Sapete qual è il problema con i genitori? Si è costretti a mentire per proteggerli. È per il loro bene. Insomma, prendiamo i miei. Se solo avessero un’idea della mia reale situazione – soldi, vita sentimentale, impianto idraulico, tasse – gli verrebbe subito un infarto e il dottore chiederebbe: “Qualcuno per caso li ha scioccati?”. E sarebbe tutta colpa mia. Quindi, loro sono qui da meno di dieci minuti e io ho già detto le seguenti bugie:
1) È poco ma sicuro che la L&N Executive Recruitment comincerà presto a realizzare profitti.
2) Natalie è una socia fantastica, ed è stata davvero una grande idea mollare il lavoro per fare la cacciatrice di teste insieme a lei.
3) Tranquilli, non vivo solo di pizza, yogurt alle amarene e vodka.
4) Sì, lo sapevo che si paga la mora sulle multe per divieto di sosta.
5) Sì, ho visto il DVD di Charles Dickens che mi avete regalato per Natale: meraviglioso, davvero, per non parlare di quella signora con la cuffietta… sì, Peggotty, proprio lei intendevo.
6) Avevo giusto l’intenzione di comprare un allarme antifumo nel weekend: è davvero una coincidenza che me ne abbiate parlato.
7) Sì, sarà molto bello rivedere tutti i parenti.
Sette bugie. Senza contare quelle sulla mise della mamma. E non abbiamo neanche toccato l’Argomento.
Mentre esco dalla camera con il vestito nero e il mascara messo alla bell’e meglio, vedo che la mamma sta guardando la bolletta del telefono scaduta da tempo sul ripiano del camino.
«Stai tranquilla» dico in fretta «me ne occupo al più presto.»
«Guarda che, se non lo fai, ti staccano la linea e poi impiegano secoli per riallacciarla, e il cellulare qui non prende bene. In caso di emergenza, come te la cavi?» Corruga la fronte per l’ansia, quasi tutto questo stesse per accadere. È come se in camera ci fosse una donna che urla in preda alle doglie del parto e dalla finestra si vedesse un’inondazione in arrivo, e noi in che modo lo chiamiamo l’elicottero? In che modo?
«Ehm… non ci avevo pensato, mamma. Pagherò la bolletta prima possibile, davvero.»
La mamma è sempre stata un tipo apprensivo. Fa quel suo sorriso teso e ha lo sguardo assente, spaventato, e tu capisci che già si prefigura una scena apocalittica. Aveva la stessa espressione durante la festa per la consegna dei diplomi, l’ultimo giorno di scuola. In seguito confessò di aver notato all’improvviso un lampadario a gocce appeso al soffitto con una catena malsicura che aveva iniziato a ossessionarla: cosa sarebbe successo se fosse caduto sulla testa delle ragazze frantumandosi in mille pezzi?
Adesso si sta sistemando il tailleur nero con le spalle imbottite e strani bottoni di metallo che la infagotta da morire. Ricordo vagamente che risale a una decina di anni fa; in quel periodo si era presentata a una serie di colloqui di lavoro e io dovevo insegnarle i rudimenti del computer, tipo come usare il mouse. Ha finito per lavorare in un ente benefico per l’infanzia, che grazie al cielo non impone un abbigliamento formale.
Nella mia famiglia, il nero non dona a nessuno. Papà indossa un completo nero opaco che lo sbatte molto. Per la verità è piuttosto bello, mio padre, con quel fisico snello e la sua aria discreta. Ha i capelli castani e scompigliati come la mamma, che però è bionda come me. Stanno entrambi benissimo quando sono rilassati e nel loro ambiente, cioè quando siamo tutti in Cornovaglia sulla vecchia barca malconcia di papà, con addosso le felpe, a mangiare fagottini ripieni. Oppure quando suonano nella locale orchestra di dilettanti, quella dove si sono conosciuti. Oggi, invece, nessuno è rilassato.
«Allora, sei pronta?» La mamma dà un’occhiata ai calzini che ho ancora ai piedi. «Dove sono le scarpe, cara?»
