
- 448 pagine
- Italian
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eBook - ePub
La giuria
Informazioni su questo libro
La famiglia di un uomo morto di tumore a causa del fumo sfida in giudizio una potente multinazionale del tabacco, che ricorre a tutti i mezzi a sua disposizione per vincere la causa. L'esito del processo rimane però incerto, e l'ultima parola spetterà al dodicesimo membro della giuria, un giovane ex studente di legge dal passato misterioso. Un capolavoro dello scrittore di legal thriller più letto al mondo.
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Informazioni
eBook ISBN
97888520158231
Per metà il volto di Nicholas Easter era coperto dai telefoni cellulari che riempivano una vetrina. I suoi occhi non guardavano verso la macchina fotografica nascosta ed erano invece rivolti un po’ a sinistra, forse su un cliente o forse sul gruppo di ragazzi raccolti davanti al banco dove erano esposti i più recenti giochi elettronici di produzione asiatica. Scattata a una distanza di quaranta metri da un uomo ostacolato dall’intenso viavai di visitatori e acquirenti, la foto era riuscita lo stesso nitida e mostrava un bel volto giovane dai tratti marcati. Easter aveva ventisette anni, come risultava da informazioni già in loro possesso. Niente occhiali da vista. Niente anello al naso o bizzarro taglio dei capelli. Niente a indicare che appartenesse alla solita schiera di giovani computeromani commessi di negozio a cinque dollari l’ora. Secondo il questionario era lì da quattro mesi. Sosteneva anche di essere uno studente-lavoratore, ma nell’arco di trecento miglia non era stata trovata una sua iscrizione a nessun college. Almeno su questo mentiva, ne erano certi.
Non poteva essere altrimenti. Le loro informazioni erano troppo precise. Se fosse stato studente, avrebbero saputo dove, da quanto tempo, in quale disciplina, con quale rendimento. Lo avrebbero saputo senz’altro. Era commesso nel reparto computer di un centro commerciale. Niente di più o di meno. Forse aveva avuto l’intenzione di iscriversi a qualche scuola. Forse aveva mollato senza rinunciare al piacere di qualificarsi come studente. Forse così si sentiva meglio, riteneva che gli desse un certo tono.
Ma ora non era iscritto a nessun corso, né lo era stato in un recente passato. Dunque, ci si poteva fidare di lui? L’interrogativo era stato tema di dibattito già due volte, quando dalla lista era stato selezionato il suo nome e sullo schermo era apparso il suo volto. Erano giunti alla conclusione che si trattasse di un’innocua bugia.
Non fumava. Al centro commerciale il divieto veniva fatto rispettare con rigore, ma era stato visto (non fotografato) consumare un taco al Food Garden con una collega che, bevendo una limonata, aveva fumato due sigarette. Evidentemente a Easter il fumo non dava fastidio. Almeno non era un fanatico.
Nella foto appariva magro in viso, abbronzato, con un accenno di sorriso sulle labbra chiuse. Sotto la giacca rossa della divisa indossava una camicia bianca senza bottoncini al colletto e un’elegante cravatta a righe. Era curato nell’aspetto, in buona forma fisica. Chi aveva scattato la foto aveva anche interrogato Nicholas fingendosi alla ricerca di un articolo uscito di produzione: disse che parlava con proprietà, era servizievole, competente, sostanzialmente simpatico. Secondo il cartellino che portava sul bavero era caporeparto, ma erano stati individuati anche altri due dipendenti con la stessa qualifica.
Il giorno dopo un’attraente ragazza in jeans che vagava nei dintorni del reparto software si accese una sigaretta. Per caso Nicholas Easter era il commesso, o che altro fosse, più vicino. Le si avvicinò e le chiese di spegnerla. La ragazza si finse contrariata, persino offesa, e cercò di provocarlo. Easter mantenne un atteggiamento cortese, spiegandole che il divieto non ammetteva deroghe. La invitava ad andare a fumare altrove. «Le dà fastidio il fumo?» aveva chiesto lei tirando una boccata. «No» aveva risposto Easter. «Ma dà fastidio al proprietario del centro commerciale.» Poi le chiese di nuovo di smettere. Lei ribatté che era lì per acquistare una nuova radio digitale e gli chiese se poteva procurarle un posacenere. Nicholas prese una lattina vuota da sotto il banco e le sfilò la sigaretta dalle dita, spegnendola nella lattina. Per venti minuti discussero di vari modelli di radio mentre lei continuava a mostrarsi indecisa sulla scelta, stuzzicando il suo interesse con aperte provocazioni. Pagata la radio, gli lasciò il suo numero di telefono. Easter promise di chiamarla una volta o l’altra.
