
- 336 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Cosa resterà di quello che siamo stati, dei nostri migliori anni? In pieno stile "Noi che..." Carlo Conti pesca dagli scrigni dei ricordi e compila un dizionario della memoria facendo vibrare emozioni diverse: divertimento, curiosità e ironia. Sempre lieve e spiritoso, mette in scena la play list del nostro passato. Una vera enciclopedia di oggetti, situazioni, canzoni, balli, programmi TV, film, fumetti e giornalini...
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Informazioni
Print ISBN
9788804633594eBook ISBN
9788852044519Carosello
Fiumi di inchiostro sono stati versati per parlare di “Carosello”, ci si sono impegnati giornalisti, critici, storici della tivù, sociologi, esperti di pubblicità, psicologi e massmediologi. Negli anni sono stati pubblicati decine di libri, dispense e tesi di laurea, realizzati programmi e raccolte in DVD dei caroselli più popolari. Ondate di purissima nostalgia travolgono tutti noi che lo conosciamo ogni volta che ne intercettiamo un frammento ritrasmesso in TV, che ne sentiamo parlare o ci capita, chissà perché, di canticchiare una delle tante canzoncine che corredavano gli amati siparietti. In un ideale libro sulla storia della televisione italiana “Carosello” occuperebbe uno dei primi capitoli e sarebbe tra i più lunghi e corposi. Forse per questo la RAI ha deciso giustamente di proporre qualcosa di simile, più o meno alla stessa ora, chiamandolo “Carosello reloaded”, un modo per riappropriarsi di un pezzo della sua storia.
“Carosello” andò in onda per vent’anni consecutivi, debitamente annunciato dalle signorine buonasera, alle 20.50, dopo il telegiornale, da domenica 3 febbraio 1957 fino al 1° gennaio 1977, per un totale di 7261 puntate, stabilendo un record di longevità e di successo per un programma televisivo. Non veniva trasmesso – segno di antico rispetto – soltanto per le ricorrenze del Venerdì Santo e del 2 novembre. La sigla con i quattro panorami di città italiane (Venezia, Siena, Napoli e Roma) e ai lati un musicante era accompagnata da una tarantella napoletana rielaborata da Raffaele Gervasio, divenuta popolare quanto Tanti auguri a te. Quella musichetta metteva allegria predisponendo l’animo, fin dalla prima nota, alla visione. Ogni puntata di “Carosello” era composta dalle quattro alle sei scenette, ciascuna della durata di un paio di minuti o poco più. Ogni filmato era una piccola storia compiuta, recitata da attori – tutti gli attori e i personaggi televisivi del momento furono protagonisti delle storie di “Carosello” – oppure da cartoni animati, pupazzetti in plastilina o altri personaggi realizzati con tecniche innovative e sempre diverse. L’articolo pubblicizzato veniva nominato soltanto nel codino finale di trenta secondi.
“Carosello” ha accompagnato per mano l’Italia rurale verso la nuova dimensione sociale ed economica di un Paese industrializzato, verso il dorato mondo del consumismo. Ha guidato i suoi spettatori nella scelta di beni, oggetti, accessori – dai saponi agli elettrodomestici, alle automobili, ai liquori, alle bibite, all’abbigliamento, ai gelati – che avevano il gusto della novità, dell’innovazione, di un inedito, agognato benessere finalmente a portata di mano.

E nel fare questo, servendosi dei migliori talenti del cinema e dello spettacolo italiano – attori, registi, sceneggiatori, tecnici, disegnatori, compositori –, ha inventato slogan, frasi, battute entrati nel linguaggio comune e diventati modi di dire tuttora diffusi, quindi sopravvissuti anche, e ben oltre, alla sua scomparsa.
Non solo, “Carosello” ha costruito negli anni una specie di universo musicale con jingle, canzoni e ritornelli memorabili, molti dei quali ideati e composti da Franco Godi.
