Prigioniera delle ombre (Il Giallo Mondadori)
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Prigioniera delle ombre (Il Giallo Mondadori)

  1. 224 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Prigioniera delle ombre (Il Giallo Mondadori)

Informazioni su questo libro

"Trova Graham..." Sono le ultime parole di Ivan Godden prima di morire accoltellato nella biblioteca della sua lussuosa villa. A raccoglierle dalle sue labbra è la moglie Marcia, ragazza di umili origini condannata a vivere con un uomo ricco e crudele e ora accusata dalle circostanze, perché avrebbe avuto il movente e l'occasione per uccidere il marito. E quando un'altra vittima si aggiungerà alla macabra conta, i sospetti si orienteranno decisamente su di lei. Nonostante l'appoggio di Graham Blakie, il medico di famiglia, certo non l'aiuta il legame sentimentale che la unisce a un vicino di casa. Tutto lascia pensare che, da sola o in combutta con lo spasimante segreto, abbia voluto liberarsi di ogni ostacolo tra sé e un'agiata libertà. Eppure Marcia è innocente, ma chi mai le crederà?

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
eBook ISBN
9788852043154

1
— Quindi — disse il dottore, facendo il punto della situazione con la massima calma, mentre guardava Marcia — lui sta bene. È guarito. E torna a casa.
Marcia si alzò dalla poltrona e andò alla finestra. Era una mattina di aprile, fredda e piovosa. Le cime dei tulipani non ancora sbocciati, coperte da una sottile guaina verde, apparivano nude ed esili; le lastre di pietra scura dei gradini che scendevano nel giardino erano lucide di umidità, e sul padiglione, accanto alla piscina, i tralci dei rampicanti, bagnati di pioggia, ancora vizzi e sfioriti. Al di là del basso muro del giardino poteva vedere un angolo in mattoni rossi di casa Copley.
Sapeva benissimo che il dottore stava aspettando la sua risposta, ma rimase rigida e silenziosa, le mani strette a pugno nelle tasche del maglione giallo in modo che lui non potesse vederle, il mento un po’ alzato per allentare l’improvvisa contrazione dei muscoli lungo la gola. Alla fine, disse: — Quando?
Adesso sentiva il dottor Blakie che si alzava anche lui dal suo posto e cominciava a camminare, irrequieto, avanti e indietro per la stanza. Si limitò a risponderle con un “Oggi” piuttosto asciutto e, gironzolando, si spinse fino in fondo alla lunga stanza della biblioteca, fermandosi a osservare le verdi e torbide profondità del piccolo acquario che conteneva quei pesci rossi ai quali Ivan teneva in modo particolare.
Oggi.
Subito Marcia disse: — Devo avvertire Beatrice.
— Lo sa già. Gliel’ho detto mentre stavo aspettando di vederla, Marcia. — Il dottor Blakie era nervoso. Si allontanò dall’acquario dei pesci rossi e, girellando, si spostò verso l’altra estremità della stanza, soffermandosi davanti al lungo scrittoio in mogano di Ivan, prendendo in mano qualcuno dei piccoli oggetti che vi si trovavano, mettendoli di nuovo giù e voltandosi verso il mappamondo sul suo piedestallo, a fianco dello scrittoio, per farlo ruotare con aria assente.
Il lieve fruscio del mappamondo che girava, ora, era l’unico suono che si sentisse in casa Godden. La casa di Ivan, per quanto rimasta quasi interamente immutata da quando ne era diventato il proprietario, portava la sua impronta in modo indelebile e inequivocabile, e durante le settimane del suo ricovero in ospedale era sembrata quasi un ambasciatore o un agente segreto che silenziosamente, e di nascosto, osservasse e raccogliesse ogni documentazione e ogni testimonianza di quello spionaggio passivo.
La biblioteca, più degli altri locali, era la stanza di Ivan, perché tutto quanto conteneva glielo ricordava. Perfino le vetrine che coprivano gli scaffali e riflettevano misteriosamente ogni luce e ogni movimento di quell’austero locale sembravano quasi, pur in assenza di Ivan, rinviare un’immagine del suo bel viso pallido e dei due lievi solchi che gli segnavano gli angoli della bocca. Tuttavia, nell’insieme, si trattava di una stanza cupa e lugubre, con le pareti color bruno scuro, come i pesanti tappeti, il soffitto alto, le finestre lunghe e strette, dai tendaggi in pizzo e velluto dello stesso colore. Dall’alto, in un angolo, un busto bianco di Cesare (ma era davvero lui?) contemplava con occhi vuoti tutto quanto c’era al di sotto. In quella mattina semibuia, anche le poltrone di cuoio imbottite riflettevano piccoli e tetri sprazzi di luce, come le superfici lucidissime del massiccio scrittoio in mogano e dei tavoli. Quello era lo scrittoio di Ivan, e a lui piaceva starci seduto, e accarezzare con le bellissime dita pallide il suo fermacarte preferito, in vetro verde.
