Dino Buzzati al Giro d'Italia
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Dino Buzzati al Giro d'Italia

  1. 196 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Dino Buzzati al Giro d'Italia

Informazioni su questo libro

Inviato del "Corriere della Sera" a seguire il 32° Giro d'Italia (estate 1949), Buzzati scrisse i venticinque articoli presentati in questo volume. Un resoconto sportivo d'eccezione che si legge come un appassionante racconto a puntate.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804427148
eBook ISBN
9788852043505

Dino Buzzati
al
Giro d’Italia

Notte sul transatlantico
del “travet” delle strade

DA BORDO DEL Saturnia IN NAVIGAZIONE
17 MAGGIO, notte.
Apriamo la porta della cabina N. 223, seconda classe turistica. Buio, e il sussurro musicale di un ventilatore. Qui ci sono Lucien Buysse, Roger Missine, Jef Van der Helst, Giuseppe Cerami, corridori ciclisti. Dormono.
Apriamo la porta della cabina N. 234. Buio anche qui. È il posto di Albert Dubuisson e di Jean Lesage. Anch’essi addormentati. E di qua e di là, dietro le bianche porte del lungo deserto corridoio, gli altri, Kubler, Logli, Monari, Valenta, Conte, Crippa, eccetera. Li porta, col suo sommesso ronfare di motori, attraverso la notte del Tirreno, il bastimento stupendo di lumi che i pescatori, dalle loro piccole barche, devono scorgere anche da lontanissimo come un miraggio e benché sappiano cos’è fanno segno e si chiamano l’un l’altro quasi stentando a credere.
Buysse, Missine, Van der Helst, Cerami, eccetera, nomi famosi e no. Si sbarcherà domattina a Napoli, in serata partenza con un’altra nave. Dopodomani, sbarco a Palermo. Ancora un giorno e poi tutti saliranno in sella, punteranno i piedi sui pedali e via al galoppo a denti stretti, per la grande avventura. Ma come devono essere facili stanotte i sogni sulla grande nave illuminata.
Da Genova, con questo paradossale debutto marinaro, è cominciato infatti questa mattina il trentaduesimo Giro ciclistico d’Italia. Ce n’è soltanto un pezzetto, del Giro, a bordo del Saturnia. Direttori sportivi, dirigenti tecnici, meccanici, massaggiatori e così via. Di ciclisti veri e propri, 23. Coppi per esempio non c’è, Bartali non c’è. Molti, non avendo mai navigato, e specialmente quelli di razza campagnola, hanno creduto ciecamente alle paurose favole sul mal di mare e stanno discendendo giù per la Penisola coi vecchi treni. Molti si uniranno ai navigatori domani, partendo da Napoli. Ma, storicamente, il romanzo del Giro è cominciato proprio stamane nel momento che lo scalandrone è stato ritirato dal fianco del transatlantico e si sono mollati gli ormeggi.
Dovremmo ora rinunciare al paragone così istintivo coi Mille di Quarto? Troppo banale forse? Nemmeno per idea. Non ci rinunciamo assolutamente né adesso né in eventuali prossime occasioni, se si presenteranno. Sarebbe anche tradire la verità. Perché in chi ha inventato questo start senza precedenti è impossibile che non abbia giocato il ricordo del Leone di Caprera. E anche ammesso che nessuno degli organizzatori vi abbia coscientemente pensato, allora vuol dire che, inconsapevoli, essi hanno rifatto tale e quale, a scopo velocipedistico, anziché militare, il ragionamento fatto novant’anni fa da Garibaldi. C’è forse una specie di strategia peninsulare che si rinnova come soluzione obbligata per chi si è messo in mente di conquistare l’Italia? E che non ammette scarti dal solco tradizionale neppure quando l’invasione si fa con le biciclette?
Non vegliano però stanotte gli eroi della imminente avventura come vegliarono le vedette garibaldine sulle coffe del Piemonte e del Lombardo. Dormono i campioni, assaporando la dolcezza di questa notte così agiata e signorile, cullati dalle cento voci della nave che nelle ore alte si mettono a narrare meravigliose storie di oceani, balene, grattacieli, amori esotici, città lontane dai nomi troppo difficili da pronunciare.
Domani si incontrerà la Strada, la grande nemica, lunga e diritta a perdifiato che finisce in niente all’orizzonte o tortuosa ed erta come rupe che leva il fiato alla sola vista, fatta di sassi, o di polvere, o di fango, o di bitume, o di sconvolte buche: lo sterminato nastro che bisognerà inghiottire a poco a poco. Ma stanotte c’è solo il vialone immenso del mare, che non ha buche né paracarri né salite, un soffice tappeto, così sembra, che la prora della nave taglia con spaventosa facilità come fosse seta, senza bisogno che i polpacci la spingano a colpi di pedale.
