avesse portati ancora, avrebbero dovuto fare una piccola chiacchierata.
All’improvviso, lui lanciò un urlo, corse avanti con furia e riuscì ad appendersi con un salto a un ramo sporgente. Poi cominciò a dondolare, con le sue gambette scattanti e le bianche scarpe da corsa con la suola spessa che parevano assurdamente pesanti per quelle gambe così ossute. Aveva spesso di questi accessi improvvisi di vitalità: correva avanti a nascondersi tra i cespugli per poi sbucarle davanti all’improvviso o frugava nel fosso in cerca di bottiglie rotte e di lattine che scaraventava nell’acqua con disperata veemenza. Lei fingeva di spaventarsi quando le sbucava davanti, gli gridava di stare attento quando strisciava su un ramo e si dondolava sfiorando l’acqua. Ma in genere questa vivacità la rallegrava. Era meno preoccupante dell’apatia che a volte sembrava invaderlo. Ora, guardando il suo sogghignante musetto da scimmia mentre oscillava, mettendo un braccio davanti all’altro, e il dimenarsi frenetico del suo corpo e l’argento della delicata cassa toracica sotto la carne chiara, nel punto in cui la giacca si era staccata dai jeans, sentì un impeto d’amore così doloroso che fu quasi come un colpo al cuore. E con il dolore tornò l’antica angoscia. Quando poi si lasciò cadere vicino a lei, gli disse:
«Darren, sei sicuro che a tua madre non dispiaccia che tu mi dia una mano a St. Matthew?»
«No, è okay, te l’ho già detto.»
«Tu vieni spesso nel mio appartamento. E a me fa piacere, ma sei proprio sicuro che a lei non dispiaccia?»
«Senti, te l’ho già detto, è okay.»
«Ma non sarebbe meglio se io andassi a trovarla, tanto per conoscerla e per farle sapere con chi passi il tuo tempo?»
«Lo sa già. E poi non è a casa. Va spesso a Romford a trovare lo zio Ron.»
Un altro zio. Come tenere il conto di tutti? Poi affiorò un nuovo motivo di ansia.
«E allora chi si occupa di te, Darren? Chi c’è a casa?»
«Nessuno. Io, finché lei non torna, dormo da una vicina. Per me è okay.»
«E come mai oggi non sei a scuola?»
«Te l’ho già detto. Non devo andarci. È vacanza, sai, è vacanza! Te l’ho già detto!»
La sua voce era diventata acuta, quasi isterica. Poi, come se lei non avesse neanche parlato, le si mise accanto e disse con più calma:
«Su a Notting Hill vendono l’Andrex a quarantotto pence per un doppio rotolo. In quel nuovo supermercato. Potrei portartene un paio di rotoli se t’interessa.»
Doveva passare una quantità di tempo, pensò lei, nei supermercati, forse a far la spesa per sua madre quando tornava da scuola. Era bravo a scoprire le occasioni, a informarla delle offerte speciali e dei prodotti più a buon mercato. Gli disse:
«Cercherò di andarci io, Darren. È un ottimo prezzo.»
«Già, è quel che ho pensato anch’io. È la prima volta che li vedo a meno di cinquanta pence.»
Per quasi tutta la passeggiata, il loro obiettivo era sempre stato in vista: la verde cupola di rame dello svettante campanile della straordinaria basilica romanica che Arthur Blomfield aveva eretto nel 1870 sulla riva di questa pigra via d’acqua urbana, con la stessa baldanza che se fosse stato a Venezia sul Canal Grande. Miss Wharton, la prima volta che aveva messo piede a St. Matthew, nove anni prima, aveva deciso che era giusto ammirarla perché era la sua chiesa parrocchiale e le offriva quelli che lei definiva i privilegi dei cattolici. Dopo di che aveva deciso di non pensare più alla sua architettura, né alla propria nostalgia per gli archi normanni, i dossali scolpiti e le guglie del gotico inglese che le erano così familiari. Pensava di averci ormai fatto l’abitudine. Ma la sorprendeva sempre un po’ vedere Padre Barnes che la mostrava a gruppi di visitatori o a esperti di architettura vittoriana, i quali si entusiasmavano per il baldacchino, ammiravano i dipinti preraffaelliti sui pannelli del pulpito o montavano i loro treppiedi per fotografare l’abside e la paragonavano, in toni baldanzosi e tutt’altro che ecclesiastici (dopo tutto, in chiesa anche gli esperti dovrebbero abbassare la voce), alla cattedrale di Torcello o a una basilica simile di Blomfield a Jericho nell’Oxfordshire.
