Così parlò Bellavista
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Così parlò Bellavista

Napoli, amore e libertà

  1. 238 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Così parlò Bellavista

Napoli, amore e libertà

Informazioni su questo libro

DAL 19 MARZO "NAPOLITUDINE", il libro di LUCIANO DE CRESCENZO e ALESSANDRO SIANI. Il professor Gennaro Bellavista è un personaggio di Totò che si traveste da filosofo. E le sue uscite sono piene di saggezza e di umanità.
Dal libro è stato tratto il film interpretato dallo stesso De Crescenzo nelle vesti del protagonista.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804284741

VII

La teoria dell’amore e della libertà

«La sigaretta!» grida il bigliettaio nell’autobus.
«Ma veramente io adesso mi sono preso il caffè.»
«Ah, va bene.»
A. SAVIGNANO
«Professò le confesso che io nei riguardi di Napoli provo sentimenti sempre contrastanti: a volte d’amore e a volte di rifiuto. Non so come spiegarlo ma, quando sono in giro per il mondo, mi struggo dalla nostalgia e poi, quando torno a Napoli, mi accorgo che non ce la faccio a rimanere.»
«Caro ingegnere,» mi risponde il professore Bellavista «ma questo è perfettamente normale: la maggior parte degli emigrati napoletani di un certo livello, una volta perso l’allenamento alla “napoletanità”, non sono più in grado, fisicamente parlando, di sopravvivere ad un misero ponte di quattro giorni nella loro città natale.»
«E questo veramente mi dispiace,» continuo io «perché poi, lei deve sapere che quando sto fuori Napoli, io difendo Napoli a spada tratta, e, sinceramente parlando, ho la netta sensazione che questa sia l’unica città dell’Universo dove io posso avere qualche speranza di capire e di farmi capire. A volte, finisco addirittura per compiangere quei miei amici, non napoletani, che per quanto sensibili non riusciranno mai ad entrare nella nostra cultura, e qui sia chiaro che per cultura napoletana non intendo solo la poesia di Di Giacomo, di Viviani o di De Filippo, ma anche quella saggezza di vita dei nostri vecchi, il loro equilibrio, i loro modi di dire, insomma quella che volendo usare una brutta espressione si è soliti chiamare “filosofia napoletana”.»
«E perché la considera una brutta espressione?» mi chiede Bellavista.
«Perché generalmente viene considerata una filosofia deteriore, qualunquista, fatta di disimpegno e di parassitismo.»
«Mamma mia, e come me l’avete pittata male questa filosofia napoletana!»
«E che vuole che le dica professore? A volte, per sopportare Napoli bisogna volerle veramente molto bene. Prenda ad esempio, quello che mi è successo quando sono arrivato alla stazione centrale sabato scorso. Non avevo fatto nemmeno due passi che già ero stato assalito da uno che mi voleva vendere bottiglie di whisky, foto pornografiche e orologi, e poi un altro che mi voleva portare la valigia e, invece di chiedermelo soltanto, cercava di togliermela dalla mano con la forza, e poi infine cento altre persone: e chi mi offriva il taxi abusivo, chi l’albergo, uno voleva semplicemente dei soldi per il treno perché teneva la madre malata al manicomio di Aversa, e poi fuori dalla stazione c’era di tutto: il traffico, i clacson delle auto usati continuamente e senza motivo, la gente che ti urta, nessuno che rispetta la fila, tutti che parlano ad alta voce, i ristoranti sottosviluppati con i peggiori menù del mondo, le zuccheriere dei bar con lo zucchero sporco di caffè, lo squallore della metropolitana, il rumore dei vicoli, il rumore delle radio messe al massimo volume, il rumore dovunque.»
«Tutto qua?» chiede tranquillo Bellavista. «E lei caro ingegnere dicendomi queste cose mi fa pensare ad un mio carissimo amico, il dottore Vittorio Palluotto. Lo conosce?»
«Veramente no.»