Marcia stava fissando la fila di piante di lillà coperte di boccioli oltre la portafinestra che si apriva sul giardino, una delle migliorie più recenti eseguite in casa Godden. Quei boccioli di lillà erano ancora acerbi e bruni, e avevano l’aria infreddolita. Continuò a esaminarli scrutandoli intensamente, cercando di decidere se l’ultima brinata li avesse fatti soffrire. Se si fosse voltata verso la stanza che le incombeva addosso, quasi schiacciandola con la sua atmosfera cupa, era persuasa che avrebbe visto Ivan seduto a quello scrittoio.
Il suo bel viso pallido, solo un po’ troppo lungo e magro, con quel mento appuntito che lo rendeva quasi crudele. I capelli neri, ondulati, con quel tocco di bianco alle tempie incavate che gli donava in modo incredibile. Le sopracciglia nere e folte che gli segnavano stranamente la faccia pallida con due lunghe striature al di sopra di quegli occhi tanto insoliti, ma senza fare ombra alla loro luminosità. A guardare Ivan Godden, quegli occhi erano proprio la prima cosa che si notava e dalla quale si rimaneva colpiti, perché avevano un color acquamarina chiaro, e sembravano indecifrabili, con le pupille molto piccole, nere e penetranti, simili a punte di matita. Capitava di rado che la loro espressione cambiasse, e Marcia non era mai riuscita a spiegarsi come facesse a capire immediatamente, e con la massima sicurezza, quando andava in collera.
Di solito stava lì seduto dietro la scrivania, le unghie ben curate, di un tenue rosato che spiccava contro le dita bianche e il fermacarte di vetro. Il fermacarte era massiccio, sferico, e conteneva una strana composizione di fiori di un verde simile al colore dei suoi occhi e, in un modo assolutamente incredibile, pareva condividessero quella luce nello sguardo vacua e imperscrutabile. Aveva l’abitudine di fissare le ombre confuse e verdeggianti del fermacarte, quando le voleva parlare... “Marcia, mi dispiace di essere obbligato a dirti...” “Marcia, per quanto poco mi piaccia rammentarti la mia generosità...” “Marcia, sarai tanto gentile da ricordare...” “Marcia, vieni qui...”
Tutto stava diventando troppo reale. Il cuore le batteva forte e la lasciava senza respiro. Era qualcosa che succedeva già da un po’, durante quell’ultimo anno, e lo trovava molto penoso. Per calmarsi, disse al dottore, anche se continuava a evitare di guardarlo: — Tutti parlano di ciò che ha fatto per lui. Dicono che l’ha tenuto in vita, quando nessun altro medico ci sarebbe riuscito. Deve sapere quanto le sono grata... — Non riuscì a concludere la frase.
Il dottor Blakie era intento a misurare la distanza dal Madagascar a Londra allargando le abili e affusolate dita da chirurgo sulla superficie rotonda del mappamondo. — Ho fatto quello che potevo — disse brusco.
Marcia rievocò la notte all’ospedale, dopo l’incidente d’auto nel quale Ivan era rimasto ferito. Le infermiere e i medici che si consultavano. L’odore dell’etere. E lui, il dottor Blakie, che indossava un ampio camice bianco e una mascherina sul volto.
— Quella notte hanno detto che quanto lei stava facendo per salvarlo sarebbe entrato a far parte della storia della chirurgia — riprese. — Tutti noi abbiamo capito ciò che ha fatto... come è riuscito a salvarlo con il suo talento e la sua forza di volontà, quando tutti gli altri si erano arresi.
— Oh, via, via, mia cara. — Con una mossa spazientita Blakie fece ruotare di nuovo il mappamondo, lo fermò, e cominciò a prendere altre misure, stavolta da Città del Capo. — Se un medico non può impegnarsi un po’ più a fondo per i suoi amici...
Finalmente lei si voltò a osservarlo. Era un tipo scialbo, di corporatura esile, sui quarantacinque anni, ancora giovane per i grandi risultati e i successi che aveva ottenuto nella professione. La fronte alta sulla quale i capelli cominciavano a diradarsi, la bocca ben controllata, con le labbra sottili, e una lieve rete di rughe intorno agli occhi grigi, nascosta di tanto in tanto dagli occhiali cerchiati d’oro. La sua faccia aveva un bel colorito chiaro, le sue mani erano incredibilmente capaci, e ogni muscolo, ogni nervo nel suo corpo perfettamente coordinato, come se, ed era la verità, detestasse qualsiasi forma di spreco. Era un valente chirurgo, dai modi sempre gentili anche se un po’ distaccati, quasi non volesse rimanere troppo coinvolto in quello che affrontava nel suo lavoro quotidiano, e si mostrava infastidito da tutte le cose che non gli sembravano importanti. La vita umana era importante, per lui, anzi, stava in cima alla sua scala di valori, e per Ivan aveva abbandonato quel suo contegno così quieto, attento e imperturbabile. E aveva lottato duramente, ottenendo che Ivan vivesse.
