
- 252 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Delitto in cielo
Informazioni su questo libro
Ancora una volta l'intraprendente coppia saprà risolvere il caso. Con questo romanzo, scritto nel 1941, all'epoca degli avvenimenti narrati, la Christie ha realizzato una delle più avvincenti storie di spionaggio della sua carriera.
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Informazioni
1
Il sole di settembre splendeva sull’aeroporto di Le Bourget mentre i passeggeri attraversavano la pista e salivano sull’aereo di linea Prometheus, che sarebbe decollato di lì a pochi minuti per Croydon.
Jane Grey fu tra gli ultimi a entrare e a occupare il suo posto, il n. 16. Alcuni dei passeggeri erano già andati avanti, oltre la porta centrale, al di là della minuscola cucinadispensa e delle due toilette nella parte anteriore dell’apparecchio. Quasi tutti erano già seduti.
Dal lato opposto del corridoio si levava un gran cicaleccio, e lo dominava una voce femminile acuta, piuttosto stridula. Jane storse lievemente le labbra. Come conosceva bene quel timbro particolare di voce!
«Mia cara… ma è straordinario… Non avevo la minima idea… Dove, mi dite? Juan les Pins? Oh, sì. No… Le Pinet… sì, soltanto la solita gente, quella di sempre… Ma certo, sediamoci vicine. Oh, non si può? Chi…? Oh, capisco…»
E poi una voce di uomo, straniera, cortese: «… Con il più grande piacere, madame».
Jane lanciò uno sguardo in quella direzione, di sottecchi.
Un ometto anziano, con un paio di folti baffi e la testa a forma di uovo, stava cortesemente rimuovendo tutto quanto gli apparteneva dal sedile corrispondente a quello di Jane, sul lato opposto del corridoio.
Jane girò lievemente la testa e poté osservare le due donne il cui incontro inatteso era stato l’occasione di quel gesto di cortesia da parte dello sconosciuto. La menzione di Le Pinet aveva stimolato la sua curiosità perché anche lei c’era stata.
Ricordava perfettamente una delle due donne, ricordava come l’aveva vista la volta precedente… a un tavolo di baccarà, con le piccole mani che si aprivano e si richiudevano a pugno ritmicamente e il viso truccato con raffinatezza, simile a una porcellana di Dresda, che arrossiva e impallidiva alternativamente. Con un piccolo sforzo di memoria, Jane pensò, sarebbe anche riuscita a ricordare come si chiamava. Un’amica aveva menzionato il suo nome… aveva detto: “È la moglie di un Pari, proprio così, ma… prima faceva la ballerina o qualcosa di simile”.
L’amica aveva pronunciato queste parole con profondo disprezzo. A parlare era stata Maisie, che aveva una posizione di prim’ordine come massaggiatrice specializzata in massaggi “riducenti”.
L’altra donna, così pensò en passant, invece, era “la vera aristocratica”. La fisionomia “equina”, da “gentildonna di campagna”, si disse ancora Jane, poi dimenticò le due donne e contemplò la vista dell’aeroporto di Le Bourget che si poteva godere dal finestrino. Vari altri apparecchi erano fermi sulla pista, qua e là. Uno di essi assomigliava a un enorme millepiedi di metallo.
L’unica direzione nella quale Jane era ostinatamente decisa a non guardare era quella diritta, davanti a sé. Perché, se lo avesse fatto, avrebbe rischiato di incontrare lo sguardo di lui, e questa era l’unica cosa da evitare assolutamente!
I meccanici gridarono qualche cosa in francese… il motore si mise a rombare… si spense… ricominciò a rombare… infine l’aereo si mise in movimento.
Jane trattenne il fiato. Era soltanto il suo secondo volo. Riusciva ancora a sentirsi emozionata. Ecco, sembrava… sembrava proprio che dovessero andare a schiantarsi contro quella specie di palizzata… ma, no, eccoli già staccati dal suolo… salire… salire… compiere un ampio giro in aria… ed ecco Le Bourget laggiù, sotto di loro.
Il volo di mezzogiorno per Croydon era iniziato. L’aereo portava ventun passeggeri. Dieci nella cabina anteriore, undici in quella posteriore. Aveva due piloti e due steward. Il rumore dei motori era attutito, non c’era bisogno di mettersi il cotone nelle orecchie. Nonostante questo, il frastuono era più che sufficiente a scoraggiare la conversazione e a incoraggiare la meditazione.
