L'uomo autografo
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L'uomo autografo

  1. 476 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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L'uomo autografo

Informazioni su questo libro

Alex-Li Tandem è un giovane mezzo ebreo e mezzo cinese che ha sempre avuto la passione degli autografi. Li colleziona, li vende, li falsifica, e ne desidera uno: quello rarissimo di Kitty Alexander, dimenticata attrice del cinema anni Quaranta. Così, dal sobborgo di Londra in cui è cresciuto insieme a un rabbino impiccione, un nero ebreo che studia la Cabala e un assicuratore, Alex si trova catapultato a New York sulle tracce dell'unico autografo che gli sia mai davvero interessato. E prima che possa rendersene conto viene risucchiato in un viaggio picaresco intorno al "vuoto" della modernità, in cerca di quella parte di sé che non sta in una firma né può essere venduta.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804582564
eBook ISBN
9788852017117

LIBRO SECONDO

Roebling Heights
Lo Zen di Alex-Li Tandem

Vedete, questa è la mia vita. E lo sarà sempre. Non esiste nient’altro. Solo noi, e le cineprese... e tutta quella splendida gente là fuori nel buio.
Viale del tramonto,
Charles Brackett, Billy Wilder e D.M. Marshman Jr
Nel dodicesimo secolo il maestro cinese Kakuan disegnò le immagini di dieci tori con un commento scritto. Il toro è l’eterno principio della vita, la verità in azione. I dieci tori rappresentano passi successivi nella realizzazione della vera natura di ciascuno.
Zen Flesh, Zen Bones,
Paul Repps e Nyogen Senzaki

