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I diari del Paese di Babbo Natale
Ero al bar che scorrevo le proposte di lavoro sul giornale quando leggo: “Macy’s Herald Square, il supermercato più grande del mondo, offre magnifiche opportunità per gente di ogni forma e misura, estroversa e amante del divertimento, che cerca qualcosa di più di un semplice lavoro per le vacanze! Un lavoro come elfo nel Paese di Babbo Natale di Macy’s significa essere al centro della festa...”.
Ho fatto un cerchietto intorno all’annuncio, poi, ripensandoci, sono scoppiato in una fragorosa risata. L’uomo seduto vicino a me si è girato sullo sgabello per vedere se ero matto. Ho continuato a ridere, però in silenzio. Ieri ho fatto domanda per un lavoro alla UPS. Cercano aiutanti autisti per le imminenti feste natalizie e io mi sono presentato alla loro sede pieno di speranze. Quando mi sono trovato in coda con altri trecento uomini le mie speranze si sono raffreddate. Nel corso del breve colloquio mi è stato chiesto perché desideravo lavorare per la UPS e io ho risposto che desideravo lavorare per la UPS perché mi piacciono le loro uniformi marroni. Cosa si aspettavano che dicessi?
“Mi piacerebbe lavorare per la UPS perché, a mio avviso, è un’opportunità per mettere in mostra la mia grande attitudine al comando in una delle migliori compagnie private di recapito che questo paese ha mai visto dai tempi del Pony Express!”
E invece io gli ho detto che mi piacevano le uniformi e l’intervistatore ha girato a faccia in giù sulla scrivania la mia domanda di assunzione e ha detto: «Dacci un taglio!».
Sono tornato a casa questo pomeriggio e ho controllato se nella segreteria telefonica c’era un messaggio dalla UPS. Ne ho trovato invece uno dalla società che mi ha concesso il prestito per gli studenti, la Sally Mae. Sally Mae sembra il nome di un’ingenua ragazzotta di montagna che se ne va in giro a piedi nudi, ma in realtà la società appartiene a uno spietato e aggressivo agglomerato di nerboruti prepotenti con sede in un enorme palazzo di mattoni da qualche parte nel Kansas. Mi sono fatto l’idea che il loro palazzo sia il più alto dello Stato e che il personale venga assunto direttamente in prigione. Tutto ciò mi terrorizza.
La donna da Macy’s mi ha chiesto: «È interessato all’elfo a tempo pieno, all’elfo serale o all’elfo-weekend?».
«Elfo a tempo pieno» le ho detto.
Ho un appuntamento mercoledì a mezzogiorno.
Sono un uomo di trentatré anni che cerca lavoro come elfo.
Mi capita spesso di vedere per strada gente vestita da oggetti più o meno improbabili che distribuisce volantini. Io cerco sempre di evitare i volantini ma mi spezza il cuore vedere un uomo adulto travestito da hamburger. Così, se c’è di mezzo un travestimento, di solito non solo accetto il volantino ma lo faccio con una sorta di riconoscenza. Dico «Grazie mille» e intanto penso “Povero, patetico coglione. Io non lo so come hai fatto a ridurti così ma spero ardentemente di non fare la stessa fine”. Oggi pomeriggio sulla Lexington Avenue ho accettato un volantino da un tizio vestito da telecamera. Würstel, noccioline, tacos, videocamere: queste cose mi intristiscono perché in una strada stonano. Starebbero bene in una parata, forse, ma non su una strada. Come elfo credo invece che avrò il mio posto: starò nel Villaggio di Babbo Natale con tutti gli altri elfi. Abiteremo tutti quanti in un soffice Paese delle Meraviglie circondati da bastoncini di zucchero candito e casupole di panpepato. Sarà meno triste che starsene su qualche angolo di strada vestito da patatina fritta.