«Il dottor Palluotto si trasferì per lavoro a Milano cinque o sei anni fa e oggi è un importante dirigente di un’importante società di consulenza di cui però non ricordo il nome, comunque volevo dire che, da quando si è trasferito a Milano, Vittorio si è, come dire, guastato, e quelle stesse cose, che prima a Napoli costituivano il suo vivere quotidiano, oggi gli risultano insopportabili. La verità è che il nostro Vittorio ha perso quel silenziatore incorporato che gli attutiva i rumori caratteristici del mondo dell’Amore e di conseguenza ha cambiato la scala di riferimento dei suoi valori: oggi Vittorio Palluotto vede nell’efficienza e nella produttività le virtù cardinali e finisce col sottovalutare gli effetti secondari e deleteri che queste presunte virtù comportano.»
«Quello il dottor Vittorio quando è più sotto Natale» dice Salvatore «viene sempre a trovare il professore.»
«Infatti lo stiamo aspettando da un giorno all’altro,» dice il professore rivolto verso di me «e se lei mi vorrà onorare ancora di qualche sua visita...»
«L’onore è mio.»
«Avrò il piacere di presentarle il mio amico e nemico dottore Palluotto.»
«Amico e nemico! Ha detto proprio bene il professore» interviene Saverio. «Quelli ingegnè sono come cani e gatti, ma si fanno delle appiccicate1 che io dico: ma vuoi vedere che adesso questi scherzando scherzando si prendono a paccheri?2 Anzi io dico sempre: ma a voi che ve ne importa? Napoli è così com’è e non può farci niente nessuno. Se al dottore Vittorio piace Milano se ne stesse a Milano che così non si piglia più tutta questa collera.»
«Io» dice Salvatore «una volta sola sono stato al Nord perché ho fatto il servizio militare a Peschiera sul Lago di Garda, ebbè, mi dovete credere ingegnè, su quel lago ci era un silenzio ma un silenzio tale che io ogni sera mi andavo a coricare con il male di capa. Quella perciò c’è la nebbia. Il Padreterno avrà detto: io tutta questa nebbia dove la metto? Adesso la metto nella valle padana tanto quelli, i settentrionali, già stanno tanto ammosciati che non se ne accorgono nemmeno.»
«Salvatore in questa sua teoria» aggiunge il professore «ha avuto un illustre predecessore: anche Oscar Wilde diceva che non è la nebbia che fa venire la voglia di lavorare, ma che è la voglia di lavorare che fa venire la nebbia.»
«Quanto è bello il professore! Sa tutto!» esclama Saverio.
«Ma ritorniamo a Napoli» continua il professore. «Dunque io dico che la maniera di essere dei napoletani è troppo esagerata, troppo marcata per non indurci al sospetto e alla riflessione. Secondo me, lo straniero che subisce il primo scontro con questa realtà non dovrebbe affrettarsi a giudicare secondo il suo codice ed emettere una troppo facile sentenza d’inciviltà, ma, al contrario, dovrebbe riflettere che se esiste un tale inabitabile universo, peraltro abitato, e comunque noto nel mondo, ciò vuol dire che deve anche esistere una contropartita, un compenso di natura diversa.»
«Professò siamo tutti orecchi» dice Salvatore. «Fateci sapere qualcosa su questo compenso che dobbiamo avere.»
«Ma, amici miei, il compenso lo abbiamo già, quotidianamente, ma, per capirlo, è necessario che io vi accenni alla mia teoria dell’Amore e della Libertà, senza la quale è sicuramente difficile pesare i meriti ed i demeriti di una maniera di vivere come quella napoletana.»
«Se non vado errato, già un’altra volta lei mi ha accennato a questa teoria» dico io. «Perché non ce la illustra adesso?»
«Ha fretta?» chiede il professore. «Deve andare via subito?»
«Veramente no» dico io.
«E chi si muove» dice Salvatore. «Io l’ho già sentita questa cosa qua, quando il professore la spiegava al dottor Vittorio, ma però, vi confesso, che quella volta non capii bene tutte le sfumature e perciò adesso mi fa piacere se il professore ce la spiega un’altra volta.»
«Ed io ve la torno a raccontare con piacere. Però mi dovete fare una cortesia: questa teoria non è molto semplice a causa dei diversi significati che si possono dare alle sue parole chiave: amore e libertà. Vi chiedo pertanto di concedermi proprio all’inizio un po’ di attenzione.»
«E ci mancherebbe altro che non stessimo attenti professò» risponde Saverio. «Qua la vostra conversazione, non solo è di grandissimo interesse, ma ci onora altamente. Anzi, sapete che vi dico? Aspettate un momento a cominciare che io vado a pigliare un’altra bottiglia di vino, che così non mi devo alzare mentre voi parlate e finisce che poi mi perdo qualche passaggio fondamentale.»