Domani ci sarà il sudore, i crampi, le ginocchia che dolgono, il cuore che viene in gola, l’imbastitura, la sete, le maledizioni, le forature, il tracollo dell’animo e del corpo, quel senso di amaro in bocca quando gli altri, i bravi, fuggono via, sparendo in un turbine di evviva. Ma stanotte, nella cuccetta morbida, i muscoli si distendono placati: sono giovani, elastici, stanotte, straordinari, irresistibili, gonfi di vittorie.
Domani ci saranno gli ordini spietati di scuderia, bisognerà adattarsi a tirare il “capitano” che non se la sente, a trascinarlo su per le salite come un sacco, buttando via così senza alcun frutto il meglio delle proprie forze, proprio oggi che lui, gregario, meditava una fuga solitaria. Ma stanotte non ci sono ordini di scuderia, né disciplina di squadra, né sudditanze. Anche l’infimo dei poulains stanotte è come un Napoleone. E sogna.
Sogna il piccolo fantaccino delle strade che mai ha udito le folle urlare il proprio nome e mai è stato sollevato sulle spalle da una turba frenetica per il trionfo. Egli sogna ciò che tutti gli uomini una volta o l’altra hanno l’assoluto bisogno di fantasticare altrimenti la vita è troppa magra. Il “suo” Giro d’Italia, sogna, la formidabile rivincita. Fin dalla prima tappa, si capisce. A 106 chilometri da Palermo, là dove la strada comincia a inerpicarsi rudemente verso i mille e più metri del Colle del Contrasto, ecco dalla truppa rombante dei corridori, compatta ancora come un branco di bufali, balzare fuori lui, il gregario, l’ignoto, il cui nome mai è stato scritto dai bambini col gesso bianco, né per abbasso né per viva, sui muri della periferia. Da solo si lancia su per l’erta come impazzito. E gli altri non gli badano neppure. Che idiota, dice qualcuno che la sa lunga, proprio il modo migliore per fregarti; tra cinque minuti sarai scoppiato, a dartela lunga. Ma lui vola. Portato da un impeto soprannaturale, macina tourniquets su tourniquets come se, invece di salire, precipitasse giù da qualche Stelvio. Gli altri, di dietro, non si vedono ormai più. La gente ai lati grida bravo Bartali ma lui fa segno di no per far capire di essere un altro. Chi è dunque? Nessuno lo conosce. Per identificarlo bisogna controllare il suo numero con la tabella stampata sul giornale. E un panico attraversa la Sicilia.
Quando la smetterà il disgraziato? Lo scherzo finisce per essere irritante. Ormai è troppo. Diamogli una lezione a quel mattoide. Le schiene degli assi si inarcano. Sì, è Coppi in persona che somministrerà la punizione. Bartali naturalmente gli è alle costole. Quello che sembrava un diversivo si muta in battaglia gigantesca. Ma lui, lo sconosciuto, l’ultimo degli ultimi, ha messo le ali. Venti minuti di vantaggio, venticinque, trenta. Che sono al suo confronto i campionissimi? Che sono Fausto e Gino? Dei poveri bruchi sono, che arrancano sulla sua scia, ma lontani lontani, perdendo minuti su minuti.
Ecco Catania, finalmente. La voce del miracolo è stata ancora più rapida di lui e l’ha preceduto scatenando un delirio di folla, di bandiere, di applausi, di fiori, di baci, di fanfare. I cronometristi, gli occhi sbarrati, scrutano la strada donde egli è piombato come una freccia, strada libera, desertissima, incredibilmente vuota. E intanto le lancette corrono e non si vede ancora comparir nessuno. Quarantasette minuti, quarantotto, cinquantacinque, sessanta! Un’ora e cinque passano prima che dal fondo si vedano sbucar gli inseguitori. E la folla li sta a guardare muta.
Come è facile sognare, questa notte, sulla grande nave illuminata. Perché accontentarsi di una tappa? Perché non portare il vantaggio a un paio d’ore? E perché non prolungare il miracolo fino all’ultimo traguardo? Media del giro, 44 all’ora. Un giorno e mezzo di distacco dal secondo. Coppi demente, Bartali chiuso in un convento. Tanto, cosa costa? Arrovesciato sulla cuccetta, sorride, vittorioso e vendicato, colui che mai arriverà per primo, il “travet” delle strade, lo schiavo fedele, l’umilissimo.
Ma può darsi che no. Può darsi che anche queste fantasie gli siano proibite; e anche nel sonno resti povero gregario; che egli semplicemente dorma, può darsi, con l’abbandono di una bestia, stanco della lunga strada fatta, stanchissimo di quella ancor da fare. Perché egli sa di non avere speranze. E allora è meglio che semplicemente dorma, dormire e basta: e che non sogni niente.

