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Stryke faceva tica a scorgere il terreno, tanto era coperto di cadaveri.
Era assordato dalle urla dei combattenti e dal clangore dell’acciaio. Nonostante il freddo, il sudore irritava i suoi occhi. Gli bruciavano i muscoli e il corpo gli doleva. Sangue, fango e schizzi di materia cerebrale gli sporcavano la giubba. E adesso altre due di quelle abominevoli creature, disgustosamente mollicce e rosee, venivano verso di lui con occhi assassini.
Stryke pregustò la gioia di ucciderle.
Muovendo passi incerti sul terreno disseminato di morti, incespicò e per poco non cadde; il puro istinto gli fece sollevare la spada per parare la prima lama che si abbatteva su di lui. L’impatto gli scosse tutte le ossa, ma il colpo venne fermato. Leggermente stordito, Stryke fece un passo all’indietro, piegò le ginocchia e poi, con un affondo, passò sotto la guardia dell’avversario. Forte come un colpo di ariete, la spada colpì l’addome del nemico. Stryke la strattonò con violenza verso l’alto, con tutta la forza del braccio, spingendola ancora più profondamente nel corpo, finché non venne arrestata da una costola; l’intestino fuoriuscì dallo squarcio. La creatura cadde a terra, con un’espressione stupefatta sulla faccia.
Non c’era tempo per compiacersi dell’uccisione. Il secondo aggressore era già su di lui, brandendo uno spadone con due mani. La sua punta luccicante teneva a distanza Stryke. Avendo appena assistito alla morte del compagno, questa creatura era più cauta. Stryke passò all’offensiva, impegnando il nemico con una sequenza di stoccate aggressive. Tutt’e due paravano e colpivano, muovendosi in una sorta di danza lenta e sgraziata, con gli stivali che cercavano un punto d’appoggio sui corpi di amici e nemici, senza distinzione.
L’arma di Stryke era più adatta a tirare di scherma. Il peso e la lunghezza dello spadone della creatura lo rendevano poco maneggevole nel combattimento corpo a corpo. Costruito per menare fendenti, bisognava maneggiarlo descrivendo un arco molto ampio. Dopo un po’ la creatura cominciò ad ansimare per lo sforzo, soffiando nuvolette di vapore gelido. Stryke continuò a rintuzzare i colpi senza avvicinarsi, in attesa del momento opportuno. Alla fine, disperata, la creatura scattò verso di lui, con lo spadone che mirava alla sua testa. Lo mancò, ma passò così vicino che Stryke sentì lo spostamento d’aria. L’impeto con cui il suo nemico aveva portato il colpo gli lasciò scoperto il petto. La spada di Stryke trovò subito il cuore e ne fece scaturire uno schizzo scarlatto. Avvitandosi su se stessa, la creatura ricadde nella mischia, a farsi calpestare dai combattenti.
Guardando a valle, Stryke riuscì a distinguere i Figli del Lupo, che spiccavano in mezzo alla battaglia più grande, nella pianura sottostante.
Tornò a unirsi al massacro.
Coilla alzò la testa e scorse Stryke sulla collinetta, non lontano dalle mura del fortino. Era intento a combattere selvaggiamente contro i suoi difensori.
Coilla imprecò contro la maledetta impazienza del suo comandante.
Per il momento, avrebbe dovuto badare a se stesso. La squadra doveva ancora vincere una forte resistenza, prima di poterlo raggiungere.
Laggiù, nel calderone ribollente della battaglia più grande, una lotta sanguinosa infuriava da ogni lato. Una folla cieca di combattenti e di cavalcature atterrite riduceva in poltiglia quelli che, fino a poche ore prima, erano campi coltivati. Il chiasso, forte e stridulo, sembrava incessante; l’odore acuto della morte lasciava nella gola un sapore di fiele.
I Figli del Lupo, un cuneo mobilissimo forte di trenta combattenti e irto d’acciaio, mantenevano una formazione serrata, facendosi strada in mezzo alla mischia come un gigantesco insetto con decine di pungiglioni. Vicino al vertice del cuneo, Coilla contribuiva ad aprire il cammino, menando colpi di spada sulla carne nemica che ostruiva il passaggio.
