«Pen Ohmsford!» Una figura avvolta in un mantello nero lo chiamò dall’altra sponda dell’abisso che separava l’isola del Tanequil dal resto del mondo. «Aspettavamo solo te!»
Era un druido. Venne avanti di qualche passo, poi abbassò il cappuccio rivelando un viso dai lineamenti forti e dalla pelle scura. Pen non l’aveva mai visto.
«Attraversa il ponte, così potremo parlare» continuò il druido.
La luce del fuoco proiettava l’ombra del nuovo venuto sull’arcata di pietra: una macchia scura che si allungava nell’abisso come un inconfondibile presagio di minaccia. Pen rimpianse di essere uscito così in fretta dagli alberi, di non essere stato più cauto. Ma aveva creduto di essere ormai fuori pericolo. Era sopravvissuto all’incontro con il Tanequil e aveva ricevuto in dono lo Scettro Nero, il talismano che gli avrebbe permesso di entrare nel Divieto. Per procurarselo aveva dovuto rinunciare a due dita, ma si era convinto che era stato un prezzo basso. La perdita di Cinnaminson gli era costata molto di più, ma aveva accettato di non poter fare nulla, per ora. Sarebbe tornato a cercarla, si era ripromesso, dopo aver salvato la zia. Era anche riuscito a sfuggire al mostro che li aveva inseguiti per tutta la strada, fin da Anatcherae, e dopo aver visto com’era stato catturato e distrutto dalla creatura che abitava nell’abisso era certo della sua morte.
Ma adesso quel nuovo pericolo.
Serrò protettivamente le dita sullo Scettro Nero e studiò la faccia dei Troll prigionieri. C’erano tutti, notò. Non ne mancava nessuno. E nessuno mostrava segni di ferite. Dovevano essere stati colti completamente di sorpresa, visto che non avevano opposto resistenza. Si chiese come potesse essere successo, e anche come i Druidi fossero riusciti a trovarli, ma era inutile cercare risposte.
Alcuni Troll avevano alzato la testa, compreso Kermadec. La sua faccia era stravolta per la collera e la frustrazione. Aveva deluso le aspettative di Pen. Tutti le avevano deluse. Il ragazzo vide che c’era anche Tagwen, seminascosto dietro i corpi massicci dei compagni.
Di Khyber nessuna traccia.
«Attraversa il ponte, Pen» ripeté il druido, con un tono non privo di gentilezza. «Non rendere le cose più difficili per te.»
«Penso che farei meglio a restare dove sono» rispose Pen.
Il druido annuì, come se lo capisse perfettamente. «Certo, puoi fare così, se preferisci. Ho letto l’avvertimento inciso sulla pietra, all’imboccatura del ponte, e non ho certo intenzione di venire a prenderti.» Fece una pausa, poi riprese: «Dimmi una cosa. Se è così pericoloso, come sei riuscito ad attraversarlo indenne?».
Pen non rispose.
«E poi, cosa ci fai laggiù? Cerchi di aiutare tua zia? Pensavi di trovarla sull’isola?»
Pen continuò a fissarlo in silenzio.
«Abbiamo i tuoi amici. Tutti. Lo vedi anche tu. Abbiamo i tuoi genitori, nella nostra prigione di Paranor.» Il suo tono era calmo, paziente. «Non ti è di nessuna utilità rimanere lì mentre tutte le persone cui sei affezionato sono qui con noi. Non puoi aiutare nessuno rifiutandoti di affrontare le tue responsabilità.»
“Le mie responsabilità” pensò Pen. Che ne sapeva, delle sue responsabilità, quel druido? E perché se ne interessava, se non per impedirgli di portare a buon fine la sua missione, quale che fosse?
Un secondo druido era intanto uscito dall’ombra e si era portato alla luce, fino a fermarsi accanto al primo. Era minuto e sottile, uno gnomo dall’aria di faina, con un’espressione di profonda astuzia. I suoi occhi corsero veloci dal compagno a Pen e poi di nuovo al compagno. Mormorò alcune parole e il primo druido gli lanciò un’occhiata incollerita.
«Come posso avere la certezza che quello che dici dei miei genitori non sia una menzogna?» chiese Pen, all’improvviso. Non era la prima volta che udiva quell’affermazione, ma si rifiutava ancora di crederci.
Il primo druido tornò a rivolgere su di lui la propria attenzione. «Be’, non puoi averla. Posso dirti che volavano su una nave chiamata Swift Sure quando li abbiamo portati nella Fortezza. Ci hanno aiutati a trovarti. Tuo padre era preoccupato per la scomparsa della sorella, ma era ancor più preoccupato per te. È stato così che ti abbiamo trovato, Pen.»
Il ragazzo si sentì raggelare. Fissò il druido senza riuscire a staccare gli occhi da lui. La spiegazione era perfettamente sensata. Con ogni probabilità suo padre li aveva aiutati senza rendersi ben conto di quello che faceva, convinto di fare la cosa giusta, e che loro fossero preoccupati quanto lui per la sorte di Grianne. Il Re del fiume Argento si era preso l’incarico di avvertire i suoi genitori delle trame dei Druidi, ma forse non era riuscito a mettersi in contatto con loro. E se non era stato avvertito, suo padre non avrebbe pensato a un loro tradimento. Perché avrebbe dovuto?