Mi lascio cadere sul divano. «Ma devo proprio venire anch’io?»
«Lara!» esclama in tono di rimprovero. «Era la tua prozia. Aveva centocinque anni, sai.»
L’ha ripetuto circa centocinque volte che la prozia aveva centocinque anni. Perché è l’unica cosa che sa di lei, ne sono sicura.
«E allora? Io neanche la conoscevo. Nessuno di noi la conosceva. Mi pare proprio una stupidaggine. Perché poi dovremmo trascinarci fino a Potters Bar per una vecchia decrepita che non abbiamo mai visto?» Mi incasso nelle spalle, sentendomi una bambinetta musona di tre anni invece che una matura ventisettenne con un business tutto suo.
Si intromette papà. «Zio Bill con la zia e tua cugina ci vanno, e se loro possono fare lo sforzo…»
«È una riunione di famiglia!» aggiunge la mamma tutta allegra.
Mi incasso ancora di più. Io sono allergica alle riunioni di famiglia. A volte penso che staremmo meglio se fossimo semi di soffione: niente famiglia, niente storia, liberi di volare nel mondo, ciascuno nel proprio batuffolo di lanugine.
«Non durerà molto» mi consola la mamma.
«Durerà fin troppo.» Fisso il tappeto. «E tutti mi chiederanno… della cosa.»
«Ma no!» si affretta a tranquillizzarmi lei, e intanto invoca con un’occhiata il sostegno di papà. «Nessuno accennerà alla… cosa.»
Segue un momento di silenzio. L’Argomento aleggia nella stanza, ed è come se tutti ci sforzassimo di ignorarlo. Alla fine papà prende il toro per le corna.
«Dunque, a proposito della… cosa.» Esita un attimo. «Nel complesso, tu stai… bene?»
Mi accorgo che la mamma ha drizzato le orecchie, anche se finge di sistemarsi i capelli.
«Oh, sì, bene. Insomma, non si può pretendere che mi riprenda facendo schioccare le dita…»
Papà fa un’immediata retromarcia. «No, certo che no!» Poi ritenta. «Ma sei… di buon umore?»
Annuisco.
«Ottimo!» La mamma pare sollevata. «Sapevo che avresti superato… la cosa.»
I miei genitori non dicono più “Josh” a voce alta perché io, a sentir pronunciare quel nome, iniziavo a singhiozzare disperatamente. Per un certo periodo, la mamma si riferiva a lui come “l’Innominabile”. Ora è diventato semplicemente “la cosa”.
«E non hai più… avuto contatti con lui?» Papà guarda tutto tranne me, mentre la mamma è totalmente concentrata sulla sua borsa.
Un altro eufemismo. Quello che lui intende è: “Non l’hai più ossessionato con i tuoi SMS?”.
«No» rispondo arrossendo. «No, chiaro?»
È veramente ingiusto che tiri fuori una faccenda del genere, e che comunque è stata molto gonfiata. A Josh ho mandato solo qualche messaggino. Tre al giorno, per la precisione. Del tutto irrilevante. E non erano affatto ossessivi, ma sinceri e aperti, proprio come si dovrebbe essere in un rapporto.
Insomma, non è che si possa premere l’interruttore per spegnere i propri sentimenti solo perché l’altro lo ha fatto. Non si può dire semplicemente: “Ah, giusto! Dunque il tuo programma è che non ci si vede più, non si fa più l’amore, non si parla o comunica più in alcun modo. Che idea favolosa, Josh. Come mai non ci ho pensato io per prima?”.
Così succede che mandi qualche SMS per descrivere i tuoi veri sentimenti con il solo desiderio di comunicarli, e un minuto dopo il tuo ex cambia numero di telefono e riferisce tutto ai tuoi genitori. Che spione.