Troppo in fretta per poterli comprendere appieno, una successione di infernali tableau vivant passò davanti a lei. Un difensore con una scure piantata nella spalla; uno dei suoi compagni che, con le mani sporche di sangue, si copriva gli occhi; un altro che gridava senza che una sola parola gli uscisse dalla bocca e con un moncherino al posto del braccio; uno degli avversari fissava il buco che gli si era aperto nel petto, grosso come un pugno; e poi un corpo senza testa che avanzava barcollando, e dal collo gli schizzava un fiotto di sangue; una faccia tagliata a strisce dalla punta della sua spada.
Un tempo infinito più tardi, i Figli del Lupo arrivarono ai piedi dell’altura e cominciarono a risalire il pendio, disputandosi con i nemici ogni palmo di terreno.
Una breve interruzione del massacro permise a Stryke di controllare di nuovo l’avanzata della sua squadra. I compagni si aprivano la strada in mezzo a nugoli di difensori, a circa metà altezza, sul pendio.
Si voltò dall’altra parte e tornò a guardare il fortino massiccio, circondato da una palizzata di tronchi, che sorgeva in cima all’altura. Avevano ancora un lungo tratto da percorrere prima di raggiungere le porte, e parecchi nemici da eliminare, ma Stryke aveva l’impressione che i loro ranghi si stessero assottigliando.
Respirò a pieni polmoni l’aria gelida e sentì di nuovo il piacere di vivere che provava quando la morte era vicina.
Arrivò Coilla. Ansimava ed era seguita a breve distanza dal resto del gruppo.
«Ce ne hai messo di tempo» commentò Stryke, seccamente. «Temevo di dover assaltare il fortino da solo.»
Coilla indicò la mischia tuttora in corso sotto di loro. «Non avevano molta voglia di lasciarci passare.»
Si scambiarono un sorriso un po’ folle.
“Anche lei sente la bramosia di sangue” pensò Stryke. “Bene.”
Alfray, custode della bandiera dei Figli del Lupo, li raggiunse e piantò l’asta nel terreno gelido. Le due dozzine di soldati che facevano parte della squadra formarono un cerchio difensivo intorno agli ufficiali. Notando che uno dei guerrieri aveva una brutta ferita alla testa, Alfray prese una benda dalla borsa e se ne servì per fermare il sangue. I sergenti Haskeer e Jup si fecero largo in mezzo alla truppa. Come sempre, il primo era imbronciato, il secondo imperscrutabile.
«Piaciuta la passeggiata?» disse Stryke, sarcastico.
Jup non gli badò. «E adesso, capitano?» gli chiese con aria arcigna.
«Che cosa proponi tu, culo basso? Una pausa per cogliere fiori?» Fissò con ira il suo piccolo vicecomandante. «Saliamo lassù e facciamo il nostro lavoro.»
«In che modo?»
Coilla scrutava il cielo plumbeo; per ripararsi dal riverbero si era portata una mano sopra gli occhi.
«Un assalto frontale» rispose Stryke. «Hai un piano migliore?» aggiunse in tono di sfida.
«No, ma sopra di noi è terreno aperto. Subiremo forti perdite.»
«Non è sempre così?» Sputò in terra, mancando di poco il piede del sergente. «Ma, se la cosa ti fa sentire meglio, possiamo consultare la nostra stratega. Coilla, la tua opinione?»
«Mmh?» Coilla continuava a fissare le nubi.
«Sveglia, caporale! Ti ho chiesto...»
«Lo vedi anche tu?» Coilla indicò un punto nel cielo.
In mezzo al grigiore delle nuvole si scorgeva un puntino nero che scendeva rapidamente. A quella distanza non si riusciva a distinguere alcun particolare, ma tutti capirono che cos’era.
«Potrebbe esserci utile» commentò Stryke.
Coilla non ne era altrettanto certa. «Può darsi, ma non si può mai contare sulle loro buone intenzioni. Meglio mettersi al riparo.»
«Dove?» chiese Haskeer, indicando il terreno aperto.
Il puntino diveniva sempre più grande.
«Scende più veloce di un tizzone dell’inferno» osservò Jup.
«E troppo in picchiata» aggiunse Haskeer.
Ma ormai il corpo tozzo e le ali corte e massicce erano chiaramente visibili. Adesso non c’erano dubbi. Enorme e goffa, la bestia sorvolò i guerrieri che si affrontavano nella pianura. Tutti s’immobilizzarono con gli occhi rivolti verso l’alto. Alcuni si allontanarono di corsa dall’ombra del drago. Senza badare a loro, l’animale volante proseguì quasi in verticale, diretto vero l’altura dove si erano riuniti i Figli del Lupo.