L’episodio durò ventiquattro minuti e fu registrato da un piccolo apparecchio che la ragazza aveva nella borsetta. Il nastro fu ascoltato dagli avvocati e dai loro periti mentre la fotografia veniva proiettata sul muro. Il rapporto scritto della ragazza riempiva sei pagine del fascicolo di Easter e conteneva le sue osservazioni: dalle scarpe (un vecchio paio di Nike) all’alito (gomma da masticare alla cannella), al vocabolario (livello universitario), al modo in cui le aveva sottratto e aveva maneggiato la sigaretta. A suo avviso di esperta in materia, Easter non aveva mai fumato.
Ascoltarono il tono gradevole della voce, la professionalità delle argomentazioni con cui presentava i suoi prodotti, l’accattivante cordialità dei suoi convenevoli, e ne trassero un giudizio positivo. Era intelligente e non aveva pregiudizi contro il tabacco. Non aderiva al loro modello di giurato, ma era senz’altro un elemento da tenere d’occhio. Il problema con Easter, potenziale giurato numero cinquantasei, era che sapevano così poco di lui. La sua comparsa sulla Costa del Golfo risaliva a meno di un anno prima e non si sapeva da dove fosse arrivato. Il suo passato era un mistero. Abitava un miniappartamento preso in affitto a otto isolati dal palazzo di giustizia (avevano fotografie dello stabile) e aveva cominciato lavorando come cameriere in una casa da gioco sul lungomare. Era rapidamente salito al rango di croupier al tavolo di black-jack, ma aveva lasciato il posto due mesi dopo.
Quando il Mississippi aveva legalizzato il gioco d’azzardo, lungo la costa erano spuntati dal giorno alla notte una decina di casinò, dando inizio a una nuova ondata di prosperità. Da ogni parte era accorsa gente in cerca di lavoro, quindi era logico presumere che Nicholas Easter si fosse trasferito a Biloxi per lo stesso motivo che aveva spinto lì altre diecimila persone come lui. Il solo particolare a contraddistinguerlo era l’essersi registrato così velocemente nelle liste elettorali.
Possedeva un Maggiolino Volkswagen del 1969, di cui fu proiettata sulla parete una foto che sostituì quella del suo volto. Nessuna sorpresa: ventisette anni, scapolo, sedicente lavoratore-studente, era statisticamente il tipico proprietario di un veicolo del genere. Niente adesivi che indicassero simpatie politiche, coscienza civica o passioni sportive. Nessun contrassegno di posto auto in qualche università. Nemmeno un’indicazione sbiadita del concessionario da cui proveniva il veicolo. Per chi lo osservava, il Maggiolino non aveva alcun significato se non quello di un tenore di vita che rasentava la povertà.
A manovrare il proiettore e a svolgere il grosso dell’esposizione verbale era Carl Nussman, un avvocato di Chicago che aveva smesso di esercitare e dirigeva ora un proprio studio di consulenza per la composizione delle giurie. In cambio di un piccolo patrimonio in denaro, Carl Nussman e la sua équipe garantivano la scelta della giuria migliore. Raccoglievano i dati, si procuravano le fotografie, registravano le voci, inviavano le bionde in jeans attillati a creare le giuste situazioni. Carl e la sua organizzazione operavano ai limiti della legge e dell’etica professionale, ma sarebbe stato impossibile incastrarli in qualcosa di illecito. Del resto non c’è niente di illegale o immorale nel fotografare cittadini da selezionare per una giuria. Già sei mesi prima, poi di nuovo a distanza di altri due e un’ultima volta un mese addietro, avevano svolto intensi sondaggi telefonici nella contea di Harrison per valutare l’atteggiamento generale sulle questioni riguardanti il tabacco e costruire il modello di riferimento del giurato perfetto. Nessuna strada e nessuna scorciatoia erano state trascurate, non c’erano lati oscuri che non avessero indagato. Alla fine avevano messo insieme un dossier per ognuno dei possibili giurati.
