
- 160 pagine
- Italian
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eBook - ePub
L'avventura di Ulisse
Informazioni su questo libro
Il viaggio e la vendetta di Ulisse, l'attesa di Penelope e di Telemaco, raccontati con uno stile veloce e moderno, a tratti umoristico. È un'interpretazione vivace e originale che però non tradisce la sostanza poetica e drammatica dell'antico poema di Omero.
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Informazioni
Print ISBN
9788804461241eBook ISBN
9788852016417Parte seconda
Itaca
1
L'ultimo intermezzo della Musa
La Musa si passò l'unghia del mignolo tra i quindici denti che le restavano. Guardava il suo prediletto con una certa apprensione. Gli allungò una mezza coscia di montone col grasso ancora sfrigolante e gli disse:
- Senti un po', adesso che il racconto del viaggio è finito devi passare alla terza persona, non è piú Ulisse che si racconta, ma tu che devi entrare e uscire dalla mente di tutti, come un dio, e la cosa si fa piú difficile, te la senti? Da parte mia ti prometto che non farò un fiato, non respirerò neppure, perché un racconto del genere non si interrompe, si beve piano piano come una tazza di vino.
Omero alzò le orbite cave degli occhi verso la Musa, e come se la vedesse rispose di sí. Poi i due discussero per una mezza giornata, con la pancia piena di carne di montone e di vino al miele.
Alla fine del giorno il poeta cieco si coricò accanto al fuoco che ardeva al centro della casa della Musa. E quando venne l'Aurora sul suo trono d'oro la mucca che brucava quadrifogli nel cortile muggí. Le fece eco il leone della montagna e sul mare un ciuffo di delfini disegnò guizzi multiformi mentre gli uccelli dalle lunghe ali distese gracchiarono il loro stridente grido.
2
L'arrivo a Itaca
Uscendo dalla reggia dopo il racconto del viaggio terribile Alcinoo ordinò di preparare la nave, di caricare la stiva coi doni per l'ospite e di ungere gli scalmi. Poi i marinai stesero a poppa coperte e un telo di lino, perché Ulisse potesse dormire un sonno profondo mentre loro alzavano l'acqua del mare coi remi.
Dopo aver ringraziato il re e la regina e tutto il popolo dei navigatori incantati, Ulisse salí a bordo e come si distese sul giaciglio scivolò in un sonno simile alla morte.
Piú veloce di uno sparviero correva la nave sotto la guida dei forti Feaci, e quando si alzò la stella che annuncia la luce dell'alba giunse in vista di Itaca, davanti al porto di Forco. Raggiunse una spiaggia nascosta dalle nebbie, un po' discosta dal porto, perché i Feaci sapevano che Ulisse voleva approdare non visto.
I remi alati spinsero tutta la prua della nave sulla spiaggia. Senza svegliare il loro ospite, i marinai lo sollevarono col telo di lino e le coperte e lo deposero sulla sabbia. Poi lasciarono sotto un ulivo i doni di Alcinoo, e la nave dei Feaci riprese il mare che non ha confini.
Quando Ulisse si svegliò non riconobbe la spiaggia. Alzò gli occhi verso la montagna e non la riconobbe, si guardò intorno ma niente gli era familiare. Anzi ogni cosa, sentieri, approdi, rocce, alberi, tutto era straniero al suo cuore. Si alzò in piedi cercando un segno che gli rivelasse la terra dei padri. Poi scoppiò a piangere e, vedendo i suoi doni sotto l'ulivo, si chiese cosa farne in terra ostile. Ma vide una caverna e lí li nascose per sottrarli ai predoni. Poi si mise a camminare sulla riva del mare, col cuore gonfio di tristezza.
Lo vide Atena dagli occhi di luce e gli camminò accanto sotto le sembianze di un ragazzo pastore di greggi, ma coi modi di un figlio di re.
- Ragazzo - disse Ulisse non appena la vide - sei la prima persona che incontro, vengo dal mare e ti supplico di dirmi come si chiama questa terra.
Lo guardò la dea sua protettrice: - Devi venire da molto lontano se mi chiedi il nome di questo luogo, perché è un'isola ben conosciuta. È terra aspra, non adatta ai cavalli, ma il grano e l'orzo e la vite vi crescono abbondanti ed è buona per le capre ed i buoi. Il suo nome è Itaca, conosciuto anche in terra di Troia per via del suo re.