E ora, come sempre, con drammatica repentinità, giganteggiava davanti a loro. Superarono il tornello della cancellata del canale e imboccarono il sentiero di ghiaia avviandosi verso il portico della porta sud, quella di cui Miss Wharton aveva la chiave. Di lì si accedeva alla Piccola Sagrestia, dove appendeva il cappotto, e alla cucina, dove risciacquava i vasi e disponeva i fiori freschi. Mentre s’avvicinavano alla porta, diede un’occhiata alla piccola aiuola che i giardinieri della parrocchia cercavano di coltivare, più con ottimismo che con successo, su quel terreno ingrato ai bordi del sentiero.
«Oh, guarda, Darren, come sono carine. Le prime dalie. Non avrei mai pensato che sarebbero fiorite. No, non raccoglierle. Stanno troppo bene lì.» Lui si era già chinato, infilando la mano nell’erba ma, alle sue parole, si raddrizzò e si cacciò in tasca il pugno insudiciato.
«Non li vuoi per la BVM?»
«Per Nostra Signora abbiamo già le rose di tuo zio.» Fossero davvero di suo zio! Dovrò domandarglielo, pensò. Non posso andare avanti così, offrendo a Nostra Signora fiori rubati, ammesso che siano stati rubati. Ma se non fosse vero e io lo accusassi egualmente? Distruggerei tutto quello che c’è tra noi. E ora non posso perderlo. E poi rischierei di fargli venire l’idea del furto. Le tornarono in mente espressioni semidimenticate: corruzione dell’innocenza, occasione di peccato. Dovrò pensarci, si disse. Ma non adesso, non ancora.
Frugò nella borsetta cercando la chiave appesa al portachiavi di legno e tentò d’infilarla nella serratura. Ma non riuscì a introdurla. Perplessa, ma non ancora preoccupata, provò a girare il pomello e la pesante porta bordata di ferro si spalancò. Era già aperta, con una chiave nella serratura interna. Il corridoio era buio e silenzioso, la porta di quercia sulla sinistra, che portava alla Piccola Sagrestia, ermeticamente chiusa. Padre Barnes, dunque, doveva essere già lì. Strano, però, che fosse arrivato prima di lei. E perché non aveva lasciato la luce accesa in corridoio? Mentre la sua mano inguantata trovava l’interruttore, Darren le sfrecciò davanti, puntando sulla grata di ferro battuto che separava il corridoio dalla navata della chiesa. Gli piaceva accendere un cero appena arrivavano, infilando le braccia nella grata per raggiungere il candeliere e la cassetta delle elemosine. All’inizio della passeggiata, lei gli aveva dato la solita monetina da dieci pence, e ora udì un fievole tintinnio e lo vide infilare il cero nell’incavo e allungare una mano per prendere i fiammiferi nel loro contenitore d’ottone.
Fu proprio in quel momento che sentì la prima fitta di ansia. Un presentimento mise in allarme il suo subconscio; passate inquietudini e un vago senso di disagio si unirono, trovando un loro centro nella paura. Un vago odore, esotico e insieme orrendamente familiare; il senso di una presenza recente; il possibile significato di quella porta esterna non chiusa a chiave; il corridoio buio. Si rese bruscamente conto che c’era qualcosa di terribilmente insolito. E gridò istintivamente:
«Darren!»
Il ragazzo si voltò a guardarla. Dopo di che, si precipitò al suo fianco.
Prima con delicatezza e poi con un movimento deciso, Miss Wharton aprì la porta. I suoi occhi erano abbacinati. Il lungo tubo fluorescente che deturpava il soffitto era acceso e la sua luminosità cancellava la delicata penombra del corridoio. Fu allora che vide l’orrore.
Erano due e Miss Wharton capì immediatamente, con assoluta certezza, che erano morti. La stanza era un disastro. Avevano la gola tagliata e giacevano, come bestie macellate, in un lago di sangue. Istintivamente spinse indietro Darren. Ma era troppo tardi. Aveva visto anche lui. Non gridò, ma lo sentì tremare ed emettere un piccolo patetico gemito, come un cagnolino arrabbiato. Lo sospinse in corridoio, chiuse la porta e vi si appoggiò contro. Sentiva un gelo disperato e il battere tumultuoso del proprio cuore. Le sembrava che le si fosse gonfiato in petto e quel pulsare doloroso scuoteva il suo fragile corpo come se stesse per scoppiare. E l’odore, che all’inizio era ancora vago, non più di un’insolit...
Indice dei contenuti
- Copertina
- di P.D. James
- Un gusto per la morte
- Nota dell’autrice
- Libro primo - MORTE DI UN BARONETTO
- Libro secondo - I PARENTI PIÙ STRETTI
- Libro terzo - DARE UNA MANO ALLE INDAGINI
- Libro quarto - ARTIFIZI E DESIDERI
- Libro quinto - RHESUS POSITIVO
- Libro sesto - CONSEGUENZE MORTALI
- Libro settimo - CONSEGUENZE
- Copyright