Carl pigiò un bottone e alla Volkswagen si sostituì l’immagine anonima di una scorticata facciata di edificio, quello nel quale abitava Nicholas Easter. Un altro cambio di diapositiva e riapparve il suo viso.
«Dunque abbiamo solo tre foto del numero cinquantasei» concluse Carl con una nota di delusione, lanciando uno sguardo di rimprovero al fotografo, uno dei suoi numerosi investigatori privati, che già gli aveva spiegato di non aver potuto fotografare il giovane senza rischiare di essere scoperto. Il fotografo sedeva contro la parete, di fronte al lungo tavolo intorno al quale avevano preso posto gli avvocati, gli assistenti e gli esperti di giurie. Era già ai limiti della pazienza. Erano le sette di un venerdì sera, sulla parete c’era il numero cinquantasei e dovevano passarne ancora centoquaranta. Sarebbe stato un fine settimana orrendo. Aveva bisogno di bere qualcosa.
Cinque o sei avvocati in camicia stropicciata e maniche arrotolate prendevano incessantemente appunti, alzando di tanto in tanto gli occhi al ritratto di Nicholas Easter, laggiù, dietro Carl. Il gruppo assortito dei periti (psichiatra, sociologo, grafologo, professore di legge e via di seguito) sfogliava fascicoli e tabulati. Non sapevano che cosa fare di Easter. Era un bugiardo e nascondeva qualcosa del suo passato, eppure il candidato che avevano sulla carta e sulla parete sembrava meritevole.
Forse non mentiva. Forse l’anno precedente aveva frequentato qualche istituto di seconda categoria in Arizona e loro non erano riusciti a rintracciarne il passaggio.
“Dategli una possibilità di riscattarsi” pensò il fotografo, tenendo tuttavia la bocca chiusa. In quella sala di teste d’uovo in abiti da sartoria la sua opinione non aveva alcun valore. Non era suo compito esprimerla.
Carl si schiarì la gola lanciandogli un’ultima occhiata e annunciò il numero cinquantasette. Sulla parete apparve il volto sudato di una giovane madre e almeno due dei presenti fecero una risatina. «Traci Wilkes» la presentò Carl, quasi fosse una vecchia amica. Si udì un lieve frusciare di carte sul tavolo. «Trentatré anni, sposata, madre di due figli, moglie di un medico, due country club, due centri salutistici, un elenco interminabile di iscrizioni ad altri club.» Carl recitò i dati a memoria mentre azionava il proiettore. Il viso arrossato di Traci scomparve e il suo posto fu preso da un’altra foto a figura intera, in cui la si vedeva trotterellare su un marciapiede, in una sgargiante tuta elasticizzata rosa e nero, Reebok immacolate, visiera bianca, ultimissimo modello di occhiali da sole con lenti riflettenti e lunghi capelli raccolti in una perfetta coda di cavallo. Spingeva la carrozzina di un neonato. Traci viveva per sudare. Era abbronzata e in forma smagliante, ma non esattamente snella come ci si sarebbe aspettati. Aveva qualche brutta abitudine. Un’altra immagine di Traci sulla sua Mercedes familiare nera con figli e cani a guardar fuori da tutti i finestrini. Un’altra di Traci che caricava borse della spesa sullo stesso veicolo, Traci con un paio di scarpe sportive diverse, calzoncini attillati e l’aspetto di chi cerca sempre di apparire atletico. Era stato facile pedinarla perché si muoveva ai limiti della frenesia e non si era fermata un istante a guardarsi intorno.
Carl fece scorrere le foto di casa Wilkes, un’imponente villetta monofamiliare su tre piani che era il biglietto da visita di un dottore in medicina. Vi si soffermò poco, volendo dedicare più tempo all’ultima immagine. Quindi proiettò Traci, di nuovo lucida di sudore, con la bici di marca abbandonata nell’erba. Era seduta sotto un albero del parco, lontana da tutti, seminascosta… a fumare una sigaretta!