Se facessimo una rapida carrellata di personaggi entrati nell’immaginario collettivo, dovremmo pensare subito a Caballero e Carmencita: “Dov’è, dov’è, dov’è la donna?”; a Calimero: “Tutti ce l’hanno con me perché sono piccolo e nero... è un’ingiustizia però”; agli abitanti del pianeta Papalla; a Pippo l’ippopotamo azzurro dei pannolini; al Gigante buono che veniva a risolvere i guai causati dalle malefatte di Jo Condor: “E che? Ci ho scritto Jo Condor?!”, “Gigante, pensaci tu!”. Allora il gigante afferrava Jo Condor con due dei suoi ditoni e lo faceva precipitare mentre il volatile gridava: “Ma mi lasci! Non ho la mutua! Non ho il paracadute!”; la Linea, geniale simbolo comunicativo di una marca di caffettiere che pareva interrogarsi sul mondo con il suo tenero, indecifrabile farfugliare; il frate Cimabue “Cimabue, Cimabue fai una cosa e ne sbagli due!” che pubblicizzava l’amaro Dom Bairo, “l’Uvamaro”; Gringo, “Gringooo, Gringooo!”, il pistolero della carne in scatola, col poncho, somigliante al Clint Eastwood di Sergio Leone che terminava le sue avventure al mezzogiorno di “cuoco” anziché di fuoco; El Dindondero: “L’è lì l’è là l’è là che l’aspettava, l’è là che aspettava Miguel!”, “Miguel son sempre mì”; lo sceriffo della Valle d’Argento: “Le stelle sono tante milioni di milioni...”. E poi “La pancia non c’è più” con il grande Mimmo Craig; “Chiamami sarò la tua birra” con la biondona di turno (all’epoca un’incantevole Solvi Stubing) e il simpatico Francesco Mulè; gli sketch di Ciccio e Franco nei panni di Evaristo e Casimiro. Ninetto Davoli fornaio in bicicletta che canta le canzoni “alla Giggetto”, motivi popolari urlati e stonati nell’alba di una Roma deserta; il “Si re si re si mi si mi si fa si fa sol fa sol mi re re” che impreziosiva la pubblicità di una compagnia d’assicurazioni. I tormentoni delle caramelle al miele: “Bella, dolce e cara mammina, la più bella mammina...”.
E ancora, le storielle cantate delle arance Birichin: “Battista il ciclista sapete cosa fa? Lui dà la caccia ai topi e invece il vecchio gatto sapete cosa fa? Pedala e se ne va... Ma che paese straordinario è il paese dell’incontrario, dove sia non si sa!”, con la bambina a rispondere sempre: “Io lo so, ma non lo dico...”; le avventure della Maria Rosa del lievito: “Brava! Brava! Maria Rosa ogni cosa sai far tu! Qui la vita è sempre rosa solo quando ci sei tu”; i bambini che saltavano sul letto: “Bidibodibu... bidibodighé”; “Basta la parola” del confetto lassativo. “Ti spunta un fiore in bocca” del dentifricio. “Contro il logorio della vita moderna” del povero Ernesto Calindri che rischiava di essere investito da un esercito d’automobili mentre sorseggiava l’amaro ai carciofi seduto a un tavolino nel bel mezzo di un trafficatissimo incrocio; l’irresistibile “Pitu pitum paah” di Susanna tutta panna; “Noo, non esiste sporco impossibile” dell’uomo in ammollo che stava nella vasca tutto vestito; il cavallo bianco che corre sulla spiaggia; Nino Castelnuovo che usa l’olio di semi e salta la staccionata come un grillo. Il “Gruppo vacanze Piemonte! Si parte!” gridato da Nicola Arigliano in veste di guida turistica.
Ecco: sono solo alcuni fotogrammi, solo alcune voci dello scrigno dorato che fu “Carosello” e di cui ciascuno di noi ha ricordi personalissimi.
Tutti noi, però, quelli che nei vent’anni di programmazione di “Carosello” erano bambini, siamo accomunati da un ricordo che ci rende fratelli e che si sintetizza in poche parole: “A letto dopo ‘Carosello’”. Era quello l’estremo limite della serata, le colonne d’Ercole oltre le quali si spalancava l’ignoto riservato ai più grandi. I più piccoli, quasi dieci dei venti milioni di spettatori che seguivano il programma ogni sera, dopo quel breve, piccolo show, andavano a nanna, con o senza capricci.
E pensare che all’epoca in molti lanciavano strali sugli effetti diseducativi delle pubblicità di “Carosello” e molti espressero la loro soddisfazione il giorno in cui chiuse i battenti. Ignoravano, lor signori, che “Carosello” avrebbe lasciato il suo spazio – anzi molto, ma molto di più – alle dilaganti pubblicità che nel giro di pochi anni avrebbero fatto letteralmente a pezzi il palinsesto televisivo infilandosi in tutte le sue maglie, in maniera così ossessiva da creare quasi fastidio. “Carosello”, invece, era amato. Oggi quando c’è la pubblicità cambiamo canale alla svelta. Quando c’era “Carosello”, invece...