Sto cercando di cogliere il lato positivo della faccenda. Sono arrivato a New York tre settimane fa pieno di speranze, speranze che sono state subito messe a dura prova. Nella mia immaginazione sarei passato direttamente dalla Penn Station agli studi della soap Una Vita da Vivere dove avrei lasciato giù le valige, mi sarei messo in ghingheri e me ne sarei andato fuori per un drink con Cord Roberts e Victoria Buchannon, le star del programma. Già mi vedevo nell’elegantissimo séparé di un locale alla moda, con i miei nuovi amici vip che alzavano i bicchieri ghiacciati verso di me dicendo: “Un brindisi per David Sedaris, il miglior autore che questo show abbia mai avuto!”.
“Su, ragazzi, basta...” rispondevo io. Avevo deciso di fare il modesto.
La gente agli altri tavoli ci mangiava con gli occhi e sussurrava: “Ma quello lì non è... non è... ?”.
Tanto entusiasmo mi lasciava stordito, ma Victoria Buchannon appoggiava la sua mano sulla mia e con dolcezza mi diceva che avrei dovuto abituarmi a stare al centro dell’attenzione.
E invece eccomi qui che faccio domanda per fare l’elfo. Ma la cosa peggiore non è fare la richiesta: è la possibilità di non essere assunto, di non riuscire a trovare lavoro nemmeno come elfo. È a quel punto che uno capisce di aver davvero fallito.
Oggi pomeriggio sono andato nell’ufficio all’ottavo piano del Paese di Babbo Natale e un tizio mi ha detto: «Congratulazioni, signor Sedaris. Da oggi lei è un elfo».
Per poter diventare un elfo ho dovuto riempire dieci pagine di moduli, sottopormi a un test della personalità a scelta multipla, sorbirmi due interviste personali approfondite, le analisi delle urine e un controllo antidoping. La prima intervista era piuttosto generica e serviva soltanto a eliminare i sociopatici più evidenti. Nella seconda ci hanno chiesto perché avevamo deciso di fare gli elfi. È sempre una domanda complicata.
Ho avuto modo di ascoltare la donna prima di me, un’ex cameriera. «Perché voglio fare l’elfo?» ha detto. «Perché credo che sia un po’ come recitare? E perché prima lavoravo in un ristorante? Che era gestito da una donna meravigliosa il cui sogno era sempre stato quello di aprire un ristorante? E che mi ha fatto capire che è una cosa davvero... davvero importante avere... un sogno?»
Qualunque cosa quella donna dicesse, qualunque frase o modo di dire terminava sempre con un punto di domanda e l’intervistatore non batteva ciglio.
Quando è stato il mio turno ho spiegato che volevo fare l’elfo perché era una delle più eccitanti opportunità di carriera che mi fosse capitata in vita mia. Il selezionatore ha alzato gli occhi dalla mia domanda di assunzione e mi ha detto: «Sì, e poi?».
Sono sicuro di aver toppato l’antidoping. Ho consegnato urine infestate di scarafaggi con artigli lunghi così e microbi muscolosi che potrebbero attraversare la Manica a dorso, ma mi hanno preso lo stesso perché sono basso: uno e sessantacinque. Quasi tutti quelli che hanno preso sono bassi. Uno è un nano. Dopo il secondo colloquio mi hanno portato nell’ufficio del direttore dove mi hanno fatto vedere una pianta del piano. In una giornata intensa possono venire da Babbo Natale anche ventiduemila persone e mi hanno spiegato che un elfo è tenuto a preservare il buonumore anche nel tormento e nelle avversità. Ho promesso che l’avrei tenuto a mente.
Ho passato otto ore con cinquanta elfi e un istruttore iperattivo e pieno di buone intenzioni in una enorme aula da Macey’s con una serie di NCR 2152 allineati lungo le pareti. Un 2152, ho capito alla fine, è un registratore di cassa. La classe è stata divisa in gruppi di studio e a ciascuno sono stati assegnati compiti diversi. Nel mio gruppo c’erano parecchi elfi veterani e alcuni cassieri esperti che cercavano di aiutarmi dicendo cose tipo: «Non ricordi nemmeno il tuo codice personale? Gesù, il mio l’avevo memorizzato già alle dieci di stamattina!».