Ulisse gioí in fondo al cuore, ma ricordando il consiglio di Agamennone e ascoltando il suo istinto prudente non rivelò a quello che credeva un pastore la sua identità: - Ho sentito parlare di Itaca a Creta - disse - dove ho ucciso il figlio di Idomeneo, e ora sono in fuga coi miei averi. - Poi si dilungò a inventare una bugia dopo l'altra finché Atena non scoppiò a ridere e non decise di rivelarsi al suo protetto.
- Ulisse - disse la dea dagli occhi di luce - sei scaltro e tenace come nessuno, e neppure qui, in patria, sai rinunciare agli inganni. Ma ora basta, perché se tu sei il migliore per parola e pensieri tra gli uomini, io primeggio tra gli dèi per intelligenza e sapere.
Atena raccomandò a Ulisse di non rivelare a nessuno la sua identità e di prepararsi a sopportare in silenzio le offese dei Proci, i pretendenti al trono che da tre anni ormai insidiavano la saggia Penelope.

- Ma non temere, Ulisse, io ti starò vicino e quando il momento verrà ti dico che il sangue e il cervello dei Proci impregneranno la terra della sala del trono. Ma ora ti renderò irriconoscibile, aggiungendo molti anni al tuo aspetto e offuscando i tuoi occhi, perché anche il figlio e la moglie che lasciasti a casa provino ribrezzo a guardarti. E ora vai da Eumeo, il guardiano dei porci, che ti è rimasto fedele e che ti spiegherà nei dettagli come stanno le cose.
3
Eumeo
Ulisse seguí il sentiero impervio che saliva attraverso i boschi finché non giunse al luogo indicato dalla dea dagli occhi di luce.
Era un recinto circolare in mezzo a una radura, fatto di pietre sovrapposte a secco e sormontato da spini, perché i maiali non potessero fuggire e trovassero riparo dai venti freddi della notte e ombra nelle ore del sole che uccide. Lo aveva costruito il porcaro di sua iniziativa, senza ricevere ordini dalla regina o dal vecchio Laerte.
Ulisse vide il servitore piú di ogni altro fedele che sedeva vicino all'entrata e fabbricava sandali di pelle di bue col bronzo affilato.
I quattro cani di guardia al porcile si avventarono latrando contro Ulisse che si avvicinava appoggiato a un lungo bastone, con l'aria di vecchio che Atena gli aveva posato sulle spalle come un mantello.
Appena sentí i cani Ulisse si raggomitolò sul prato, ma ugualmente i mastini ne avrebbero straziato le carni se Eumeo non li avesse dispersi scagliando pietre.
- Vecchio - disse, accostandosi al suo antico, irriconoscibile padrone - se i miei cani ti avessero azzannato con ragione mi avresti coperto di ingiurie; ma vieni nella mia capanna, mangiamo e beviamo, e scambiamoci storie sui nostri destini. Intuisco dal tuo aspetto che anche tu come me, ospite, sei oppresso dall'angoscia.
Ulisse lo seguí e si compiacque di vedere che il servo onorava i doveri dell'ospitalità e curava i suoi beni con passione. Contò, entrando nel recinto di pietra, le belle stalle delle scrofe, dodici in tutto, e le palizzate di nero legno di quercia che suddividevano i maschi tra quelli all'ingrasso e quelli già pronti a partire per i banchetti dei Proci, che per saziarsi gli rubavano greggi su greggi.
Quando fu nella capanna Ulisse sedette e subito il porcaro gli allungò una coppa di vino lucente. Poi prese due maialini e li mise sul fuoco, infilzati con lunghi spiedi.
E nell'ora della luce obliqua, mentre l'odore del grasso arrostito riempiva la capanna, Eumeo cominciò a raccontare le disgrazie dell'isola, del suo re che mancava da vent'anni, della saggia e sapiente regina che non cedeva alla corte dei Proci, figli dei nobili delle isole vicine e di alcune tra le grandi famiglie di Itaca. Da tre anni si erano stabiliti nella reggia, arrivavano al mattino e solo a notte se ne andavano; erano in cento e otto, contando i servitori, e tutti mangiavano i buoi, le capre e i maiali di Ulisse, che probabilmente giaceva insepolto in terra straniera, gli occhi strappati dagli uccelli, o dilaniato dai pesci del mare senza confini. E di Ulisse saccheggiavano la riserva di vino prezioso e la facevano da padroni con le ancelle e coi servi del re, che dovevano obbedire.