Due vocali inseguono i ciclisti
in allenamento sul Golfo

DA BORDO DELLA Città di Tunisi IN NAVIGAZIONE
18 MAGGIO, notte.
Una piccola folla, piccola a dir la verità, era ai cosiddetti cancelli (ma i cancelli non ci sono più) della stazione marittima di Napoli alle sette e mezzo di questa mattina. Giovanotti in cattivo e medio arnese, un vecchietto ben vestito, una decina di scugnizzi abbastanza in ordine (ma si chiamano ancora così?). C’era anche un paio di ragazze. Che cosa li aveva svegliati a un’ora tanto inedita? L’arrivo della Saturnia, era presumibile, perché in quel mentre la splendida motonave stava solennemente affiancandosi al molo Beverello. Ma chi in particolare doveva scendere dal bastimento? I giovanotti, il vecchietto, gli scugnizzi, le due ragazze ancora un po’ sonnolenti, non si manifestavano. Ed è difficile a Napoli definire la gente a prima vista. Poi si capì che erano venuti per dare il benvenuto ai corridori del Giro d’Italia. Lo si capì, quando, scesi da bordo, i ciclisti avanzarono sul vasto piazzale che c’è dietro al molo.
Al flaccido sole (era un mattino caliginoso, con una tetra nuvola sospesa sopra San Martino) scintillarono vivacemente le cromature delle biciclette. Poi si videro le caratteristiche maglie, per lo più azzurre. I campioni erano in tenuta da corsa, come se la partenza per il Giro fosse stata là, a due passi, in piazza Municipio.
Sbarcati di buon mattino, potevano aspettare fino a sera per salire a bordo della Città di Tunisi che in questo momento li sta portando verso la Sicilia. Un’intera giornata disponibile. Dodici ore preziose per delle gambe che sabato dovranno intraprendere una delle più mastodontiche fatiche che gli uomini abbiano escogitato. Guai partire a freddo. Pochi giorni di stasi bastano a intorpidire i muscoli, anche dopo coscienziosi allenamenti. I polpacci diventano di legno. Benedetta dunque questa giornata libera per una sgranchita: cento e centocinquanta e forse più chilometri di passeggiata, a trentacinque orari, sulla strada del golfo, verso Sorrento e Amalfi.
La piccola folla si agita. Sono affettuosamente intenzionati, scarsi però di fresche informazioni. Bartali?, domandano. E Coppi? Non c’è Coppi? Nella confusione, si può ammettere, è facile sbagliarsi. Da lontano Crippa benché un po’ troppo alto, può anche essere scambiato, con qualche buona volontà, per il campionissimo di Castellania. A sostenere la identificazione apocrifa è il vecchietto; il quale si intestardisce e ammicca festosamente al presunto idolo, agitando in alto un bastoncello. Ma i corridori tirano via, cercano di districarsi senza tanti complimenti dall’entusiasta turba. Non è che si diano arie. Sono fatti così, seri e in certo modo preoccupati. Forse si aspettavano di più? Attraversano la ressa con quel fare staccato e indifferente che è il miglior modo per eccitare ancor più la curiosità e la sottomissione dei tifosi. Viva Gino! grida qualcuno. Applausi rispondono qua e là. Ma i corridori tirano via, tenendo sollevate le loro lucenti macchine così smilze e leggere. Non sorridono, non danno confidenza. Forse sono proprio gli evviva a Coppi e a Bartali a ferirli, senza che neppure se ne rendano bene conto. Quegli evviva servono a ricordare le differenze. E loro, i gregari, i giovani ancora sconosciuti, i Monari, i Nannini, i Marangoni, i Brignole, i Benso, sanno fin troppo esattamente che queste differenze esistono. È facile naturalmente illudersi, ma c’è pure un limite: cronometri e ordini di arrivo parlano chiaro. Le differenze esistono. Ma che bisogno c’è di ricordarlo? Coppi non c’è, verrà giù in treno. Neanche Bartali ha preso il bastimento. Non avete ancora visto che i vostri due beniamini non ci sono?