UNO

In cerca del toro

art
1
«Lo Shabbat più lungo della mia vita» concluse Tandem, e maledisse Lovelear, la cui sacca in quel momento stava trasportando. Fermatosi, mollò la sacca sul pavimento, aprì la mano e scrutò il panorama rigonfio di creste rosso vivo e isolette esangui, simile a una veduta aerea del Giappone. Per la seconda volta in quello stesso giorno, era l’alba di una gelida e spietata domenica mattina. Quale ulteriore conferma si poteva pretendere della totale futilità dei viaggi transoceanici?
Alex si chinò per riprendere la sacca. Accanto a lui Dove aveva innestato il pilota automatico e spingeva il carrello a occhi chiusi attraverso un aeroporto dedicato a un presidente scomparso. Lovelear, nonostante le spacconate, aveva una paura terribile di volare e all’arrivo si era precipitato nella più vicina toilette per vomitare in santa pace.
«Guarda, Ian: New York» disse Alex, quando arrivarono alla grande porta girevole.
«New York, già» disse Ian.
«Mai stato a New York, Ian?»
«Non direi, no.»
«Ti interessa dare un’occhiata?»
«Tutto sembra così...» bofonchiò Ian, e in quel momento si ritrovò all’aperto. Nevicava. Alex aprì la bocca per fare una domanda, ma una raffica di neve lo investì in pieno viso, lasciandogli sulla lingua uno sporco, metallico gusto di paradiso.
«... uguale alle due del mattino» concluse Ian a bassa voce, appoggiando la fronte al maniglione del carrello. «Proprio tutto.»
Tra le interferenze nevose, Alex intravedeva i famosi taxi che andavano e venivano, cosicché non ce n’era mai carenza o sovrabbondanza, e le attese non erano mai troppo lunghe.
«Ho come l’impressione di esserci già stato» disse Ian, aprendo a fatica gli occhi proprio nel momento in cui un taxi si fermava davanti a loro e abbassava il finestrino. «Mi è familiare come un frammento di vita precedente o qualcosa del genere. Strano, no? Considerando che...»
«Taxi Driver» disse Alex seccamente, cominciando a scaricare i bagagli dal carrello. «Manhattan, Ultima fermata Brooklyn, Fronte del porto, Mean Streets, Il miracolo della 34ma strada, West Side Story, Un giorno a New York, Serpico, I ragazzi irresistibili, La scelta di Sophie...»
«Eva contro Eva» interloquì il tassista. «King Kong, Wall Street, Stregata dalla luna, Per favore non toccate le vecchiette, Appartamento al Plaza, Sperduti a Manhattan (originale e in remake), Il Padrino parte I e II, Kramer contro Kramer e gli odiosi Ghostbusters. Potremmo andare avanti tutto il giorno, amico mio. Il tassametro gira.»
«Tutti ci siamo già stati, Dove» disse Alex, aprendo la portiera del taxi.
«Volete scherzare?» esclamò Lovelear, proiettatosi all’improvviso fuori dalla porta girevole, con in mente un film tutto diverso. «Dietro l’angolo ci sono le limousine
«Ah, questa sì che è vita» disse enfaticamente Lovelear, eseguendo goffamente il Gesto Internazionale del lusso (mani dietro la testa, gambe allungate con i piedi accavallati). «Cioè, questa che è vita.»
Alex non ne era del tutto sicuro. In qualche modo la limousine, quantunque esageratamente lunga vista dall’esterno, una volta dentro non sembrava più spaziosa di un normale taxi giallo. E sporca, per giunta: la tappezzeria consunta rivelava molteplici tracce delle imprese di gaudenti in cerca di emozioni (quanti pompini, si chiese Alex, e quanti tappi di champagne? Com’era possibile che tanta gente fosse convinta che la limousine fosse il luogo più appropriato per cose del genere?). Da due bottiglie polverose si riversò un pallido, tiepido whisky, al quale Lovelear aggiungeva coca tiepida e svaporata. A intervalli regolari levò il bicchiere per un brindisi alla neve, alla città, ai poliziotti, al profilo dei grattacieli, allo hotdog ideale e alla ragazza bene in carne che riscuoteva i pedaggi e non si era ancora suicidata. Lovelear era del Minnesota.
E non erano ancora arrivati. Gli ultimi quartieri periferici sfilavano fuori dal finestrino, acquattati nella neve, immobili come una giornata domenicale. Alex avvertiva un particolare struggimento per i quartieri periferici sparsi tra gli aeroporti e le città; avrebbe voluto chiedere all’autista di fermarsi, andare a bussare a una di quelle porte di abete, e insinuarsi nel letto tra il pompiere e sua moglie finché qualcuno non si fosse alzato per preparare la colazione e i bambini non si fossero messi a frignare. Ma in periferia hai bisogno di un indirizzo preciso. Solo in centro puoi dire al tassista di farti scendere di fronte a un certo monumento, o dietro un certo teatro. La periferia è accessibile solo su invito. E adesso ecco comunque la città, insistente, inevitabile. Lovelear agguantò la nuca di Dove e gli orientò la testa nella giusta direzione.
«Bene così, Dove, bene così, bene... stai attento, no, più vicino al finestrino, bene così, sei pronto? Bene... adesso... guarda!»