Tutto ciò che riguarda il registratore di cassa mi intimidisce. Ogni procedura prevede una serie di codici: numeri diversi per il contante, gli assegni e i vari tipi di carta di credito. La parola “storno” s’è guadagnata il titolo di “Parola di sei lettere più volgare del mio vocabolario”. Gli storni sono un incubo di fogli e numeri codificati, il tutto prodotto in triplice copia e firmato dall’impiegato responsabile e dal suo supervisore.
Stasera, uscendo dall’edificio, non riuscivo a togliermi dalla testa l’immagine di me stesso lapidato a morte da clienti nervosi e incazzati, con i nervi a pezzi per via della mia totale incapacità. Mi dico che d’ora in poi mi limiterò a forzare la mia cassa e accetterò tutto quello che mi daranno... perline, contanti, orologi: qualunque cosa. Farò scambi e contrattazioni. Passerò le carte di credito nella macchinetta, gli darò lo scontrino con scritto “Grazie della Visita!” e chiuso.
Al Paese di Babbo Natale fondamentalmente vendiamo foto. La gente si siede in grembo a Babbo Natale e si mette in posa. L’Elfo Fotografo gli porge una strisciolina di carta con su scritto un numero. Un altro elfo compila il modulo e la foto arriva per posta qualche settimana dopo. Perciò l’unica cosa che vendiamo, in realtà, è l’idea di una foto. Un’idea costa nove dollari, tre idee diciotto.
Il mio incubo peggiore è quello di ritrovarmi ventiduemila persone al giorno davanti al mio registratore di cassa. Non capiterà sempre a me di fare il cassiere, giusto una volta ogni tanto. La parte peggiore è che quando arrivo a trecento dollari ne devo prendere duecento, compilare una mezza dozzina di moduli e correre a imbucare la busta con i contanti nel reparto Casalinghi o nella camera blindata che si trova sopra il primo piano. Non ci si può cambiare sul posto. Bisogna arrivare da casa già vestiti da elfi. Un elfo nel Paese di Babbo Natale è una cosa, un elfo nel reparto Abbigliamento sportivo è tutto un altro paio di maniche.
Oggi hanno fatto le presentazioni e i discorsi ufficiali in una sala riunioni senza finestre, piena di scrivanie e sedie di plastica. Ci è stato detto che durante la seconda settimana di dicembre il Paese di Babbo Natale ospiterà l’operazione “Bimbi Speciali” durante la quale i bambini poveri riceveranno regali offerti dai magazzini. Ci sarà inoltre una sessione mattutina speciale per i bambini con gravi malattie e orrende deformità. Quel giorno un apposito elfo dovrà dare il benvenuto a ogni bambino davanti all’Albero Magico per poi fiondarsi dal nostro Babbo Natale e prepararlo a ciò che l’aspetta.
“Il prossimo è senza naso” oppure “Crystal ha ustioni di terzo grado sul novanta percento del corpo.”
Senza naso. Babbo Natale deve fare molta attenzione a non chiedere: “E a te cosa piacerebbe ricevere per Natale?”.
Il capo della sicurezza ci ha spiegato che nel Macy’s di Herald Square ogni anno si verificano furti da parte dei dipendenti per milioni di dollari. Il risultato è che i magazzini trattano i dipendenti come delinquenti con una fedina penale lunga un chilometro. Offrono premi in denaro a quelli che denunciano gli altri e ci passano al setaccio gli zaini ogni volta che usciamo dal negozio. Ci hanno mostrato filmati in cui presunti ex dipendenti si strappano i capelli e maledicono il giorno in cui hanno avuto la malaugurata idea di rubare quella giacca di pelle. Gli attori guardano nella telecamera e spiegano che l’arresto gli ha distrutto le amicizie, la vita famigliare, insomma: qualsiasi speranza di un futuro normale.