Carte da gioco della BP
Verso la fine degli anni Sessanta il distributore della BP regalava ai clienti più affezionati il cosiddetto “gioco delle vacanze”. Si trattava di un mazzo di carte composto da trentasei carte, contenuto nell’apposita scatolina. Il mazzo era diviso in due serie da diciotto carte con soggetti identici (la mucca, il cane, il gatto, il contadino, il castello eccetera) di colore diverso, serie gialla e serie verde. Si giocava in due o più. Il meccanismo era lo stesso di un qualsiasi memory: si stendevano sul tavolo le carte coperte e, rivoltandone una gialla e una verde, bisognava trovare la coppia di soggetti identici. Si usavano fino a logorarle, ore e ore con le nonne, i cugini o gli amichetti, nelle interminabili giornate estive di una volta.
Cartella scolastica
Negli anni Sessanta e Settanta i bambini delle elementari andavano a scuola con la cartella. Era di pelle, spesso decorata con inserti, specie frontali, di pelo di cavallino. Poteva anche essere interamente di pelo di cavallino, in genere pezzato bianco e marrone. Aveva due fibbie o chiusure a scatto, oppure una chiusura centrale. Si trasportava grazie a una maniglia, anch’essa di pelle, ancorata alla sommità. Più rare erano le cartelle con le bretelle, da portare sulle spalle. Si comprava nuova per l’esordio in prima elementare e durava, meglio, doveva durare fino alla quinta. Ci arrivava, magari, ma era l’ombra di se stessa, con il pelo di cavallino affetto da evidente alopecia, le fibbie che non chiudevano più e qualche strappo o scucitura qua e là.
Era semplice, non riportava figure, personaggi, marchi, griffe o quant’altro. Tutto questo avrebbe invaso le classi solo qualche anno più tardi facendo dello zainetto un oggetto di culto tra i ragazzini di tutte le età. Lo zainetto, acquistato a peso d’oro dai malcapitati genitori, con tutta la fila di accessori griffati, diario, astuccio e compagnia bella, avrebbe presto mandato nel dimenticatoio la vecchia cartella.
Cestino per la merenda
Il cestino per la merenda era in dotazione ai bambini dell’asilo. In genere si trattava di un bauletto rettangolare, di paglia o vimini intrecciato con coperchio sulla sommità del quale si trovava un manico di legno o di pelle. In pelle erano pure le fibbie, in genere due – ma esisteva anche il modello con un’unica fibbia centrale –, che si assicuravano sul davanti con apposite chiusurine girevoli in metallo o in ottone. Di solito era del colore naturale del vimini, ma esisteva la versione colorata, meglio ancora rosa per le bambine e azzurro per i maschietti, con il manico bianco a conferire un tocco di eleganza.
In quel bauletto la mamma ogni mattina, dico ogni mattina, riponeva il ben di Dio della merenda. Dicevasi merenda ma in realtà era un pranzo: panini al prosciutto o con mozzarella e pomodoro, frittata di zucchine o frittata di pasta, e poi fetta di torta o di crostata, succo di frutta in bottiglietta di vetro. A volte ci infilava una piccola gavetta di metallo con la pasta al sugo che così si manteneva calda. Chissà come facevano le mamme ad avere tutto quel tempo per preparare le merende a uno o più figli la mattina presto? E chissà come facevamo a spazzolarci quel po’ po’ di merende senza diventare tutti obesi.
Quando trotterellavi verso la scuola, dal cestino si spandeva una scia di profumo che attirava i cani. E quando aprivi il coperchio ti investiva una fragranza che metteva il buonumore e faceva venire l’acquolina in bocca alle maestre.
Certo, per metterci dentro la merendina confezionata, oggi il cestino è veramente superfluo, basta una tasca dello zainetto... firmato!

Chiodo
Il chiodo non è solo quello da prendere a martellate sul muro per appenderci un quadro, ma era anche il termine per indicare un giubbotto di pelle, rigorosamente nero, molto in voga a partire dagli anni Cinquanta.