Eumeo raccontò anche della regina che li teneva a bada e che aveva escogitato un inganno: diceva che si sarebbe risposata solo quando avesse terminato di tessere il sudario funebre del padre del re, Laerte, che viveva nel podere dei monti come un uomo di umili origini, perché i suoi occhi non potevano sopportare la vista dei Proci arroganti; cosí ogni giorno la regina tesseva, ma la notte, davanti al braciere, disfaceva il lavoro compiuto durante le ore di luce, e cosí il sudario non era mai terminato. Però a causa del tradimento di un'ancella infedele, ora i Proci avevano scoperto l'inganno e Penelope – disse il porcaro – non avrebbe potuto respingere a lungo le offerte di nozze dei suoi pretendenti.
Ulisse ascoltava e il sangue, dentro, gli ribolliva. Meditava la vendetta nel cuore e con la pazienza e l'accortezza che gli erano proprie rifiniva, nella mente, il piano che avrebbe fatto grondare di sangue perfino le travi dell'ampio soffitto.
Dopo avere a lungo parlato e aver condiviso la carne e il buon vino con l'ospite, il porcaro gli chiese di parlare di sé e Ulisse gli raccontò meravigliose frottole che grazie alla sua maestria sarebbero state prese per vere anche da un uomo – non ce n'erano molti – piú diffidente e piú esperto di Eumeo.
Raccontò di essere di nobile origine, ma caduto in disgrazia per via delle molte peripezie patite in pace e in guerra e durante il ritorno sul mare. Disse anche di avere incontrato il re d'Itaca e di confidare nel suo ritorno, e nella possibilità di vedere con lui restaurata la giustizia.
- Vorrei che tu avessi ragione, straniero - disse allora il porcaro - ma temo che il mio padrone, e di piú saggi e generosi non ne ha visti la terra, sia morto o magari in schiavitú presso genti ostili e lontane.
4
Ulisse si rivela a Telemaco
Spinto da Atena che lo aveva visitato nel sonno, Telemaco tornò a Itaca con la sua nave veloce. Si era avventurato in un viaggio rischioso fino a Pilo, per avere notizie del padre che mancava da troppi anni. La dea dagli occhi di luce lo aveva messo in guardia dai Proci che gli avevano teso un'imboscata con una nave da guerra, per ucciderlo e sbarazzarsi cosí del legittimo erede al trono di Itaca. Grazie all'aiuto della dea, Telemaco era sbarcato di nascosto, lontano dal porto, e ora risaliva di notte, nel silenzio del bosco, sotto stelle grandi come prugne, il sentiero che portava alla capanna del fedele porcaro, che sarebbe stato ricordato nelle future canzoni dei Greci col titolo riservato agli eroi: signore di uomini.
Mentre i cavalli che portano il carro di Aurora, Lampo e Fetonte, si staccavano dalla linea che divide il mare dal cielo, Ulisse notò che i cani guaivano e scodinzolavano davanti alla porta della capanna: - Eumeo - disse - qualcuno si avvicina, qualcuno che i cani riconoscono come un amico. Sento anche rumore di passi.
Telemaco si presentò sulla porta. Il porcaro gli andò vicino e gli baciò la testa, gli occhi, le mani.
- Sono felice di vederti, Telemaco - disse Eumeo con le lacrime agli occhi. - Temevo che i Proci ti avessero ucciso; ho saputo che avevano preparato un agguato sul mare per sradicare la stirpe di Laerte dalla terra dei nostri padri.
Con poche parole lo rassicurò il figlio di Ulisse, e subito chiese se la madre resisteva ancora o se aveva ceduto alle lusinghe dei pretendenti.
- Resiste - rispose il guardiano dei porci - piange la notte sul letto di Ulisse e continua a vegliare sul regno con la forza di sempre, che non conosce resa.
Telemaco appoggiò la lancia di bronzo allo stipite della porta ed entrò. Ulisse stava per alzarsi e fargli posto, ma il giovane lo fermò: - Resta seduto, straniero - disse - il guardiano mi troverà dove stare.
Allora Eumeo ammucchiò delle frasche e le coprí col vello di una pecora. Lí sedette Telemaco.
Bevvero insieme molte coppe di vino lucente prima che le abili frottole di Ulisse smettessero d'incuriosire il figlio e il porcaro. Ma quando quest'ultimo uscí per dedicarsi al duro lavoro del giorno, Atena si mostrò sulla soglia della capanna. Aveva l'aspetto di una donna alta e bella. Solo Ulisse poteva vederla, ma i cani fuggirono in fondo alla stalla mugolando come se avessero sentito un'ombra. Allora il figlio di Laerte uscí.