Stryke socchiuse gli occhi per osservarlo. «Qualcuno riesce a distinguere chi sta in sella?»
Tutti scossero la testa. Il proiettile vivente proseguì verso di loro senza esitazione. Spalancò l’enorme bocca schiumante, mostrando file di denti gialli, grossi come elmi da guerra. Per un attimo si videro lampeggiare gli occhi verdi, dalla pupilla lunga e stretta. Sulla schiena dell’animale sedeva rigidamente un cavaliere, minuscolo rispetto al drago.
Stryke valutò la distanza: con tre battiti delle poderose ali li avrebbe raggiunti.
«Troppo basso» sussurrò Coilla.
Haskeer gridò: «Baciate la terra!».
Tutto il gruppo si appiattì al suolo.
Mentre rotolava a terra, Stryke scorse alle sue spalle la pelle grigia, simile al cuoio, e una zampa enorme, munita di artigli, che passavano sopra di lui. Aveva l’impressione che, se avesse allungato la mano, avrebbe potuto toccare l’animale.
Poi il drago eruttò un’enorme vampata arancione, talmente brillante da accecare.
Per una frazione di secondo, Stryke venne abbagliato dall’intensità di quella luce e fu costretto a sbattere le palpebre. Si aspettava che il drago andasse a sfracellarsi contro il terreno. Invece, lo vide sollevarsi con un angolo assurdamente acuto.
Sopra di lui, in cima all’altura, la scena subì una brusca trasformazione. I difensori e alcuni degli attaccanti, investiti dal respiro rovente del drago, erano stati trasformati in palle di fuoco urlanti o erano già morti e ne rimaneva solo qualche mucchio di cenere. Qua e là, la terra stessa bruciava e ribolliva.
L’odore di carne arrostita si sparse nell’aria. Stryke sentì la bocca riempirsi di saliva.
«Qualcuno dovrebbe ricordare ai padroni dei draghi per quale parte combattono» brontolò Haskeer.
«Ma questo ci ha alleggerito il lavoro.» Stryke indicò le porte del fortino, avvolte dalle fiamme. Si affrettò a rialzarsi e gridò: «Tutti con me!».
I Figli del Lupo lanciarono un grido di battaglia che echeggiò lungo tutta l’altura e corsero dietro di lui. Incontrarono scarsa resistenza e riuscirono facilmente a eliminare i pochi nemici che ancora rimanevano in piedi.
Quando arrivò alle porte fumanti, Stryke scoprì che erano talmente danneggiate da non presentare alcun ostacolo; una pendeva dai cardini e stava per cadere.
In cima a un palo si scorgeva un cartello carbonizzato, su cui si leggeva ancora la parola CAMPONOSTRO.
Haskeer corse al fianco di Stryke. Vide il cartello e, con una smorfia, gli sferrò un colpo di spada staccandolo dal palo. La tavola di legno cadde a terra e si spezzò in due.
«Hanno colonizzato anche il nostro linguaggio» brontolò.
Jup, Coilla e gli altri del gruppo li raggiunsero. Stryke e numerosi guerrieri presero a calci la porta indebolita dal fuoco, fino ad abbatterla.
Sciamarono attraverso l’apertura e si ritrovarono in un ampio cortile. Alla loro destra si scorgeva un recinto con il bestiame, a sinistra un filare di alberi da frutto. Direttamente davanti all’entrata, a una certa distanza, sorgeva una grande casa di legno.
Schierato di fronte, c’era un gruppo di difensori che era almeno il doppio di quello dei Figli del Lupo.
Questi si lanciarono all’assalto e cominciarono a massacrare le creature. Nel feroce combattimento corpo a corpo, la disciplina dei Figli del Lupo ebbe la meglio. Non avendo alcuna possibilità di fuga, il nemico venne preso dalla disperazione e combatté furiosamente, ma in pochi minuti fu decimato. Le perdite dei Figli del Lupo furono assai inferiori: solo una manciata di guerrieri subì qualche piccola ferita, ma non bastò a rallentare la loro avanzata o a spegnere lo zelo con cui falciavano la carne color latte dei loro nemici.
Alla fine, i pochi difensori rimasti si riunirono in blocco davanti all’entrata. Stryke guidò l’attacco contro di loro a fianco di Coilla, Haskeer e Jup.
