Sono rinchiuso in questa gabbia da tanti giorni, non so neanche io quanti. Sono triste, disperato. Sono solo un numero, il 77, non ho più identità, non sono più niente agli occhi di nessuno, solamente un peso per questo mondo che non considera il migliore amico dell’uomo come qualcuno di importante.
La mia famiglia mi ha abbandonato come un vecchio calzino e mi hanno lasciato qui da solo. Non mi hanno voluto bene. Sono malato agli occhi da quando sono cucciolo, eppure non sono mai stato curato. Ho sofferto il freddo, il caldo e la fame, tanto che le mie zampe anteriori sono arcuate. Sono magro e il mio pelo è brutto, arruffato, sporco. Ho i denti un po’ consumati perché ho rosicchiato tante sbarre e sono tutti sporchi, scuri, pieni di tartaro. Sono malconcio e non ricordo l’ultima volta che ho ricevuto una carezza, mi ricordo solamente che sono stato picchiato e lasciato fuori da solo, poi rinchiuso in una gabbia, ancora più piccola di quella in cui sono ora.
Qui siamo in tanti, e siamo qui perché non abbiamo più una famiglia o, peggio, non l’abbiamo mai avuta. Guardandomi intorno mi sono reso conto che c’è chi è ancora più malconcio di me: qualcuno è solo pelle e ossa, qualcuno è molto vecchio, qualcuno ha perso il vecchio padrone e nessuno ha voluto prendersi più cura di lui, qualcuno è malato e finirà i suoi giorni nella sofferenza, qualcuno è qui perché la famiglia non voleva ingombri per le vacanze, ma ancora non so la storia di tutti.
In realtà, noi non sappiamo neanche cosa veniamo a fare qui, finché non vediamo i padroni andarsene senza uno sguardo di saluto. Alcuni di noi sono stati abbandonati per strada, magari legati in un luogo appartato e lasciati morire di fame e di sete, non saprei dire perché, è solo cattiveria. Un amico in fondo al vialetto è pieno di cicatrici: è stato talmente picchiato e maltrattato che è diventato aggressivo con tutti, non riesce neanche più ad accettare una carezza o un croccantino. Ha perso fiducia nella vita. I suoi occhi sono vitrei, hanno un’espressione di desolazione insopportabile. Lui è qui da tanto tempo, molto più di me. Se ne sta raggomitolato in un angolo e ringhia a tutti, talmente ha paura. Nessuno riesce ad avvicinarlo.
Di certo c’è che siamo tutti infelici, spaventati, disperati, qualcuno ha talmente paura che ha la tremarella e se ne sta accucciato in un angolo aspettando la fine; siamo tutti disgraziati, c’è tristezza e odore di morte. Sono sempre stato buono e ho voluto tanto bene alla mia famiglia e continuo a sperare che verranno a riprendermi, anche se la speranza si allontana ogni giorno di più. Cerco di continuare a pensare in positivo, com’è nel mio carattere, e questo mi farà forse soffrire ancora di più.
Oggi è sabato, gli addetti ci hanno dato da mangiare presto e ci hanno puliti. Quando hanno tempo si fermano un istante, ma oggi si apre prima e ci sono già tante persone in giro. C’è un po’ di sole e mi fanno male gli occhi, così preferisco starmene all’ombra. In tanti passano, qualcuno sorride, ma nessuno si ferma a farmi una carezza perché vedono che sono malato. Sono veramente tanto brutto?
Dal mio angolo vedo una coppia. La signora si inginocchia davanti alla gabbia e ha una parola buona per ognuno di noi; distribuisce sorrisi e carezze. Riesce anche a parlare con il mio amico in fondo al vialetto che all’inizio ringhia e si rintana ancora di più nel suo cantuccio. Ma poi, pian piano si calma, le parole gentili gli fanno effetto. Mi fa tanta pena! La signora continua a fermarsi dagli altri amici. Dài, che fa una carezza anche a me! Appena mi vede le vengono le lacrime agli occhi e dice: “Poverino! È malato come il mio vecchio Argo!”.
Vengono allora tutti e due vicino a me e rimangono qualche minuto. Mi parlano, mi fanno una carezza attraverso le sbarre e mi raccontano fra lacrime e sorrisi che assomiglio tanto ad Argo, che è vissuto con loro più di undici anni e che era tanto malato. Argo era il migliore amico della signora e sono tre mesi giusti che se n’è andato. Fino alla fine è stato provato di tutto, ma non c’era più niente da fare, soffriva troppo. Argo era un cane generoso e allora gli hanno promesso che quando la tristezza per la sua morte fosse passata, avrebbero preso con sé un cagnolino sfortunato per offrirgli una nuova vita felice.
È per questo che sono venuti qui oggi. Per portarsi uno di noi a casa, ma per loro è molto difficile scegliere, vorrebbero aiutarci tutti. Chiacchierano ancora un po’, poi riprendono a passeggiare. Sono stato felice per un attimo, avevo quasi sperato che mi facessero uscire da questa gabbia. Dopo un quarto d’ora, li vedo tornare con uno degli addetti. Indicano la gabbia 77 perché vogliono conoscermi meglio. Appena si apre la porta esco in un balzo e mi precipito fra le loro braccia. Passo dall’uno all’altra e approfitto di questi attimi di coccole per fare il pieno, perché non so quando mi capiterà di nuovo un’occasione come questa.