I tifosi, però, in un certo senso sono buoni, estremamente buoni, si accontentano anche di poco. In mancanza dei massimi cannoni, bastano i medi; persino i piccoli calibri sono sufficienti. Gli sportivi non sono schizzinosi. Quando hanno ben capito che i due giganti supremi non ci sono, continuano a fare festa lo stesso. Bravo Cerami! grida uno dei pochissimi bene informati, alludendo alla personalità più brillante della squadra Ganna. Lo ha riconosciuto da una fotografia di giornale. Ma Cerami è un italobelga: si pronuncia Seramì, e non si accorge di essere chiamato. Bravo Kublerre! grida un altro di cuore generoso. Forse che lo svizzero Kubler gli stia a cuore? Nemmeno per sogno. Ma ha saputo che era sulla Saturnia, ne conosceva press’a poco il nome e gli è parso gentile festeggiarlo. Bisogna pure spendere l’entusiasmo immagazzinato per i due grandi, non si può mica riportarlo a casa tale e quale dopo una levataccia simile. Bravo Kublerre, dunque. Ma neanche Kubler c’è, all’ultimo momento non si è imbarcato, andrà a Palermo in treno; e anche se ci fosse probabilmente non si volterebbe a sentirsi pronunciare così male.
Svincolatisi finalmente dalla folla i corridori si preparano a partire. Tutti gli sono intorno. No, no – vorrebbero dire gli scugnizzi, i giovanotti in cattivo e medio arnese, le due ragazze (solo il vecchietto se ne è andato deluso, roteando sdegnosamente il bastoncello) – è proprio voi che festeggiamo. Non Bartali, non Coppi, voi. Se si è gridato Bartali e Coppi è stato per motivi di etichetta, ma non ce ne importa un fico. Proprio a voi, giovanotti di avvenire, noi vogliamo bene. A te Conte, e anche a te Crippa e anche a te Cerami che tutti dicono in gamba, anche se pronunciato alla francese. Non sono eroi anche questi, dopo tutto? Gli applausi, per tacito consentimento, si fanno più nutriti e più cordiali. C’è uno che perfino esagera: Abbasso Bartali, grida, sperando di riuscire gradito.
Ma i corridori restano seri e muti, chiusi in se stessi, quasi accigliati, per misteriosa offesa. Infilano il piede destro nella pedivella, staccano anche il sinistro da terra, si avviano, stirandosi dinoccolati su per piazza Municipio. Già sono all’angolo di via De Pretis, sono spariti. Allora i tifosi si sciolgono finalmente imbarazzati, si danno un’aria indifferente, accendono la sigaretta, sbadigliano. Si trovavano là per puro caso.
Intanto i corridori vanno. Il Rettifilo è già alle loro spalle. Duramente pedalano sulla strada di Castellammare. Ed ecco qualche finestra aprirsi, qualche sagoma di ragazzo sbucare in volo dalle porte e accorrere sul bordo della via. Arrivano in ritardo, quando col suo fruscio metallico e sonante il drappello è già lontano. Eppure sulla loro scia i routiers odono un incalzar di grida. Sono voci informi, richiami vocali e basta. Ma sempre due vocali, sempre gli stessi ossessionanti: Aaa! Ooo! Bartali! Coppi!, urlano, tirando a indovinare gli improvvisati tifosi fuori porta. E i corridori rabbiosi pedalano a quaranta, quarantuno all’ora, strappano via per sottrarsi agli ingrati suoni. Inutilmente. Più forte vanno, più fulminee li tallonano le grida, più facile e frequente l’equivoco. Aah! Ooh! Niente altro, come un’eco maligna che mai si potrà stancare. Il sole è già alto, fa caldo. Curvi nello sforzo i giovani campioni hanno il volto duro e scottante. A precipizio fuggono. Dai campi, dalle scure bocche delle case, dalle cunette, sempre i due maledetti suoni. La gloria altrui, quella. E la loro?