Pen si ravviò i capelli in disordine mentre cercava di valutare il da farsi.
«Mettiamo la cosa in un modo diverso» continuò il druido più alto passando davanti all’altro. «Il mio compagno è meno paziente di me, anche se nemmeno lui si è offerto di attraversare il ponte. Ma quando sarà mattino, saliremo su una nave, scenderemo sull’isola e in un modo o nell’altro ti prenderemo. Non ci sono molti posti dove ti puoi nascondere. Tutto questo è solo una gran perdita di tempo, visto che alla fine il risultato sarà sempre lo stesso.»
Pen sospettava che fosse la verità. Ma la sua libertà, per quanto destinata a finire, era il solo mezzo di scambio che possedeva. «Libererete i miei amici se accetterò di passare il ponte?»
Il druido annuì. «Sulla mia parola. Tutti. Ci servono solo a convincerti a venire con noi. Una volta che tu sarai da questa parte, saranno liberi di andarsene.»
«E i miei genitori?»
Il druido annuì. «Quando tu sarai a Paranor, potranno andarsene anche loro. Anzi, una volta che tu ci avrai detto quello che vogliamo sapere, cioè lo scopo per cui sei venuto qui, potrai andartene anche tu.»
Il druido mentiva. Faceva sembrare tutto credibile, la scelta delle parole e il tono di voce trasmettevano la giusta dose di sincerità e di ragionevolezza, ma Pen capì subito la verità. Il druido avrebbe fatto meglio a dirgli qualcosa di meno tranquillizzante, ma supponeva che l’uomo l’avesse giudicato un ragazzino, incapace di distinguere fra bugia e verità.
Si soffermò a pensare alla propria risposta. Aveva rivolto le domande che gli premevano e ottenuto risposte prevedibili. Confermavano i suoi sospetti su quanto sarebbe accaduto se avesse attraversato il ponte per arrendersi. D’altra parte, se fosse rimasto dov’era presto o tardi l’avrebbero catturato, anche se fosse di nuovo sceso nell’abisso, una discesa che probabilmente adesso gli era vietata. Peggio ancora, non avrebbe potuto fare nulla per aiutare la sua famiglia e gli amici. Se davvero era una persona responsabile come pensava di essere, avrebbe dovuto fare qualcosa di più che fuggire a nascondersi.
La decisione era più facile di quanto gli garbasse. In ogni caso doveva andare a Paranor, se voleva usare lo Scettro Nero per raggiungere la zia. Salvare l’Ard Rhys era il suo compito, ma per portarlo a termine doveva entrare nella Fortezza dei Druidi. I druidi che erano venuti a cercarlo gli offrivano la possibilità di entrare. Avrebbe preferito che le cose andassero in modo diverso, ma il risultato era lo stesso. L’importante era tenere con sé lo Scettro Nero finché non fosse entrato nella camera dell’Ard Rhys.
Ma non aveva idea di come riuscirci.
«Voglio parlare con Tagwen» rispose. «Lasciatelo arrivare all’imboccatura del ponte e voi fatevi indietro, in modo che io possa attraversare senza pericolo.»
I druidi si scambiarono un’occhiata, indecisi. Poi il più alto rispose: «Prima arrenditi, poi ti lasceremo parlare con Tagwen».
Pen scosse la testa. «Se volete che mi arrenda, prima dovete lasciarmi parlare con Tagwen. Voglio sentire da lui cosa pensa delle vostre promesse. Voglio sapere da lui fino a che punto è disposto a fidarsi della vostra parola. Se non mi lascerete parlare con lui, non mi muoverò di qui.»
Vide le loro facce scure avvicinarsi l’una all’altra e le loro labbra muoversi, ma non sentì le parole. Chiaramente, la richiesta non piaceva loro e cercavano il modo di rifiutarla.
«Se pensate di potermi catturare così facilmente domattina, forse vi conviene aspettare e controllare di persona» disse all’improvviso. «Potrebbe non essere semplice come pensate. Parlo della creatura-ragno che avete mandato a rintracciarmi. O doveva uccidermi? L’avete mandata voi, no?»
Aveva rivolto la domanda d’impulso, senza sapere come avrebbero risposto, ma con il forte sospetto che avrebbero reagito con imbarazzo. Il suo sospetto venne confermato. Entrambi i druidi lo guardarono stupiti. Poi quello più alto incrociò le braccia sotto la veste nera.
«Non l’abbiamo mandato noi» spiegò. «Però sappiamo chi l’ha incaricato. Pensavamo che quell’uomo fosse morto, ucciso nella Palude.»