L’addetto spiega che la mia malattia agli occhi è grave e deve essere curata al più presto. Il nome della malattia è difficile da ricordare, tutto quello che so è che soffro molto da sempre. Non sembrano impressionati dall’operazione e dalle cure che dovrebbero darmi per farmi diventare un “bel cagnolino”, come dice la signora. Esitano a lasciarmi e anch’io vorrei che rimanessero, ma mi dicono che devono vedere altri cani. Che peccato!
Torno a malincuore nella mia gabbia e li guardo andar via. Per un attimo ho osato sperare in una vita migliore. Ma dopo un po’ li vedo tornare, mi parlano ancora e mi chiedono se voglio andare a casa con loro. Veramente? Proprio io? Mi portate via da qui? Non ci credo finché non li vedo arrivare con il mio volontario preferito. Indicano ancora il numero 77! Mi fanno un’altra carezza e mi dicono che devono riempire i moduli perché diventi il loro amico.
Li ritrovo in ufficio, con i documenti e un bel guinzaglio nuovo tutto colorato. Usciamo e dopo tanti giorni posso finalmente sgranchirmi le zampe a volontà. Qui al canile sono stati buoni con me, mi hanno rifocillato, dato qualche attenzione quando hanno potuto e il dottore mi ha messo le gocce negli occhi. Ma non è niente in confronto alla sensazione di benessere e libertà che ho provato uscendo con la mia nuova famiglia!
Mi hanno fatto salire in macchina, il signore si è messo al volante e poi è partito con calma. Ha una voce gentile, simpatica, è un uomo buono e si vede. La signora si siede dietro con me e dice che mi ha portato un vecchio piumino lavato perché possa stare più comodo. A me il piumino sembra tutto nuovo, è morbidissimo, sa di pulito, sa di casa. Sono tanto felice e mi guardo intorno. Mi raccontano che con loro potrò sempre vivere dentro casa, che ho già una bella cuccia pronta che mi aspetta. Che cos’è una cuccia ? Io non ne ho mai avuta una. Pian piano mi addormento.
Quando arriviamo vedo che in casa ci sono due gattine, anch’esse trovatelle, una di quasi dodici e una di un anno, che non hanno molta voglia di fare conoscenza, per ora. Capisco subito cos’è una cuccia: è una cosa bellissima e dentro c’è un bel cuscino! Ho sempre dormito per terra a già mi immagino riposare stanotte in quella nuvola morbida. Sono tanto felice che mi metto a correre dappertutto senza fermarmi e faccio tante coccole ai miei nuovi amici. Non so più come far capire loro che sono tanto riconoscente e felice.
Mi danno da mangiare in una ciotola bella pulita e aprono una scatola di biscotti apposta per me. Devono però mettermeli davanti al muso perché li possa mangiare in quanto non sono proprio abituato a riceverne. Imparerò presto!
Sono con la mia nuova famiglia da cinque mesi e sono ringiovanito. Mi hanno fatto operare, come promesso, e i miei occhi sono completamente guariti. Sono ingrassato e diventato robusto, mi si sono rinforzati i muscoli, raddrizzate le zampe, i miei denti sono stati puliti e ho perso il mio sguardo triste. Il mio pelo ora è bello, liscio, luminoso e mi spazzolano spesso. Sono diventato un ottimo guardiano e darei la vita per difendere la mia famiglia. Tutti i giorni ricevo coccole e non mi picchiano. Tutt’al più, se la combino grossa, mi rimproverano, ma sempre con gentilezza. Hanno sempre un po’ di tempo per giocare, portarmi a passeggio, chiacchierare con me. Mi offrono dei regalini tutti i giorni: un pezzetto di formaggio o di prosciutto, una polpetta, un po’ di carne avanzata a cena, un osso da rosicchiare, una palla per giocare, una coperta pulita, un tappeto solo mio e quando occorre un cuscino nuovo per la cuccia. Quando non lo rovino troppo giocando, la mia nuova mamma lo recupera e me lo ricuce, ma non mi sgrida mai, dice che sono cose che succedono.
Sono trattato come un membro della famiglia e ci sono sempre i miei croccantini, oltre a quelli per le gattine, nella lista della spesa. Ci sono ancora dei problemini da risolvere. Faccio ancora la pipì dentro casa. Non riesco a imparare bene. Mi danno delle gocce per aiutarmi e la notte ho fatto progressi, ma in giornata è difficile. Ma anche per questo non mi sgridano. Sono solo dispiaciuti di dover tanto pulire e profumare la casa. Ho anche delle difficoltà di socializzazione: sono stato praticamente solo per quattro anni e mezzo e quando andiamo a passeggio e incontriamo qualche altro cagnolino sono imprevedibile. Con molta pazienza imparerò a comportarmi meglio fuori casa.