«Quello Saverio, quando c’è il vino, trova tutto di altissimo interesse» maligna Salvatore. «Ma voi, professore, non vi preoccupate: parlate con la massima tranquillità che noi non abbiamo niente da fare essendo, diciamo così, quasi tutti in ferie.»
«Ma è proprio sua questa teoria, professore?» chiedo io.
«Veramente il primo a parlarmi di amore e di libertà fu un mio amico di Milano, Giancarlo Galli. Poi in seguito questo spunto fu da me approfondito ed integrato con la filosofia epicurea. Ora però adesso, dal momento che Saverio ha preso la bottiglia di vino e che si è di nuovo seduto, vorrei cominciare, e per prima cosa vorrei chiarire che cosa dobbiamo intendere per desiderio d’amore.»
«Il desiderio di quella cosa là» risponde subito Saverio.
«Nossignore Savè, quella cosa là, che tu tieni sempre in fronte, qua una volta tanto non c’entra. Noi per amore dobbiamo intendere quel desiderio istintivo che ha l’uomo per la compagnia e l’affetto degli altri uomini.»
«Volete dire i ricchioni professò?» interviene ancora Saverio.
«E dalli Savè! Ti ho già detto che in questa teoria il sesso non c’entra. Ma tu, Saverio mio, beviti il vino e statti un poco a sentire! Ah! E se m’interrompi continuamente mi fai perdere il filo del discorso! Quella, la teoria, è già un poco complicata, tu ti ci metti pure tu!»
«Non vi preoccupate professò» dice Salvatore. «Dite pure che a Saverio ci penso io.»
«Dunque l’amore, come vi dicevo, è un sentimento che ci spinge a cercare la compagnia del prossimo, ed atti d’amore sono tutte quelle manifestazioni che noi compiamo nel tentativo di dividere con gli altri le gioie ed i dolori della nostra vita. Questo impulso verso i propri simili è istintivo. Probabilmente gli studiosi di antropologia vedranno in esso una azione di difesa dell’uomo primitivo che, attraverso l’alleanza con altri uomini, aumentava le proprie probabilità di sopravvivenza. È ovvio che la capacità d’amore è diversa da uomo a uomo, per cui esiste l’egocentrico, la cui forza d’amore è zero, il soggetto che ama solo i suoi familiari, quello che ama maggiormente i suoi connazionali, i filantropi che amano la umanità intera, per finire a S. Francesco che amava con la stessa intensità tutto l’Universo in ogni sua manifestazione.»
«Anche io professò sento di amare tutta l’umanità» dice Saverio «e non capisco come può succedere che un popolo si mette a fare la guerra ad un altro popolo. Uno se ci riflettesse un poco dovrebbe pensare: ma come? Quello anche il nemico è fatto di cristiani come noi, pure loro debbono tenere a casa madri, mogli e criature che li stanno ad aspettare, e allora come posso io, sapendo tutto questo, buttare una bomba sopra alla loro casa? Gesù, Gesù, io certe volte, se ci penso, esco pazzo!»
«Allora tu, Saverio, non fai distinzioni, per esempio, tra italiani e americani, oppure tra italiani e cinesi?»
«Nossignore, per me sono tutti cristiani, ed io li amo tutti nella stessa maniera.»
«Anche se sono napoletani?»
«Che c’entra, se sono napoletani è un’altra cosa! Quello è sangue del nostro sangue, ed io per un napoletano all’estero sarei disposto a fare cose ’e pazze. Io parlavo dell’umanità, non dei napoletani.»
«Ma vedi Saverio mio,» continua il professore «è facile amare l’umanità, difficile è amare il prossimo. Cristo infatti non disse “Ama l’umanità come te stesso” ma disse “Ama il prossimo tuo come te stesso”, e sai perché? Perché il prossimo tuo, te lo dice la parola, è quello che ti sta vicino, quello che sta seduto vicino a te nella metropolitana e che magari puzza, quello che sta dietro a te nella fila e che vuole passare davanti, insomma, il prossimo tuo è quello che minaccia la tua libertà personale.»
«Insomma professò,» dice Salvatore «se ho ben capito il vostro discorso, qua se uno vuole essere una brava persona che ama il prossimo, deve sentire pure un poco di puzza.»
«Hai capito benissimo Salvatò, e se la puzza non ti piace allora vuol dire che non sei un uomo d’amore, ma bensì un uomo di libertà.»