Il fotografo sogghignò. Era il suo piccolo capolavoro, quell’immagine rubata da un centinaio di metri che raffigurava la moglie di un medico mentre fuma una sigaretta di nascosto. Non sapeva che fosse una fumatrice. Si era fermato casualmente a farsi una sigaretta vicino a un ponticello quando lei gli era sfrecciata accanto. Si era trattenuto nel parco per mezz’ora, finché l’aveva vista fermarsi e frugare nella borsa della bici.
L’atmosfera in sala si rasserenò mentre tutti osservavano Traci che fumava seduta sotto l’albero, poi Carl disse: «Inutile dire che prendiamo la numero cinquantasette». Scrisse un’annotazione su un foglio di carta, poi bevve un sorso di caffè ormai tiepido da un bicchierino di carta. Come si poteva rinunciare a Traci Wilkes? Chi non avrebbe voluto avere nella giuria la moglie di un medico quando gli avvocati dell’accusa chiedevano un risarcimento di milioni? Fosse stato per lui, avrebbe costituito una giuria di sole mogli di medici. Il fatto che a Traci piacesse fumare era solo un piccolo, ben accetto supplemento.
Il numero cinquantotto lavorava in un cantiere navale a Ingalls, Pascagoula: cinquant’anni, razza bianca, divorziato, rappresentante sindacale. Carl mostrò la foto del suo Ford pick-up, ma, nel momento in cui si accingeva a sintetizzare i suoi dati personali, la porta si aprì ed entrò Rankin Fitch. Carl si interruppe. Gli avvocati si drizzarono di scatto sulle loro poltrone e mostrarono istantaneamente un vivo interesse per il pick-up. Presero a scrivere furiosamente sui loro bloc-notes, come se ci fosse il rischio di non rivedere mai più un veicolo così sensazionale. Anche i consulenti entrarono fulmineamente in azione, curvi a prendere appunti e a evitare di guardare il nuovo arrivato.
Fitch era tornato. Fitch era in sala.
Chiuse lentamente la porta, avanzò di qualche passo verso il tavolo e si fermò a osservare chi vi era seduto, a uno a uno. Il suo sguardo era più rancoroso che severo, la carne gonfia intorno agli occhi scuri si raggrinzì. Le rughe profonde che gli solcavano la fronte da una parte all’altra si approfondirono. Il torace voluminoso si riempì e si vuotò adagio, e per un paio di secondi Fitch fu l’unico dei presenti a respirare. Le sue labbra si schiudevano per mangiare e bere, qualche volta per parlare, mai per sorridere.
Fitch era in collera, come al solito, niente di nuovo, se era vero che non perdeva la sua aggressività neanche nel sonno. Ma avrebbe imprecato e minacciato, magari scagliato qualche suppellettile, o si sarebbe limitato a covarsi dentro la rabbia? Con Fitch non si potevano mai fare previsioni. Si fermò a ridosso del tavolo fra due giovani avvocati che erano entrambi soci dello studio e percepivano sostanziosi stipendi a sei cifre, mentre Fitch dal canto suo era un estraneo proveniente da Washington, un intruso che ringhiava e abbaiava nei loro corridoi ormai da un mese. I due giovani avvocati non osarono guardarlo.
«Che numero?» chiese Fitch a Carl.
«Cinquantotto» si affrettò a rispondere Carl, ansioso di compiacerlo.
«Torni al cinquantasei» pretese Fitch e Carl fece scorrere velocemente le diapositive all’indietro finché sul muro non riapparve il volto di Nicholas Easter. Si udì scompiglio di scartoffie sul tavolo.
«Che cosa sapete?» domandò Fitch.
«Lo stesso di prima» rispose Carl distogliendo lo sguardo.
«Splendido. Su centonovantasei, quanti sono ancora un enigma?»
«Otto.»
Fitch sbuffò e scosse lentamente la testa. Tutti attesero l’esplosione. Lui invece si accarezzò per qualche secondo la barbetta meticolosamente spuntata e fissò Carl, concedendosi una pausa severa. «Proseguirete fino a mezzanotte» ordinò. «E ricomincerete alle sette di domani mattina. E domenica uguale.» Ciò detto, si voltò di scatto e li liberò della sua corpulenta presenza.