Ce n’era uno che si fissava le mani e singhiozzava: «Non potrò mai più iscrivermi alla facoltà di Legge. Mai più. Non dopo quello che ho fatto. È tutto finito... tutto». Si fermava un istante scuotendo la testa come per scrollarsi di dosso quel ricordo sgradevole. «È tutto finito.»
Una ragazza sedeva da sola e pensierosa in un bar, davanti a lei una tazza vuota, e mormorava fra sé: «Mi ricordo quando dopo il lavoro uscivo con i miei amici di Macey’s. Quelli sì che erano bei tempi. Ci volevamo bene». Per un attimo si perdeva a fissare il vuoto, poi riprendeva: «Adesso nessuno mi telefona più. Questa volta l’ho proprio fatta grossa. Perché? Perché?».
Macey’s ha due celle al piano rialzato in cui passano tremila taccheggiatori ogni anno. Hanno chiesto anche a noi di tenere d’occhio eventuali borseggiatori.
Sono venuti alcuni interpreti per sordomuti che ci hanno insegnato a dire a gesti “ BUON NATALE! IO SONO L’AIUTANTE DI BABBO NATALE!” Ci hanno raccomandato, mentre usiamo i gesti, di parlare a voce alta e usare le espressioni della faccia. Ci hanno insegnato a dire: “ MA CHE BEL/BELLA BAMBINO/A! TI VOGLIO BENE! LO VUOI UN REGALINO?“.
Mia sorella Amy abita sopra una ragazza sordomuta e col linguaggio dei segni se la cava bene. Mi ha insegnato un po’ di cose e adesso sono in grado di dire “ BABBO NATALE HA UN TUMORE AL CERVELLO GROSSO COME UN’OLIVA. CHISSÀ, MAGARI DOMANI GLI PASSA, MA MI SA CHE È DIFFICILE“.
Stamattina i responsabili del Paese di Babbo Natale hanno indetto una riunione e ci hanno consegnato un libretto fotocopiato contenente il regolamento e dal titolo Guida elfica. Molti responsabili sono ex elfi che hanno fatto la loro bella escalation su per i bastoncini di zucchero candito, ma conservano ancora ricordi vivissimi dei loro giorni in divisa colorata. Nel chiudere la riunione ci hanno detto: «Ricordatevi che anche se siete di turno come Elfo Fotografo in un weekend affollato VOI NON SIETE GLI SCHIAVI DI BABBO NATALE».
Nel pomeriggio ci hanno fatto fare il giro del Paese di Babbo Natale, che è davvero qualcosa di pazzesco. È bello, una specie di Paese delle Meraviglie con diecimila lucine scintillanti, neve artificiale, trenini elettrici, ponticelli, alberi addobbati, orsi e pinguini meccanici e bastoncini di zucchero candito alti da non credere. Si entra e si gira in un labirinto con i sentieri che vi guidano da un ambiente festoso all’altro. Il sentiero finisce all’Albero Magico. L’Albero Magico dovrebbe ricordare un complesso sistema di radici, e invece sembra una riproduzione in scala dell’intestino umano. Oltrepassato l’Albero Magico, le luci si abbassano e un elfo ti guida alla casetta di Babbo Natale. Le casette sono intime e accoglienti, piene zeppe di giocattoli. Poi esci dalla casetta di Babbo Natale e ti ritrovi davanti una muraglia cinese di registratori di cassa.
