
- 238 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Un eccentrico riccone che sfida i suoi eredi a un'eccitante caccia al tesoro, un marito sospettato da tutto il villaggio di aver assassinato la moglie, una povera ragazza accusata di furto e sostituita da una domestica troppo perfetta, una coppia di giovani sposi minacciati da una vecchia pazza, due giovanotti penetrati per caso in una casa nella quale si trova un cadavere... Nove racconti per una straordinaria antologia nella quale spicca Tre topolini ciechi, l'indimenticabile storia di sette persone intrappolate in una pensione isolata dalla neve, tra le quali si nasconde un assassino. Una trama mozzafiato, dalla quale l'autrice ricavò la famosissima pièce teatrale Trappola per topi.
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Informazioni
Tre topolini ciechi
Faceva molto freddo. Il cielo era buio e carico di neve.
Un uomo in soprabito scuro, con la sciarpa fino al naso e il cappello calato sugli occhi, percorreva Culver Street. Salì i gradini del numero settantaquattro, premette il campanello e lo udì squillare nel seminterrato.
La signora Casey, le mani immerse nell’acqua del lavandino, brontolò infastidita: «Accidenti al campanello. Mai un po’ di pace. Mai».
Ansimando un po’, salì pesantemente i gradini del seminterrato e aprì la porta.
L’uomo, una sagoma scura contro il cielo basso, le domandò quasi bisbigliando: «La signora Lyon?».
«Secondo piano» rispose la signora Casey. «Vi aspetta?» L’uomo scosse lentamente il capo. «Oh be’, salite e bussate.»
Rimase a osservarlo mentre saliva i gradini coperti da un tappeto logoro. Più tardi avrebbe detto che l’uomo «le aveva fatto una strana impressione». In realtà aveva pensato soltanto che doveva avere un gran brutto raffreddore per parlare a voce così bassa, e non c’era da meravigliarsi, con il tempo che faceva.
Quando imboccò la seconda rampa di scale, l’uomo cominciò a fischiettare sommessamente una canzoncina: Tre topolini ciechi.
Molly Davis arretrò di qualche passo e studiò l’insegna sul cancello, ancora fresca di vernice:
MONKSWELL MANOR
PENSIONE
Annuì con aria d’approvazione: sembrava proprio il lavoro di un professionista. Be’… quasi.
La “E” di Pensione era un po’ troppo alta e le ultime lettere di Manor erano troppo ravvicinate, ma, nel complesso, Giles aveva fatto un ottimo lavoro. Era davvero in gamba, Giles, sapeva fare un mucchio di cose. E lei, ogni giorno, scopriva qualche sua nuova qualità. Le aveva raccontato così poco di sé che le sorprese non mancavano mai. Chi è stato in marina “ha le mani d’oro” dice la gente.
Giles avrebbe dovuto sfoderare tutta la sua abilità, in quell’avventura: nessuno era più sprovveduto di loro due nell’arte di gestire una pensione. Però ci sarebbe stato da divertirsi. E avrebbero risolto il problema dell’alloggio.
L’idea era stata di Molly. Quando era morta zia Katherine e i legali le avevano scritto informandola che le aveva lasciato Monkswell Manor, lei e Giles avevano pensato subito di vendere la casa. «Com’è?» aveva domandato Giles. E Molly aveva risposto: «È una grande casa dalla pianta bizzarra, tutta piena di austeri mobili vittoriani. Il giardino è abbastanza bello, ma è invaso dalle erbacce, perché dopo la guerra è rimasto soltanto un vecchio giardiniere».
Così Giles e Molly avevano deciso di mettere in vendita la casa e di tenere qualche mobile, quanto bastava per arredare un villino o un appartamento per loro due.
Ma erano subito sorte difficoltà: anzitutto non si trovavano né villini né appartamenti, e in secondo luogo i mobili erano enormi.
«Be’,» aveva deciso Molly «non ci resta che vendere la casa al completo… Sempre che si riesca a venderla.»
Il legale aveva assicurato che, dati i tempi, sarebbe riuscito a vendere qualsiasi cosa.
«Con ogni probabilità» aveva soggiunto «la compreranno per farne un albergo o una pensione, nel qual caso potrebbero acquistare anche tutto il mobilio. Per fortuna, la casa è in ottime condizioni. La povera signorina Emory aveva fatto grossi lavori di riparazione e di ammodernamento poco prima della guerra e c’è stato pochissimo deterioramento. Oh sì, è in ottime condizioni.»
A questo punto Molly aveva avuto l’idea.
«Giles, perché non la trasformiamo noi in una pensione?» aveva esclamato. Sulle prime, lui ci aveva riso sopra, ma Molly aveva insistito.
«Non abbiamo bisogno di tenere molta gente, almeno nei primi tempi. Non è una casa che richieda molto lavoro: c’è l’acqua calda e fredda nelle camere da letto, c’è il riscaldamento centrale e la cucina a gas. E potremmo allevare galline e anitre, così avremmo le uova, e magari tenere un orto.»
«E chi farebbe tutto il lavoro?… non è semplice trovare personale.»
«Oh, dovremmo farlo noi. Ma ci toccherebbe lavorare in ogni caso dovunque andassimo a vivere, e occuparci di qualche persona in più non costerebbe poi tanta fatica. E magari, una volta avviati, potremmo prendere una donna. Basterebbero cinque persone, a sette ghinee la settimana a testa…» Molly era partita in quarta, in un vortice di calcoli decisamente ottimistici.