«E sarebbe?» chiede Salvatore.
«E adesso te lo spiego. Dunque, per desiderio di libertà dobbiamo intendere la tendenza a difendere la propria intimità. E qui veramente il termine “intimità” non rende bene l’idea in quanto generalmente lo si usa per indicare aspetti per i quali si è giustamente riservati, mentre invece la sfera personale, che noi intendiamo difendere è molto più vasta e si estende dalla libertà di azione fino a quella di pensiero. Probabilmente la lingua italiana non possiede nemmeno il vocabolo adatto e questo fatto già c’illumina sul carattere dell’uomo italiano, comunque noi, per la nostra teoria, ricorrendo naturalmente alla lingua inglese, prenderemo in prestito la parola “privacy”, che, più che un sentimento, esprime una maniera di vivere e concluderemo dicendo che per desiderio di libertà dobbiamo intendere il desiderio di proteggere la nostra privacy e nel contempo il desiderio di rispettare la privacy degli altri.»
«Seguendo il suo ragionamento,» dico io «allora ciascuno di noi ha dentro di sé, dosati in maniera diversa, tutti e due questi impulsi: amore e libertà, che, in base ai significati da lei attribuiti, pur essendo entrambi desiderabili, sono sempre in contrasto tra loro. Insomma uno, a volte, quando sta solo, cerca disperatamente la compagnia del prossimo e poi, magari altre volte, quando si vede troppo legato a qualcuno, soffre di non poter essere lasciato in pace.»
«Precisamente» risponde il professore.
«È proprio vero professò!» interviene Saverio. «Io certe volte di mia moglie Assuntina non ne posso proprio più. Ma come? dico io. Tu vedi che dopo mangiato a me mi piace starmene un poco fuori al balcone a farmi quella mezz’oretta di addobbochiamiento3 ebbè ma perché proprio allora tu mi devi intossicare dicendomi continuamente qualcosa: “Savè hai fatto questo? Savè hai fatto quello?” e tititì tititì tititì, sempre nelle orecchie mie! Poi, quella volta che Assuntina se ne andò a Procida con i bambini da una sorella cugina che tiene la casa vicina al mare e che ci disse ma perché qualche giorno non venite a farci una visitina a Procida e fate fare due bagni a queste povere creature che noi ci abbiamo anche il canotto di gomma e che poi invece voleva essere aiutata dalla mattina alla sera per i figli suoi. Ebbè mi dovete credere, io solo a casa non ce la facevo più, giravo per le stanze come un inzallanuto4 e quando Assuntina tornò, andai a prenderla al vaporetto un’ora e mezza prima dell’arrivo.»
«Saverio mio, hai capito perfettamente quello che volevo dire. Nel tuo caso l’amore aveva sconfitto la libertà.»
«Professò ma io vorrei dire una cosa,» dice Salvatore «amore e libertà sono due cose tutte e due buone? E allora io penso che un uomo a posto dovrebbe tenere tutti e due questi sentimenti. Insomma volevo dire che uno dovrebbe essere contemporaneamente uomo d’amore e uomo di libertà, non so se mi sono spiegato.»
«Sissignore, e infatti queste dovrebbero essere le caratteristiche dell’uomo superiore; però in pratica i due impulsi sono tra di loro contrastanti e finiscono ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. di Luciano De Crescenzo
  3. Così parlò Bellavista
  4. Due parole di prefazione
  5. I. Salvatore
  6. II. Il bello addormentato
  7. III. Saverio
  8. IV. Storia di una contravvenzione
  9. V. Il professore
  10. VI. Zorro
  11. VII. La teoria dell’amore e della libertà
  12. VIII. L’arte della commedia
  13. IX. Il prezzo fisso
  14. X. Mia madre
  15. XI. Epicuro
  16. XII. Eccesso di velocità
  17. XIII. Il basso
  18. XIV. Servizio sveglia
  19. XV. La rosa dei 16 mestieri
  20. XVI. Controra
  21. XVII. Il quarto sesso
  22. XVIII. Una colazione d’affari
  23. XIX. L’ideale politico del professore
  24. XX. Lo strillone
  25. XXI. Lotta continua
  26. XXII. La polverina
  27. XXIII. Piedigrotta
  28. XXIV. Gennarino ’o kamikazze
  29. XXV. La delinquenza
  30. XXVI. Il mistero
  31. XXVII. Neapolitan Power
  32. XXVIII. Il mariuolo
  33. XXIX. Il sentiero di mezzo
  34. Copyright