- Ulisse - disse la dea dagli occhi di luce - questo è il momento giusto, rivelati a tuo figlio e a lui solamente. Dovete andare in città e insieme tramare per uccidere i Proci. Io vi starò vicino, sempre.
Dette queste parole, la dea toccò il capo del suo protetto e la bellezza tornò a vestirgli le membra. La testa tornò coperta di biondi e ricci capelli, i muscoli sembravano piú forti, e piú alto e slanciato il corpo dalle ampie spalle e dalle gambe robuste.
Rientrò e Telemaco stupí: - Mi sembri diverso, straniero - disse - piú alto, con molti capelli, e piú giovane negli anni, molto piú giovane. Sei forse un dio, che puoi mutare d'aspetto quando ti piace, e in pochi istanti?
- Non sono uno degli immortali, no, io sono tuo padre, che attendi da sempre, subendo la tracotanza dei Proci che corteggiano tua madre, la regina.
Dette queste parole baciò il figlio e gli cadevano lacrime calde sulle guance, quelle lacrime che con fatica aveva trattenuto.
Ma Telemaco non credeva alle parole dell'uomo che aveva di fronte. Allora Ulisse disse:
- Figlio, non devi piú dubitare, è Atena che mi ha trasformato in un vecchio perché nessuno, a Itaca, mi potesse riconoscere. Solo cosí possiamo tramare per uccidere i pretendenti superbi, che non hanno rispetto dei beni altrui né degli dèi dell'Olimpo.

Allora Telemaco gettò le braccia al collo del padre, e mescolò le sue lacrime a quelle di lui.
Poi Ulisse chiese dei Proci, quanti erano, che armi portavano, quanti i loro servi fedeli.
Cosí gli rispose il figlio: - Padre, hai fama di essere un grande guerriero, per forza e accortezza primeggi tra i Greci, per esperienza e sagacia, ma anche cosí non vedo come noi due, soli, possiamo avere la meglio su quegli uomini poco assennati, perché sono una moltitudine: 52 vengono da Dulichio, 24 da Same, 20 da Zacinto, 12 dalla nostra isola e poi ci sono i servitori, molti, e l'araldo e Femio, l'aedo dal canto perfetto.
- Non devi angosciarti o temere, figlio, noi abbiamo dalla nostra la dea dagli occhi di luce e il padre Zeus, figlio del Tempo e signore del tuono e dei nembi.
Poi Ulisse rivelò il piano di guerra che la sua mente accorta e veloce aveva già elaborato. Disse a Telemaco di andare in città l'indomani mattina e unirsi ai Proci, come ogni giorno. Lui sarebbe arrivato piú tardi, col porcaro fedele, e avrebbe avuto l'aspetto di un vecchio, senza capelli e col corpo piagato.
- Io sarò un mendicante e da mendicante studierò ogni mossa dei cani che ci rubano il pane e deciderò il momento opportuno per dar loro la morte. Nessuno uscirà vivo dalla reggia. Ma tu bada di non rivelare nemmeno a tua madre la mia venuta, perché grande sarebbe il pericolo; nessuna emozione deve tradire la mia presenza, nell'ombra studierò con calma ogni cosa, e dall'ombra, fulminea, arriverà la morte per i nostri nemici.
5
Argo
Nelle alte stanze della reggia, quelle riservate alle donne, Penelope camminava inquieta, come ogni giorno a ogni ora pensava al mare senza confini e all'improbabile ritorno dello sposo.
- Perché non si sa, Omero, chi viaggia e chi soffre di piú - interruppe la Musa alzando gli occhi neri dal ricamo.
E Omero riprese il racconto, perché il cuore di Penelope si riempí di gioia quando vide Telemaco sano e salvo.
- Figlio - disse la regina - in Itaca si era sparsa la voce che i Proci stavano attentando alla tua vita: ti aspettavano con una nave al largo del porto di Forco.
- Mi ha avvertito una dea, madre, Atena dagli occhi di luce, e cosí sono approdato in una baia nascosta e ho trascorso la notte al podere di Eumeo, il migliore dei servi, il piú saggio e fedele. Lí ho incontrato un vecchio che il porcaro condurrà in città, e verrà qui, al...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Colophon
- I personaggi principali
- Parte prima-Il viaggio
- Parte seconda-Itaca
- Indice