Correre è meraviglioso

PALERMO 19 MAGGIO, notte.
Per un complesso di circostanze probabilmente legate ai capricci del destino e che sarebbe ormai vano recriminare, colui che scrive oggi, cronista al seguito del Giro d’Italia, non ha mai visto una corsa ciclistica su strada.
Parecchie cose, non moltissime, chi scrive ha visto correre, in un modo o nell’altro sopra la superficie del mare e della terra; mai però i grandi ciclisti in gara sotto il sole, con il numero attaccato alla schiena, i tubolari a tracolla e la faccia ingessata di polvere. Ha visto, per esempio, correre i bambini in ritardo verso la scuola, le saette del temporale attraverso il cielo, la gente in direzione dei rifugi antiaerei quando ululavano le sirene. Anche un ladro una volta ho visto correre, volava addirittura perché lo inseguivano, in via Andrea Del Sarto a Milano; e poi lo raggiunsero e lo pestarono, ma non potrei garantirlo perché tutto successe in fondo alla strada e c’era una grande confusione. Ho visto correre gli struzzi come schioppettate nel deserto d’Africa; correre attraverso la notte con molli e affascinanti curve i proiettili delle navi nemiche col loro lumino rosso e qualcuno propriamente rimbalzava sull’acqua come un piattello, schizzando via impazzito. Ho visto correre i celeri treni all’approssimarsi del crepuscolo, coi loro finestrini già illuminati e i sogni e le fantasie pertinenti attraverso la campagna solitaria; ed erano bellissimi.
Ho visto correre sulla via Aurelia, tanti anni fa, un ciclista in maglietta che si allenava e uno disse che era Girardengo, ma io credo di no, perché non gli assomigliava. Ho visto anche la staffetta di Carlo il Temerario correre ventre a terra per le selve, portando all’ultimo momento la grazia al suo fedele scudiero creduto per calunnia traditore e a cui il boia stava per spiccare la bionda testa; ma questo succedeva al cinematografo e forse non era tutto vero. Ho visto coi miei occhi correre poco prima dell’alba sopra i tetti di Milano, un paio di dischi volanti; i quali erano di color rosso e amabili all’aspetto; tuttavia nessuno mi ha voluto credere. Ho visto correre il tempo, ahimè, quanti anni e mesi e giorni, in mezzo a noi uomini, cambiandoci la faccia a poco a poco; e la sua velocità spaventosa, benché non cronometrata, presumo sia molto più alta di qualsiasi media totalizzata da qualsiasi corridore in bicicletta, in auto o in aeroplano-razzo da che mondo è mondo. Ho corso anch’io infine da ragazzo a cavallo di una bicicletta a cui avevo tolto i parafanghi perché assomigliasse un poco a quelle dei campioni; e mi ricordo che una sera tallonai per ben due interi giri del Parco la ruota, giuro, di Alfonsina Strada, che alla fine mi fece scoppiare lasciandomi scornato; tanto più che, lei saettando via, fui abbrancato da un vigile urbano per la multa (eccesso di velocità: e a quei tempi ammontava alla enormità di lire venti). Parecchie cose ho visto dunque correre; mai però i giganti della strada in regolare corsa approvata dai superiori enti velocipedistici. E questo certo è un danno per un cronista che si accinge a registrare un’epopea come il Giro ciclistico d’Italia.
Di questa mia lacuna approfittano, non so se per bontà o malizia, i compagni di viaggio che ai Giri hanno fatto il callo. E poiché il Giro, in certo modo, è già cominciato dall’altro ieri a Genova, donde una parte della carovana e dei ciclisti si è trasferita, via mare, a Napoli e di qui a Palermo (curioso particolare di cronaca: ieri sera, al largo di Capri, Serse Coppi ha dovuto sdraiarsi d’urgenza in cuccetta per un principio di malessere e anche Fausto non sembrava a suo completo agio, benché il Città di Tunisi sembrasse per immobilità una rupe massiccia di basalto), per tale ragione insomma c’è stato tutto il tempo perché i vecchi lupi del Giro, i pozzi di scienza, mi erudissero, scambiandosi continuamente allusioni, per me umilianti, all’anno che, ti ricordi?, Camusso forò sul Ghisallo e Pelissier piantò all’arrivo una lite impiccata con Antonino Magne. Chi mi andava terrorizzando, chi mi faceva intravedere nelle 19 tappe una serie di riposanti paradisi. Me ne hanno raccontate tante che in tutti i casi, sia che il Giro risulti una kermesse in costume o un supplizio o un gigantesco affare o un poema lirico o una commedia o una selvaggia guerra, in ogni caso almeno uno di loro, veterani che mi catechizzano, avrà sempre ragione.
Uno dice che il Giro è un ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. di Dino Buzzati
  3. Dino Buzzati al Giro d'Italia
  4. Prefazione di Claudio Marabini
  5. Nota
  6. Bibliografia
  7. DINO BUZZATI AL GIRO D’ITALIA
  8. Appendice
  9. Copyright