«E pensa, Giles,» aveva concluso «sarebbe casa nostra. Con dentro le nostre cose. Data la situazione, mi sa che ci vorranno degli anni prima di trovare un buco decente.»
Questo era vero, aveva ammesso Giles. Erano stati insieme così poco tempo, dopo il loro frettoloso matrimonio, che non vedevano l’ora di sistemarsi in una casa. Così il progetto era stato varato. Avevano messo inserzioni sul giornale locale e sul «Times» e avevano ricevuto molte risposte.
E quel giorno, finalmente, doveva arrivare il primo ospite. Giles era partito di buon’ora in automobile per comperare della rete metallica, residuato di guerra, messa in vendita all’altro capo della contea. Quanto a Molly, aveva annunciato che sarebbe andata in paese a piedi a fare gli ultimi acquisti.
L’unica cosa che non funzionava era il tempo. Da due giorni faceva un freddo cane e stava cominciando a nevicare. Mentre Molly imboccava di buon passo il vialetto di casa, grossi fiocchi di neve si posavano leggeri sulle spalle protette dall’impermeabile e sui capelli ricci e brillanti. I bollettini meteorologici erano quasi lugubri: si prevedevano eccezionali nevicate. Molly sperava di tutto cuore che non gelassero le condutture dell’acqua. Sarebbe stato un brutto scherzo se fosse andato tutto storto proprio all’inizio.
Diede un’occhiata all’orologio: le cinque passate. Chissà se Giles era già rientrato? Chissà se stava domandandosi dov’era andata a finire?
“Sono dovuta tornare in paese a comprare della roba che avevo dimenticato” gli avrebbe detto. E lui si sarebbe messo a ridere e avrebbe domandato: “Ancora scatolette?”.
Le scatolette erano ormai uno scherzo fisso, tra loro. Erano sempre in cerca di cibo in conserva e la dispensa era zeppa di ogni ben di Dio per i casi di emergenza.
“E a quanto pare” pensò Molly con una piccola smorfia, mentre dava un’occhiata al cielo, “i casi di emergenza si presenteranno molto presto.”
La casa era deserta. Giles non era ancora rientrato. Molly si soffermò in cucina, poi salì le scale e girò per le camere da letto appena preparate. La camera a mezzogiorno, con i mobili di mogano e il letto a colonne, era destinata alla signora Boyle. Quella del maggiore Metcalf era azzurra e aveva i mobili di quercia. La stanza a oriente, con la veranda, era per il signor Wren. Erano tutte camere molto graziose e accoglienti. E la splendida biancheria di zia Katherine si era rivelata una vera fortuna. Molly lisciò un copriletto e scese di nuovo le scale. Era quasi buio, ormai. Improvvisamente, la casa le sembrò silenziosa e vuota: era una villa isolata, a tre chilometri dal paese, “a tre chilometri dal resto del mondo”, come diceva Molly.
Non era la prima volta che si trovava in casa da sola, pure non ne era mai stata consapevole come in quel momento.
La neve, sfiorando in lente raffiche i vetri delle finestre, produceva un fruscio strano, inquietante. E se Giles non ce l’avesse fatta a tornare, se lei avesse dovuto restare sola lì dentro… per giorni, magari?
Molly si guardò attorno per la cucina, uno stanzone ampio e comodo che sembrava fatto apposta per una cuoca grassa e pacioccona, insediata al tavolo, con le mascelle che si muovevano ritmicamente mentre sgranocchiava biscotti e beveva tè scuro. Avrebbe potuto essere affiancata da una cameriera alta, in età, addetta alle stanze di rappresentanza, e da un’altra cameriera, rosea e rotondetta, per i mestieri pesanti. E, in fondo alla tavola, una sguattera avrebbe osservato con occhi spauriti le colleghe più importanti. E invece, lì, c’era soltanto lei, Molly Davis, a recitare una parte che non le sembrava ancora molto naturale. In quel momento, tutta la sua vita le sembrava irreale, persino Giles… Stava recitando una parte e nient’altro.
Un’ombra passò davanti alla finestra facendola trasalire: uno sconosciuto avanzava fra la neve. Udì il cigolio della porta laterale che si apriva. L’uomo era lì, sulla soglia, e si scuoteva di dosso la neve. Poi avanzò nella casa deserta.
D’un tratto, quell’impressione assurda svanì.
«Oh, Giles!» gridò Molly. «Come sono felice che tu sia tornato!»
«Ciao, tesoro! Che tempo schifoso! Sono congelato.»
Il giovane pestò forte i piedi e si soffiò sulle dita.
Meccanicamente, Molly raccolse il cappotto che Giles, come al solito, aveva buttato sulla cassapanca di quercia, e lo appese all’attaccapanni, sfilando dalle tasche gonfie una sciarpa, un giornale, un gomitolo di spago e la corrispondenza del mattino che Giles vi aveva ficcato dentro alla rinfusa. Mentre si avviava in cucina, depose tutto sulla credenza e accese il fuoco sotto il bricco.
«L’hai trovata, la rete metallica?» domandò. «Quanti secoli ci hai messo!»
«Non era del tipo giusto, non sarebbe servita a niente. Sono andato a un’a...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- TRE TOPOLINI CIECHI E ALTRE STORIE
- Tre topolini ciechi
- Uno scherzo arguto
- Omicidio su misura
- Il caso della domestica perfetta
- Le maledizioni della strega
- L’appartamento al terzo piano
- A mezzanotte in punto
- La torta di more
- Gli investigatori dell’amore
- Copyright