La limousine superò il dosso della strada e la città apparve davanti a loro come un miracolo, profilata dalla luce lunare, elettrocardiogramma in cemento della visione estatica che i suoi abitanti hanno di se stessi. Alex ne restò toccato come tutti, forse anche di più... era l’unica altra città al mondo che suscitasse in lui vero desiderio. Ma a volte devi anche distogliere lo sguardo da un’amante, o non tornerai mai a casa da tua moglie; e Alex lo distolse per guardare dal finestrino opposto, verso il porto e, ancora più in là, la malinconica Brooklyn (dall’olandese Breuckelen, “terra rotta, accidentata”) e la fuggevole visione della signora di pietra. Sembrava che avesse levato in alto la spada solo un istante prima, mentre la neve turbinava intorno alla sua sagoma colossale.
2
Fuori dal traffico, dentro la città. Al Rothendale Hotel, un massiccio, malinconico edificio. I vecchi mattoni erano stati rimbiancati e all’edificio principale erano state aggiunte due brutte ali. Di recente la strada era diventata più signorile e il Rothendale era stato costretto ad adeguarsi. Dall’esterno, sembrava sconcertato dalla propria improvvisa rispettabilità, come un nonno dissoluto costretto a indossare un vestito da cerimonia e trascinato di forza al matrimonio della nipote.
All’interno, il virus aziendale si era diffuso ovunque, dalla carta da parati rossa e oro ai fiori senza odore, dalla fontanella in finto marmo al monogramma ripetuto nel disegno della moquette e al sorriso professionale che veniva rivolto ad Alex in quel preciso momento.
«Anche i signori» s’informò il giovanotto meticoloso «sono qui per l’Autographicana?»
Alex ripercorse mentalmente il suo tragitto verso la reception. Che cosa, nei suoi gesti, poteva averlo tradito? Cupamente, ritirò la cartella con i gadget del convegno, e ascoltò Lovelear interrogare il giovanotto sui servizi offerti dall’albergo.
«Sono le tre del mattino» disse Lovelear trionfante mentre attraversavano la hall qualche minuto dopo, «e potrei andarmi a fare un idromassaggio sul tetto. Pensate che potrei trovare qualcosa del genere in una di quelle topaie londinesi? Eh? Potrei andare a farmi un idromassaggio sul tetto in questo preciso istante
«E allora perché non ci vai?»
«Come?»
«Perché non ci vai?»
Arrivò l’ascensore. Entrarono.
«Se vuoi, ti accompagno» disse amabilmente Dove mentre il sesto piano sprofondava sotto di loro. «A questo punto, mi sono svegliato.»
«Sono le tre del mattino, Dove» disse stancamente Lovelear; poi scosse la testa e uscì al settimo piano.
«Naturalmente il tredicesimo non esiste» disse Dove, che considerava il silenzio in uno spazio ristretto come una sconfitta personale. «Negli ascensori americani. Non esiste il tredicesimo piano.»
Non succedeva mai che Dove dicesse qualcosa di cui Alex non fosse già al corrente, ma strano a dirsi questo Alex non lo sapeva. Alzò lo sguardo sulle luci che si accendevano e spegnevano in sequenza senza aspettarsi di trovare una conferma, ma dovette ricredersi.
«Pensa un po’» sbadigliò Dove, «una superstizione così antiquata in un grande paese avanzato come questo. Pazzesco. Come credere alla fatina dei denti. O alla cazzuta resurrezione.»
«Buona notte, Dove» disse Alex, con un sorriso magnanimo.
«Sì. Buona notte, Tandem.»
Dalla finestra della propria camera Alex poteva ammirare più vedute famose di quante un Uomo Autografo avesse il diritto di aspettarsi. Era come se tutto lo invitasse a meravigliarsi dell’oscurità che lentamente si ritirava, dell’alba, della conta giornaliera di tanti oggetti incantati: vetro verde, guglie che sembravano perforare nubi panciute, debutti teatrali, famigerati assassini, gente che se ne andava per i fatti propri. Alex infilò la mano alla cieca nella borsa in cerca della macchina fotografica. Mentre le sue dita sfioravano il coperchio dell’obiettivo, lo sguardo gli cadde sulla rivista omaggio in bella vista sulla scrivania, che come immagine di copertina aveva scelto proprio la veduta da quella finestra d’albergo. In preda a uno strano senso di oppressione, Alex tirò le tende e aprì una cartina della città.
Cercava Roebling Heights, Brooklyn, l’indirizzo del mittente scritto sulla busta che gli era arrivata a casa. Non sapeva il numero civico, né aveva altri dettagli. Non gli restava che andare sul posto e chiedere in giro, come il noto detective Philip Marlowe. Se non fosse approdato a nulla, gli restava pur sempre il Piano B, che consisteva nel recarsi nel Lower East Side, trovare il presidente del fan club di Kitty, Krauser, e fargli vuotare il sacco a suon di botte come il noto attore Jimmy Cagney. Sì, proprio come Jimmy Cagney, il re degli attaccabrighe.
Cos’hai saputo, stronzo?
Cos’hai da dire, stronzo?