La porta si richiuse sbattendo. L’atmosfera si alleggerì notevolmente, poi, all’unisono, gli avvocati, i periti, Carl e tutti gli altri consultarono l’orologio. Avevano appena ricevuto l’ordine di trascorrere in quella stanza trentanove delle successive cinquantatré ore, a guardare ingrandimenti di facce già viste, a memorizzare nomi, date di nascita e dati biografici di quasi duecento persone.
E nessuno dei presenti aveva il minimo dubbio che avrebbero fatto esattamente come era stato loro richiesto. Nemmeno l’ombra.
Fitch prese le scale per scendere al pianterreno, dove lo attendeva il suo autista, un colosso d’uomo di nome José. José era vestito di nero, con stivaletti neri e occhiali neri che toglieva solo per fare la doccia e dormire. Senza bussare Fitch aprì una porta e interruppe una riunione in corso da ore. Quattro avvocati con i loro vari assistenti e collaboratori stavano visionando i videotape con le deposizioni dei primi testimoni dell’accusa. Il nastro che stava scorrendo in quel momento si fermò pochi secondi dopo l’irruzione di Fitch, che parlò brevemente con uno degli avvocati e uscì. José lo seguì attraverso una lunga e stretta biblioteca, scortandolo a un’altra porta, che Fitch aprì senza farsi annunciare, gettando nel panico un’altra squadra di legali al lavoro.
Con i suoi ottanta avvocati, la Whitney & Cable & White era lo studio più grande operante sulla Costa del Golfo. Il personale era stato selezionato da Fitch in persona e, grazie alla sua abilità, avrebbe fruttato milioni in parcelle. Ma per rastrellare tutto quel denaro lo studio doveva sopportare i modi dispotici e spietati di Rankin Fitch.
Sicuro che in tutto il palazzo fossero consapevoli della sua presenza e terrorizzati dai suoi movimenti, Fitch uscì. Fermo in strada, nell’aria tiepida di ottobre, attese José. A tre isolati, in uno dei piani superiori di un vecchio edificio bancario, vedeva molte delle finestre ancora illuminate. Il nemico era al lavoro. Là, riuniti in diversi uffici, i rappresentanti legali della parte lesa erano a consulto con i loro periti e stavano esaminando fotografie sgranate, analizzando i dati in loro possesso più o meno come si faceva sull’altro versante. Il processo avrebbe avuto inizio lunedì con la selezione della giuria e Fitch sapeva che anche nello schieramento opposto ci si arrovellava davanti a nomi e volti, domandandosi chi fosse mai quel Nicholas Easter e da dove fosse saltato fuori. E Ramon Caro e Lucas Miller e Andrew Lamb e Barbara Furrow e Dolores DeBoe… Chi erano mai costoro? Solo in uno Stato alla periferia dell’impero come il Mississippi circolavano elenchi così antiquati di cittadini abilitati a far parte di una giuria. Fitch aveva diretto la difesa in otto casi prima di quello, e in otto diversi Stati dove, grazie all’utilizzo dei computer, gli elenchi venivano puntualmente aggiornati: quando l’usciere ti metteva in mano la lista dei giurati non avevi da preoccuparti di c...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- La giuria
- Capitolo 1
- Capitolo 2
- Capitolo 3
- Capitolo 4
- Capitolo 5
- Capitolo 6
- Capitolo 7
- Capitolo 8
- Capitolo 9
- Capitolo 10
- Capitolo 11
- Capitolo 12
- Capitolo 13
- Capitolo 14
- Capitolo 15
- Capitolo 16
- Capitolo 17
- Capitolo 18
- Capitolo 19
- Capitolo 20
- Capitolo 21
- Capitolo 22
- Capitolo 23
- Capitolo 24
- Capitolo 25
- Capitolo 26
- Capitolo 27
- Capitolo 28
- Capitolo 29
- Capitolo 30
- Capitolo 31
- Capitolo 32
- Capitolo 33
- Capitolo 34
- Capitolo 35
- Capitolo 36
- Capitolo 37
- Capitolo 38
- Capitolo 39
- Capitolo 40
- Capitolo 41
- Capitolo 42
- Capitolo 43
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