Abbiamo fatto il giro del sentiero una seconda volta e ci hanno illustrato i nomi in codice dei vari punti, tipo l’”Angolo Del Vomito”, una parete di specchi nei pressi dell’Albero Magico dove i bambini con la nausea tendono a liberarsi lo stomaco. Quando qualcuno vomita, l’elfo più vicino deve gridare “ VAMOOSE!”, che è la marca del prodotto per le pulizie usato nei magazzini. Poi ci hanno portato all’”Angolo ‘Oh mio Dio!’”, che si trova accanto alle scale mobili. La gente che arriva vede la coda interminabile e dice: «Oh mio Dio!» e tocca all’Elfo calmarli e spiegare che non ci vorrà più di un’ora per vedere Babbo Natale.
Da un giorno all’altro può capitarti di essere Elfo Reception, Elfo Acqua Fresca, Elfo Ponte, Elfo Capotrenino, Elfo Labirinto, Elfo Isola, Elfo Finestra Magica, Elfo Uscita Di Sicurezza, Elfo Commesso, Elfo Albero Magico, Elfo Indicatore, Elfo di Babbo Natale, Elfo Fotografo, Elfo Usciere, Elfo Cassiere, Elfo Galoppino o Elfo Uscita. Ci hanno fatto assistere a una dimostrazione delle varie posizioni da occupare a seconda degli incarichi effettuata da elfi veterani così iperattivi e instancabilmente allegri che solo a passargli accanto ti sentivi in imbarazzo. Non avrei mai immaginato che fosse possibile guardare qualcuno negli occhi ed esclamare “Oh mio Dio, credo proprio di aver visto Babbo Natale!” oppure “Adesso chiudi gli occhi ed esprimi un bel desiderio!” Qualsiasi cosa quegli elfi dicessero terminava con un punto esclamativo!!! A parlare con tanta allegria forzata alla fine ti viene male alla bocca. Io rimango spiazzato quando qualcuno mi parla in quel modo, ma d’altronde chi non rimarrebbe spiazzato? Quanto a me, con i bambini preferisco esser franco. Mi viene più spontaneo dire: «Devi essere stanco», o «Conosco gente che ucciderebbe per avere un vitino da vespa come il tuo».
Ho paura che non riuscirò a esprimere lo scricchiolante entusiasmo che Babbo Natale richiede. Mi sa che sarò un elfo di basso profilo.
Oggi c’è stata la prova-costumi degli elfi. Gli armadietti e gli spogliatoi si trovano all’ottavo piano, proprio dietro il Paese di Babbo Natale. Gli elfi hanno avuto modo di conoscersi nei quattro giorni di training, ma una volta tolti i vestiti e indossate le uniformi tutto è cambiato.
La responsabile dei costumi ci ha assegnato i nostri abiti e ci ha fatto tutto un predicozzo su come tenerli puliti. Reggendo in mano un calendario ci ha detto: «Voi signorine sapete cos’è questo. Usatelo. Ho scrostato abbastanza sangue dal cavallo dei calzoncini degli elfi da averne a sufficienza per il resto della mia vita. E non venitemi a dire “Io le mutandine non le porto, sono una ballerina”. Non siete delle ballerine. Se foste davvero delle ballerine a quest’ora non sareste qui. Siete elfi e perciò vi mettete le mutande come tutti gli altri elfi».
Il mio costume è verde. Indosso dei calzoncini verdi di velluto, un dolcevita giallo, un grembiule verde oliva e un berretto di lana a cono con pompon tempestato di lustrini. Questa è la mia tenuta da lavoro.
Il mio nome da elfo è Focaccina. Ci hanno lasciati liberi di scegliere i nostri nomi e di cambiarli a seconda del ruolo occupato in quel mondo immacolato.
Oggi c’è stata l’inaugurazione ufficiale del Paese di Babbo Natale e io ho lavorato come Elfo Finestra Magica, Elfo di Babbo Natale e Elfo Usciere. La Finestra Magica si trova lungo la fila della “Sbirciatina per i Grandi”. Il mio compito consisteva nel dire: «Sali sulla Stella Magica, guarda dalla finestra e vedrai Babbo Natale!». Ero alla Finestra Magica da un quarto d’ora quando ...