Malgrado fosse nato nel 1928, la sua corsa verso il successo inizia nel 1953 grazie a Marlon Brando che lo indossa nel film cult Il selvaggio. Da quel momento il suo chiodo, con tanto di nome – Johnny – ricamato sul cuore e il famoso stemma con il teschio e i pistoni incrociati verniciato sulla schiena, verrà associato alla motocicletta. Il mito si rafforzerà poi negli anni Settanta, quando lo indosseranno Fonzie in “Happy Days” e John Travolta in Grease.
Il “duro” italiano lo indossava anche senza possedere una moto, aiutandosi proprio col giubbotto e qualche altro accessorio a darsi un tono da “uomo che non deve chiedere mai”. Quindi lo sfoggiava sopra la T-shirt preferibilmente bianca e un paio di jeans. Pare che così piacesse alle ragazze, le quali ambivano, mostrandosi freddolose, a farsene cingere le spalle dal proprio cavaliere che, specie in inverno, rimaneva in maglietta esposto alle intemperie e tornava a casa con la bronchite o il colpo della strega, maledicendo il freddo, le ragazze e pure il chiodo.
Chissà chi lo sa
“Squillino le trombe, entrino le squadre!” così dava inizio a “Chissà chi lo sa?”, il primo, mitico telequiz per ragazzi, il grande Febo Conti. Signore distinto, magro, fronte alta, naso regolare ma importante, portava gli occhiali, sfoderava un sorriso educato, era pacato e diceva le cose appropriate, quelle che era necessario dire. Con sé aveva sempre una cartellina con un grosso punto interrogativo nero su fondo bianco dalla grafica elementare. Febo era il professore che tutti i ragazzi d’Italia avrebbero voluto avere e nella sua...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Cosa resterà dei migliori anni
- Dello stesso autore
- Introduzione
- 45 giri
- 90° minuto
- 500
- 600
- Adesivi
- Aerobica
- Alto gradimento
- Audiocassetta
- Austerity
- Autoradio
- Autostop
- Battipanni
- Belfagor
- Benzina: normale o super?
- Bicchiere telescopico
- Biglie di plastica
- Bigliettaio sull’autobus
- Borsello
- Boxer
- Cabina telefonica
- Cambiale
- Camperos o Frye
- Cantagiro
- Carosello
- Carte da gioco della BP
- Cartella scolastica
- Cestino per la merenda
- Chiodo
- Chissà chi lo sa
- Ciao, Boxer, Sì
- Cicogna
- Cinghia per i libri
- Citofono
- Coccoina
- Collegio
- Colonia estiva
- Commodore 64
- Concilia?
- Contenitore piramidale per il latte
- Corrente elettrica a 125 volt
- Corriere dei Piccoli
- Cortile
- Cubo di Rubik
- Cuffie da bagno con i fiori
- Das
- Dediche alla radio
- Diapositive
- Diario
- Diario scolastico
- Differita di una partita di calcio
- Dolce Forno
- Due Cavalli
- Duplex
- Eskimo
- Espadrillas
- Falò
- Fantasma formaggino
- La febbre del sabato sera
- Feste in casa
- Figli dei fiori
- Flipper
- Formaggini
- Fotoromanzi
- Furia cavallo del West
- Fustino di detersivo
- Geloso
- Gettone telefonico
- Ginocchia sbucciate
- Giocagiò
- Giochi all’aria aperta
- Gioco della bottiglia
- Going
- Goldrake, Jeeg Robot, Mazinga
- Gommapane
- Gomme da masticare
- Graziella
- Happy Days
- Idrolitina
- Imitazioni
- Intervallo
- Intrepido e Il Monello
- Juke-box
- Lettera 32
- Loden
- Lucchetto al telefono
- Mangiadischi
- Manuale delle Giovani Marmotte
- Matusa
- Mettersi insieme
- Mille lire
- Miniassegni
- Minigonna
- Miscela
- Mondiali del ’70
- Monoscopio
- Montgomery
- Occhiali a raggi X
- Oggi le comiche
- Ora esatta
- Palla canguro
- Palline Clic Clac
- Paninaro
- Pantaloni a zampa d’elefante
- Penitenza
- Pinguino
- Pista Polistil
- Pizzaballa
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- Posti in piedi al cinema
- Prinz
- Prove tecniche di trasmissione a colori
- I Quindici
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