Mentre l’apparecchio sorvolava la Francia diretto verso la Manica, i passeggeri della cabina posteriore sprofondarono ognuno nei propri pensieri.
Jane Grey pensò: “No, non voglio guardarlo… non voglio… è molto meglio se non lo faccio. Mi metterò a guardare fuori dal finestrino e a pensare. Sceglierò un soggetto ben preciso… è sempre il metodo migliore. Servirà a occuparmi la mente. Partirò dall’inizio e ci lavorerò su per benino, meditandoci da capo a fondo”.
Con risolutezza riportò il proprio pensiero a quello che aveva chiamato “l’inizio”, cioè l’acquisto di un biglietto della Lotteria Irlandese. Era stato un capriccio, ma un capriccio emozionante.
Quante risate si erano fatte, e quante battute di spirito si erano sentite nel negozio di parrucchiere in cui lavorava con altre cinque ragazze.
“E che cosa pensi di fare se vincerai, cara?”
“Lo so io quello che farò!”
Progetti… castelli in aria… un mucchio di fantasticherie.
Bene, non aveva vinto “quello” – e per “quello” si intendeva il primo premio –, però aveva vinto ugualmente cento sterline.
“Ne spendi una metà, cara, e metti da parte l’altra metà per i giorni neri. Non si può sapere.”
“Se fossi in te, mi comprerei una pelliccia… ma proprio bella, di gran lusso;”
“E se tu facessi una crociera?”
Jane aveva vacillato un pochino al pensiero di una “crociera” ma alla fine era rimasta fedele alla sua prima idea. Una settimana a Le Pinet. Quante delle sue clienti, andavano proprio a Le Pinet oppure erano appena tornate da lì! Jane, mentre le sue dita sapienti mettevano in piega capelli e facevano permanenti, mentre la sua bocca pronunciava meccanicamente le solite frasi fatte: “Vediamo un po’, quanto tempo fa avete fatto l’ultima permanente, signora?”, “I vostri capelli hanno un colore molto raro, signora”, “È stata proprio una magnifica estate, vero, signora?”, aveva pensato fra sé: “Perché diavolo non posso andare anch’io a Le Pinet?”. Bene, adesso poteva andarci.
I vestiti non rappresentavano una grande difficoltà. Jane, come la maggior parte delle ragazze londinesi impiegate in negozi eleganti, sapeva ottenere effetti addirittura miracolosi, in fatto di moda, spendendo una somma assolutamente ridicola. Unghie, trucco e capelli erano irreprensibili.
Jane andò a Le Pinet.
Possibile che adesso, nei suoi pensieri, i dieci giorni trascorsi a Le Pinet si dovessero ridurre unicamente a un solo, unico episodio?
Un episodio avvenuto a un tavolo da roulette. Jane si era concessa una certa somma ogni sera per il gusto di giocarla al tavolo verde. Ma era anche ben decisa a non superare mai quella somma. Contrariamente a una superstizione molto diffusa, Jane non aveva avuto la classica fortuna dei principianti. Era accaduto la quarta sera, quando stava per fare l’ultima puntata. Fino a quel momento aveva giocato con prudenza, puntando sul colore o su una delle dozzine di numeri. Aveva vinto qualcosa, ma perduto parecchio. Adesso era lì ad aspettare, con il suo gettone in mano. C’erano due numeri sui quali nessuno aveva messo una puntata, il cinque e il sei. Doveva mettere il gettone, l’ultimo che le restava, su uno di quei numeri? E, in tal caso, quale scegliere? Il cinque oppure il sei? Quale dei due sentiva di più?
Il cinque… sì, sarebbe uscito il cinque. La pallina si mise a girare vorticosamente. Jane allungò la mano. Sei, ecco, aveva messo il gettone sul numero sei.
Appena in tempo. Lei e un altro giocatore, seduto di fronte, avevano fatto la puntata simultaneamente: Jane sul sei, lui sul cinque.
“Rien ne va plus” disse il croupier.
La pallina continuò a correre, passando da un numero all’altro e infine si fermò.
“Le numero cinq, rouge, impair, manque.”
Jane provò una gran voglia di mettersi a gridare per la rabbia. Il croupier ritirò le puntate, pagò le vincite.
L’uomo seduto di fronte a lei disse: “Perché non ritira la sua vincita?”.
“La mia?”
“Sì.”
“Ma io ho puntato sul sei.”
“Niente affatto. Io ho puntato sul sei e lei ha messo il suo gettone sul cinque.”