Pen scosse la testa e lanciò un’occhiata a Tagwen, il quale lo stava guardando con grande attenzione perché aveva capito che aveva qualcosa in mente ed era ansioso di scoprire cos’era. «“Quell’uomo”? Non “quella creatura”?»
«Aphasia Wye. Un uomo, ma sono d’accordo anch’io, assomiglia più a un insetto che a un essere umano. Hai detto che non è morto? Dove si trova, adesso?»
«No, è morto. Ma non nella Palude. Ci ha seguiti per tutto il nostro cammino, fin qui nell’isola. La scorsa notte ha attraversato il ponte. Proprio come intendete fare voi. A parte il fatto che è riuscito a passare. Qui mi ha trovato, ma ha trovato anche qualcos’altro, e quello lo ha ucciso. Se volete sapere cosa l’ha ucciso, scendete qui con la vostra nave volante. Vi sta aspettando.»
Era un bluff, ma valeva la pena di provare. Aphasia Wye era un assassino di prima categoria, e i druidi potevano provare un attimo di esitazione, prima di mettersi contro una creatura che l’aveva ucciso. L’accaduto metteva Pen sotto una luce diversa, lo rendeva più pericoloso, dato che lui era vivo mentre il suo cacciatore era morto. Le parole di Pen miravano a costringerli a riflettere sull’opportunità di accogliere la sua richiesta.
Il druido più alto terminò di parlare con il compagno e si girò verso il ragazzo. «D’accordo, Pen. Ti permetteremo di parlare con Tagwen. Ma niente trucchi, per favore. Al primo indizio di malafede da parte tua, i tuoi amici Troll e i tuoi genitori rischieranno la vita. Non mettere alla prova la nostra buona volontà. Parla pure e poi fa’ quello che devi, cioè arrenderti a noi.»
Pen non sapeva ancora se si sarebbe consegnato, ma parlare con Tagwen l’avrebbe aiutato a decidere. Vide il nano alzarsi al comando del druido più alto e raggiungere l’estremità del ponte, poi vide i druidi indietreggiare e segnalare ai Cacciatori degli Gnomi di imitarli. Attese che l’area davanti al ponte fosse vuota, con la sola eccezione del nano, poi imboccò l’arcata di pietra e l’attraversò. Usò lo Scettro Nero come una stampella, zoppicando e appoggiandosi a esso, fingendo di essere stato ferito e che quello fosse lo scopo del bastone. Forse gli avrebbero permesso di tenerlo, pensando che ne avesse bisogno per camminare. Ma sapeva che non ci sarebbero cascati. Tenne gli occhi ben aperti, alla ricerca di movimenti sospetti, di ombre anomale, di suoni fuori posto. Usò la propria limitata magia per scandagliare i dintorni, alla ricerca dell’avvertimento di qualche pericolo ancora invisibile. Non notò nulla. Attraversò il ponte senza essere ostacolato in alcun modo, mentre i prigionieri e coloro che li avevano catturati si tenevano indietro, al di là del fuoco, in mezzo agli alberi e lontano dall’orlo del precipizio.
Quando fu giunto dall’altra parte, il giovane si piegò sulle ginocchia e si servì della spalletta del ponte come riparo. Non pensava che intendessero ucciderlo, ma non poteva escluderne la possibilità.
Tagwen si accostò a lui. «Ci hanno presi mentre avevamo le brache calate, giovane Pen. Ci preoccupavamo di cercare te, ma guardavamo con troppa concentrazione nella direzione sbagliata.» Sul suo viso tozzo si disegnò una smorfia di disgusto. «Avevano già lance e frecce puntate contro di noi prima ancora che riuscissimo ad allestire una difesa. Qualunque nostra resistenza sarebbe unicamente servita a farci uccidere. Mi dispiace.»
Pen posò una mano sulla robusta spalla del nano. «Hai fatto il possibile, Tagwen. Tutti l’abbiamo fatto.»
«Forse, o forse no.» Non sembrava convinto. Scrutò il ragazzo con attenzione. «Va tutto bene? Era vero quello che hai detto sulla creatura che ci inseguiva? Era davvero sull’isola con te? Pensavo che l’avessimo definitivamente persa quando siamo entrati nelle montagne. È finalmente morta?»
Pen annuì. «L’ha ucciso il Tanequil. È una storia lunga. Ma chiunque attraversi quel ponte corre davvero un pericolo. Io sono vivo grazie a questo.»
Con un cenno della testa indicò lo Scettro Nero, appoggiato sulle pietre del ponte a poca distanza da lui, nell’ombra.
Il nano gli diede un’occhiata, poi si accorse della mano mutilata di Pen e alzò di scatto la testa. «Che ti è successo alle dita?»
«L’albero le ha prese in cambio dello Scettro. Sangue in cambio di linfa, carne in cambio di corteccia, ossa in cambio di legno. È stato necessario. Non pensarci.»
«Non pensarci?» Tagwen era stupefatto. Lanciò una rapida occhiata al di sopra della spalla di Pen, in direzione dell’isola del Tanequil avvolta dall’oscurità. «Dov’è Cinnamins...