Sulla cartina trovò una minuscola, abbreviata Roebling stretta fra la zona nera, la zona hipster, la zona hasidica e la zona polacca, al capolinea di una linea della metropolitana che Alex non aveva mai preso e di cui non aveva mai sentito parlare. Nell’indice della sua guida, Roebling Heights appariva una volta sola e meritava un unico commento. Roebling, lesse Alex, ha visto giorni migliori. Ha visto anche giorni peggiori, e giorni così così. Ora si sta avviando a vedere “giorni” e basta. A questo mondo tutti pensano di essere grandi umoristi, perfino gli autori delle guide turistiche.
In piedi al centro della camera, Alex respirò a fondo più volte. Era lontano da casa, molto lontano. Per poter andare così lontano, doveva trasformare il luogo in cui si trovava e renderlo il più possibile simile a Mountjoy. A questo scopo, quando faceva i bagagli, ci metteva quello che ci mettono tutti – vestiti e altre cose essenziali – poi appoggiava il braccio teso sulla scrivania e spazzava tutto quello che c’era in un sacchetto della spesa, che adesso vuotò sul suo letto d’albergo con l’intenzione di disporne il contenuto qua e là per la stanza. In questo modo poteva viaggiare senza muoversi. Ricevute, bollette, libri mai letti con il dorso staccato, puntine da disegno, post-it, la famosa banconota da una sterlina (che venne subito fissata sopra la porta), un vecchissimo fermacapelli di Esther, una ciambella stantia, un mezzo spinello. Quest’ultimo fu un’autentica sorpresa e Alex vi si gettò sopra a capofitto, fumandolo fuori e dentro la doccia durante le sue rapide abluzioni, e arrivando al filtro di cartoncino proprio mentre si infilava nudo nel letto tirato alla perfezione e lottava con le lenzuola per conquistarsi lo spazio per cui aveva pagato. Accanto ai suoi occhi, una luce rossa sul telefono si accendeva e si spegneva. Sollevò il ricevitore, ma la luce continuò a lampeggiare. Allora chiamò la reception.
«La luce, signore? È il segnale che indica che lei ha dei messaggi in segreteria.»
«Ma se sono appena arrivato!»
«Sì, signore, ma la sua segreteria è attiva da mezzogiorno.»
«La mia segreteria mi precede.»
«Certo, signore.»
Alex aveva tre messaggi. Era a metà del primo quando riconobbe la donna che parlava... il profondo, rauco tono newyorkese. Qualcosa nel timbro della voce rivelava che era nera. Honey Richardson. Non l’aveva mai incontrata di persona ma nel corso degli ultimi due anni si erano sentiti quattro o cinque volte per motivi di lavoro, via e-mail o al telefono. Ora si ricordò che avevano fissato di incontrarsi a mezzogiorno, prima dell’apertura della fiera. Alex spense lo spinello sulla gamba del comodino. Honey aveva una voce straordinaria. Come essere baciati e accarezzati contemporaneamente.
Lasciandosi sprofondare nel cuscino, ascoltò la musica della voce senza prestare la minima attenzione alle parole. Poi il messaggio terminò. Alex dovette riascoltarlo da capo per capire che lei voleva cambiare il luogo dell’appuntamento: invece che all’incrocio della tale strada con la talaltra, avrebbe preferito l’angolo di qualcos’altro ancora. Sarebbe stato più appropriato, diceva. Appropriato?
Alex si sollevò su un gomito, incuriosito, e premette ancora il pulsante. Era di nuovo Honey, stavolta con ulteriori spiegazioni sul perché i precedenti accordi si fossero rivelati insoddisfacenti. La zona era troppo frequentata, un tale casino di gente, e nella sua situazione... La frase, però, restava in sospeso. Honey sembrava convinta che Alex sapesse di lei cose di cui lui invece era totalmente all’oscuro. Sapeva soltanto che Honey era nel giro da poco, che era una donna, e che da Alex comprava roba che lui non sarebbe mai riuscito a rifilare a nessun altro. Al buio, Alex cercò a tentoni una penna per annotare il suo numero di telefono, ma quando finalmente l’ebbe trovata e fece per posarla sul taccuino omaggio dell’albergo, il numero si era già cancellato dalla sua memoria. Intanto Honey continuava a parlare... quel messaggio non finiva più. Alex si tirò a sedere sul letto e l’ascoltò raccontare la storia di un recente giro di acquisti con sua sorella Trudy, che di lavoro faceva l’odontotecnica, capito?, e si sarebbe sposata in luglio, finché non erano capitate in una zona affollata e due tizi erano sbucati dal nulla e avevano cominciato a urlare e a cercare di... ma a questo punto il racconto venne interrotto da un “bip”. Stupefatto, Alex premette il pulsante per ascoltare il terzo messaggio. Stavolta Honey disse: «Ascolta, ecco come facciamo. Penso che la cosa migliore per tutti e due sia incontrarci nella hall dell’albergo, poi ce ne andiamo diritti al ristorante, sbrighiamo i nostri affari e poi ognuno per la sua strada e non voglio né sottintesi né cose strane e la mia storia è la mia e ormai è acqua passata e sono qui esclusivamente per affari come chiunque nel giro può testimoniarti. Sono stata la stramaledetta favola...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. PROLOGO
  5. LIBRO PRIMO - Mountjoy La Cabala di Alex-Li Tandem
  6. LIBRO SECONDO - Roebling Heights Lo Zen di Alex-Li Tandem
  7. EPILOGO