Sorrise… un sorriso molto attraente. Denti candidi su un viso abbronzatissimo, occhi azzurri, capelli ricci, corti.
Piuttosto incredula, Jane ritirò la vincita. Era la verità? In effetti si sentiva un po’ confusa. Forse aveva proprio messo il gettone sul cinque. Lanciò un’occhiata dubbiosa allo sconosciuto che le sorrise disinvolto.
“Ecco come bisogna fare” disse. “Basta lasciare lì sul tavolo qualcosa e subito arriva qualcuno che ci mette sopra le mani senza averne alcun diritto! È un vecchio trucco.”
Infine si era allontanato, dopo averle rivolto un lieve cenno di saluto. Anche questo era stato carino da parte sua. Altrimenti Jane avrebbe potuto sospettare che le avesse lasciato la propria vincita con il solo intento di far conoscenza. Invece non era quel tipo di uomo. Era simpatico… ed eccolo qui, seduto proprio di fronte a lei.
Adesso era finito tutto… i soldi spesi… due ultimi giorni, piuttosto deludenti, a Parigi e infine a casa.
“E dopo che cosa?”
“Basta” impose Jane al proprio cervello. “Non pensare a quello che può succedere. Servirà soltanto a farti innervosire.”
Le due donne avevano smesso di chiacchierare.
Lanciò un’occhiata dall’altra parte del corridoio. Quella che sembrava una figurina di porcellana di Dresda proruppe in un’esclamazione di stizza petulante, esaminandosi un’unghia rotta. Suonò il campanello e quando lo steward in giacca bianca apparve, gli disse: «Fate venire la mia cameriera. Si trova nell’altra cabina».
«Sì, milady».
Lo steward, molto deferente, molto rapido e capace, scomparve di nuovo. Si presentò una ragazza francese con i capelli scuri, vestita di nero. Portava una valigetta per i gioielli. Lady Horbury le rivolse la parola: «Madeleine, voglio il mio astuccio di marocchino rosso».
La cameriera si avviò per il corridoio. In fondo alla cabina erano ammucchiate alcune valigie e coperte da viaggio.
La ragazza ritornò con un piccolo astuccio da toilette.
Cicely Horbury lo prese e congedò la cameriera.
«Va bene così, Madeleine. Lo tengo qui con me.»
La cameriera uscì di nuovo. Lady Horbury aprì l’astuccio e, dall’interno perfettamente rifornito di tutto il necessario con ogni cosa al suo posto, trasse una lima per le unghie. Poi contemplò a lungo con aria grave la propria faccia in uno specchietto, toccandola qua e là: un briciolo di cipria, ancora un po’ di pomata per le labbra.
Le labbra di Jane si piegarono in una smorfia sprezzante; il suo sguardo proseguì oltre nella cabina.
Dietro le due signore c’era l’ometto straniero che aveva ceduto il proprio posto alla “gentildonna di campagna”. Imbacuccato in una quantità di sciarpe pesanti e assolutamente non necessarie, sembrava profondamente addormentato. Forse reso inquieto dall’occhiata scrutatrice di Jane, spalancò gli occhi, la considerò per un momento, poi li richiuse.
Al suo fianco sedeva un uomo alto, con i capelli grigi, la faccia autoritaria. Aveva una custodia da flauto aperta e stava lucidando lo strumento con cura amorosa. “Che strano,” pensò Jane “non ha per nulla l’aspetto del musicista, sembra piuttosto un avvocato o un medico.”
Dietro ancora c’erano due francesi, uno con la barba e l’altro molto più giovane, forse suo figlio. Stavano chiacchierando, gesticolando in modo agitato.
Dalla parte di Jane, la vista era bloccata dall’uomo con il pullover azzurro pervinca, l’uomo che per qualche assurdo motivo era ben decisa a non voler guardare.
“È sciocco che io mi senta… così… così eccitata… neanche avessi diciassette anni!” pensò Jane indignata.
Di fronte a lei, Norman Gale stava pensando: “È carina… proprio carina… si ricorda perfettamente di me. Come sembrava delusa quando le puntate furono ritirate tutte. Cosa contano quatt...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Delitto in cielo
- 1
- 2
- 3
- 4
- 5
- 6
- 7
- 8
- 9
- 10
- 11
- 12
- 13
- 14
- 15
- 16
- 17
- 18
- 19
- 20
- 21
- 22
- 23
- 24
- 25
- 26
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