E i miei nuovi padroni di pazienza ne hanno veramente tanta con me! In fondo ero malato e brutto e hanno scelto proprio me! Mi hanno offerto un posticino sul divano, ma soprattutto mi hanno offerto un posticino nei loro cuori senza mai chiedere niente in cambio! Prometto d’ora in poi di essere sempre buono e di volervi tanto bene. Vi sarò sempre riconoscente per avermi accolto nella vostra casa, per aver voluto aiutare un cane malato e malconcio come me che era diventato solo un numero e a cui della sua vecchia vita era rimasto solamente un vecchio collare scolorito e il suo nome. Sono un pastore belga Malinois di quattro anni e mezzo e mi chiamo Charly.
Era settembre del 2000 ed ero a fare una girata a Pisa con le mie amiche. Si stava pranzando in una pizzeria quando vedemmo una ragazza con in braccio qualcosa di minuscolo e peloso. Guardammo meglio e notammo che si trattava di un gattino. Be’, come è ovvio, per l’enorme tenerezza suscitata dal batuffolino ci precipitammo a fargli le feste. Ma la ragazza era alquanto disperata e ci disse che aveva appena raccolto quel gattino da terra perché altri suoi simili lo stavano aggredendo. Nelle vicinanze non c’era ombra della madre e purtroppo lei non sapeva che farsene: stava perdendo il treno e non poteva portarlo con sé.
Così, senza pensarci due volte, vedendo quel micino così piccolo con quelle orecchie grandi e tenere, e visti i nostri sedici anni, anche un po’ ingenuamente lo si prese noi, convinte di potergli trovare un padrone. Cercammo uno scatolone e ci avviammo al treno per tornare a Viareggio.
Durante il viaggio lo scrutammo attentamente e, oltre a scoprire che si trattava di una femminuccia, ci accorgemmo che aveva gli occhietti tutti cisposi e che le colava il nasino. Quegli occhietti intenerirono persino il controllore che, invece di brontolare e darci una multa, si limitò a dirci che per gli animali serve l’apposito trasportino. Arrivate alla stazione si presentò un altro problema: eravamo tutte in motorino! Così l’unico modo per portarla dal veterinario il prima possibile fu quello di metterla nello zaino avvolta in un maglione e via.
“Questa gattina non arriverà a domani... ha broncopolmonite e congiuntivite gravi. Inoltre non è svezzata.” Queste furono le parole del veterinario. Prese da una grande tristezza decidemmo di tenerla una notte ciascuno finché non le avessimo trovato una casa definitiva o finché non ci avesse abbandonato. Nessuno dei nostri genitori, per un motivo o per un altro, la poteva tenere stabilmente.
La portai a casa mia rassicurando mamma che non l’avrei tenuta. Lei tentò di darle piano piano il latte con una siringa. La guardavo mentre era sdraiata sulle gambe di mamma con la sua pancina tonda tigrata che ispirava bacini dolcissimi. La guardavo e lei mi guardava mentre leccava qualche goccia di latte. La fissavo ed ero triste: mi ci ero già affezionata pur sapendo che non poteva crescere con me o che forse non sarebbe mai cresciuta.
La sera ci trovammo fuori io e le mie amiche e, naturalmente, la gattina, così, per non lasciarla sola. Tutti i possibili padroni interpellati ci dovevano dare una risposta e a dir la verità non era facile dar via una gattina così malandata. Continuavamo a esclamare “Come dev’essere?!”, intendendo nel nostro gergo: “Come è carina!”. Quindi perché non abbreviare la frase e chiamarla COMEDE’? Così è stato.
Tornai più tardi a casa e la misi a dormire nel bagnetto attiguo alla mia camera, avvolta in una sciarpa di lana, anche per farla stare lontana dall’altra mia gatta che non sembrava molto felice dell’ospite. La mattina mi svegliai presto e agitata: mi risuonavano nelle orecchie le parole del veterinario e avevo il terrore di trovarla morta. Ho aperto la porta del bagnetto con il cuore in gola e con grandissima gioia mi venne incontro con quelle orecchie da Dumbo, quegli occhietti cisposi e quella camminata barcollante con pancina molle e corpo secco secco. Eh, sì, era veramente bruttina, ma per me era stupenda: l’amavo già!
Non era certo facile darle da mangiare ma poco alla volta sembrava migliorare. Come da accordi, le notti seguenti le passò dalle altre amiche. Ma tutte noi la vedevamo ogni giorno perché la si portava ovunque finché un giorno nel vederla fare la pipì sulla spiaggia mi misi a piangere. Ero emozionata come una mamma per la prima pipì del bambino nel vasino. Non avrei potuto più separarmi da lei! Mandai un messaggio a papà pregandolo di tenerla. Dopo un po’ mi rispose: “Ni”.
Ecco, quello è stato uno dei giorni più belli della mia vita! Era mia! Quel “ni” voleva dire proprio “la puoi tenere!”. La presi in braccio con le lacrime agli occhi per la felicità e la strinsi.
Quando la portai dal veterinario, il dottore parlò di un quasi miracolo. Io...