«Lara, so che ci sei rimasta malissimo e questo è stato un periodo difficile per te.» Papà si schiarisce la voce. «Ma ormai sono passati quasi due mesi. Devi andare avanti, tesoro. Vedi altri ragazzi… Esci, divertiti…»
Oddio, non ce la faccio proprio a sopportare l’ennesimo discorsetto di papà su quanti sono pronti a cadere ai piedi di uno schianto di ragazza come me. Insomma, tanto per cominciare non ci sono molti uomini al mondo, lo sanno tutti. E una ragazza di un metro e cinquantotto con il naso a patata e neppure un’ombra di abbronzatura non è esattamente una bellezza.
Okay. So che a volte posso essere carina. Ho il viso a forma di cuore, dei begli occhi verdi e le lentiggini sul naso. E, per completare il quadro, una bocca piccola e carnosa che nessun altro ha in famiglia. Ma credetemi, non sono una top model.
«Allora è questo che avete fatto tu e la mamma quella volta a Polzeath, quando vi siete lasciati? Siete usciti con altri?» Non riesco a trattenermi, anche se significa rivangare cose vecchie e superate. Papà sospira e scambia un’occhiata con la mamma.
«Abbiamo sbagliato a parlargliene» mormora lei fregandosi la fronte. «Non avremmo dovuto…»
«Perché, nel caso» continuo io, inesorabile «non sareste mai tornati insieme, giusto? Papà non avrebbe mai detto che lui era l’archetto del tuo violino, e non vi sareste sposati.»
Questo aneddoto dell’archetto e del violino è entrato a far parte della storia familiare. L’ho sentito un miliardo di volte. Papà si presentò a casa della mamma madido di sudore per la pedalata e lei, che stava piangendo, finse di avere il raffreddore, e poi si rappacificarono e la nonna offrì loro tè e frollini. Non so perché i frollini siano importanti, ma vengono immancabilmente citati.
«Tesoro» sospira la mamma «era una situazione completamente diversa. Stavamo insieme da tre anni, eravamo fidanzati…»
«Lo so!» dico, sulla difensiva. «Lo so che era diverso. Intendo semplicemente che la gente torna insieme. A volte succede.»
Silenzio.
«Lara, hai sempre avuto un animo romantico…» esordisce papà.
«Non sono romantica!» esclamo, come se fosse un’offesa mortale. Fisso il tappeto e lo strofino con l’alluce, ma con la coda dell’occhio vedo che i miei genitori si fanno vigorosi cenni a vicenda per indursi a parlare. La mamma scuote la testa e indica papà come a dire: “Forza, tocca a te!”.
«Quando ci si lascia» riprende lui precipitosamente «è troppo facile guardare indietro e pensare che la vita sarebbe perfetta se si tornasse insieme. Però…»
Ora mi dice che la vita è come una scala mobile. Devo interromperlo subito, immediatamente.
«Papà, ascolta. Ti prego.» Non so come riesca a impormi un tono così pacato. «Hai frainteso. Io non ho nessuna voglia di tornare con Josh.» Cerco di dare l’impressione di trovare ridicola l’idea. «Non è per questo che gli ho mandato gli SMS. Solo, avrei desiderato una conclusione formale. Insomma, lui mi ha lasciata senza preavviso, senza parlare, discutere. Senza degnarsi di rispondere alle mie domande. È come un affare… lasciato in sospeso. Come leggere un giallo di Agatha Christie senza mai scoprire il colpevole!»
Ecco. Ora l’hanno capita.
«Bene» dice infine papà. «Comprendo la tua frustrazione…»
«Solo questo desideravo.» Mi sforzo di essere convincente. «Sapere cosa pensava Josh, parlare, comunicare come due persone civili.»
“E tornare insieme a lui.” L’ammissione silenziosa mi attraversa la mente come una freccia. “Perché io so che Josh mi ama ancora, malgrado tutti gli altri siano convinti del contrario.”
Però non vale la pena di dirlo ai miei, tanto non capirebbero. E come potrebbero? Non hanno idea di che coppia splendida formassimo io e Josh, di quanto fossimo bene assortiti. Non si rendono conto che lui, chiaramente in preda al panico, ha preso una decisione infantile, affrettata, forse basata su una qualche ragione inesistente, e se solo potessi parlargli, ...