— Impegnarsi un po’ più a fondo — ripeté Marcia con voce gentile. — Ma crede davvero che non abbiamo capito quello che ha fatto per lui? L’intervento chirurgico stesso... e le cure che gli ha dedicato in seguito. Dicono che non ha lasciato l’ospedale per due giorni!
— Non è vero — le rispose. — Sono andato nel mio studio in entrambi i giorni. Le infermiere hanno esagerato un po’. Anche se — ammise — l’intervento è stato un successo. Il vecchio dottor Leonard era presente. E diceva che non ce l’avrei fatta. Giurava e spergiurava che non ci sarei riuscito. Invece, sì. E dopo i primissimi giorni Ivan ha cominciato a riprendersi molto rapidamente. È coriaceo. Sa badare a se stesso. Non sarà un problema per lei. Lo hanno proprio coccolato all’ospedale, ma lui ha capito che non deve correre rischi. Stia soltanto attenta a non farlo camminare troppo su quel piede. Ma non lo farà. — Diede un altro colpetto al mappamondo e il lieve fruscio che accompagnava quel movimento diminuì.
— Dunque, a parte il piede, nel complesso sta bene? — chiese Marcia.
Blakie le lanciò una rapida occhiata e le rispose in modo indiretto. — Lei è venuta all’ospedale ogni giorno, Marcia.
— Lo so. Ma non ha mai camminato. Non si è mai sentito perfettamente in forze. — Il cuore ricominciava a palpitarle tanto da toglierle il respiro. Soggiunse in fretta: — C’è qualcosa che dovremo fare riguardo a una... dieta... magari? Oppure ad altre cure generali? — A un tratto le balenò un’idea, e la colse al volo. — Forse verrà un’infermiera ad assisterlo?
Il dottore le scoccò un altro rapido sguardo e tornò a curvarsi sul mappamondo. — No. Non la voleva. E adesso non ne ha bisogno. E anche dopo i primissimi giorni si è sempre mostrato un po’ difficile riguardo alle infermiere.
— Oh. È per questo che cambiavano tanto spesso?
Lui fece segno di sì. — Devo dire che non è stato facile assisterlo. Può darsi che io abbia avuto pazienti più irritabili e insofferenti di lui, ma confesso che non me ne ricordo.
Intrattabile. Stizzoso.
— Questo non vuol dire che Ivan non le sia grato. È semplicemente il suo modo di fare.
— Maledettamente sgradevole — commentò il dottor Blakie. — Comunque, il lavoro è sempre lavoro.
— Insomma, non vuole proprio ammettere — insistette Marcia con un sorrisino agro — che per Ivan ha fatto qualcosa di straordinario.
Blakie diede un ultimo colpetto al mappamondo e lo fece ruotare. Poi si voltò di scatto verso di lei, e la luce grigia che filtrava dalla finestra lo illuminò in piena faccia. — Supponiamo che sia così — disse in tono asciutto. — È suo marito, mia cara.
Suo marito. Che stava per ritornare a casa proprio quel giorno. Entro un’ora. Al massimo due.
Le quattro settimane di pace e di una cauta e insolita tranquillità erano finite. Ci fosse stato ancora un po’ di tempo, pensò confusamente, forse sarebbe riuscita a ritrovare se stessa. Ma Ivan stava per ritornare e, a pensarlo, si sentì subito pulsare di nuovo il sangue nelle vene con quella fibrillazione inquietante.
Stavolta il dottor Blakie se ne accorse e fece un rapido passo verso di lei, posandole una mano sul polso e costringendola a voltarsi in modo che la luce le battesse sul volto e gli permettesse di guardarla negli occhi. Quindi domandò bruscamente: — Di che cosa ha paura?
Anche lei, a sua volta, lo fissò. E pensò che gli occhi di Blakie vedevano troppe cose.
— Non deve aver paura — disse piano il dottore. — Non deve tremare. Cosa c’è? — E dal momento che lei continuava a non rispondere per timore di far crollare quella barriera protettrice di silenzio che si era costruita intorno tanto faticosamente, con un tono di voce più gentile continuò: — Si tratta di Ivan?
Non sembrava che si aspettasse una risposta. Marcia lasciò che i freddi occhi grigi dell’uomo la scrutassero per un momento. Quindi, improvvisamente, lui le tolse la mano dal polso e, con la pacata economia di gesti che lo contraddistingueva, tirò fuori una sigaretta, staccò un fiammifero dalla bustina e l’accese con lentezza, lasciando pensare che il suo interesse fosse concentr...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Prigioniera delle ombre (Il Giallo Mondadori)
  3. PERSONAGGI PRINCIPALI
  4. 1
  5. 11
  6. Copyright