Quando con uno strattone liberò la spada dalle viscere dell’ultimo difensore, Stryke scrutò intorno a sé, esaminando l’intero cortile.
Guardando il recinto vide quel che cercava. «Haskeer! Va’ a prendere uno di quei pali per abbattere la porta!»
Il sergente si allontanò di corsa, lanciando ordini. Sette o otto guerrieri lo seguirono, impugnando la scure che portavano alla cintura.
Stryke fece un segno a un soldato. Questi, però, dopo avere fatto solo due passi, stramazzò, con una sottile asticella che gli spuntava dalla gola.
«Arcieri!» gridò Jup. Con la spada, indicò il piano alto dell’edificio.
Il gruppo si disperse mentre una grandinata di frecce piombava su di loro da una finestra. Un solo Figlio del Lupo finì a terra, abbattuto da una freccia alla testa. Un altro venne colpito alla spalla, ma i compagni riuscirono a trascinarlo al riparo.
Coilla e Stryke, che erano i più vicini alla casa, corsero a cercare protezione sotto la sporgenza del tetto; si premettero contro la parete, ciascuno da un lato della porta.
«Quanti arcieri abbiamo?» chiese la donna.
«Ne abbiamo appena perso uno. Ce ne rimangono tre.» Stryke controllò il cortile. Gli arcieri nemici prendevano a bersaglio soltanto gli uomini di Haskeer. Ma, anche se le frecce fischiavano intorno a loro, i guerrieri continuavano a colpire con la scure uno dei pali del recinto degli animali.
Nelle vicinanze della casa, Jup e gli altri si erano stesi a terra. Sfidando la pioggia di dardi, il caporale Alfray si era inginocchiato a fasciare la spalla del soldato colpito. Stryke stava per chiamarlo quando vide che i suoi tre arcieri tendevano la corda dei corti archi.
La posizione a terra non era l’ideale. Dovevano girare l’arco di lato e mirare in alto, sollevando il petto. Ma ben presto una scarica regolare di frecce cominciò a colpire i difensori dell’edificio.
Dal loro rifugio malsicuro, Stryke e Coilla potevano soltanto osservare le frecce che volavano verso il piano superiore e quelle che scendevano in risposta. Dopo un minuto o due, dai guerrieri si levò un grido di trionfo, ovviamente perché una freccia era andata a segno. Ma il lancio di dardi nei due sensi proseguì, confermando che nell’edificio c’era almeno un altro arciere.
«Perché non usiamo le frecce incendiarie?» disse Coilla.
«Non voglio bruciare la casa finché non avrò recuperato quello che siamo venuti a prendere.»
Dal recinto degli animali giunse un forte schianto. Il gruppo di Haskeer aveva liberato il palo. I guerrieri lo sollevarono, innervositi dalle frecce nemiche, anche se ormai erano meno frequenti.
A un altro ruggito di trionfo dei guerrieri immobilizzati fece seguito un suono di voci dal piano superiore. Un arciere cadde dalla finestra e si sfracellò a terra davanti a Stryke e Coilla. La freccia che gli sporgeva dal petto si era spezzata nella caduta.
Vicino al recinto, Jup scattò in piedi e segnalò che nella casa non c’erano altri arcieri.
La squadra di Haskeer si avviò di corsa, portando con sé il palo. Per lo sforzo di manovrare quel peso, tenevano la schiena curva e avevano una smorfia sul viso. Poi, anche gli altri afferrarono l’ariete improvvisato e cominciarono a battere contro la porta rinforzata, provocando una pioggia di schegge di legno. Dopo una decina di colpi la porta cedette e si abbatté sul pavimento con uno schianto.
All’interno, un trio di difensori li stava aspettando. Uno di loro fece un balzo in avanti e con un solo colpo uccise il primo di coloro che reggevano l’ariete. Stryke abbatté la creatura, scavalcò il palo, che intanto era caduto a terra, e si gettò sul secondo avversario. Dopo un breve e frenetico scambio di colpi, la creatura finì sul terreno. Ma, a causa di quella distrazione, Stryke non aveva badato al terzo difensore, che ora si avvicinava sollevando la spada e piegando il braccio all’indietro, pronto a sferrare un fendente che l’avrebbe decapitato.
Con un tonfo sordo, un coltello da lancio si piantò nel suo petto. La creatura rantolò per un istante, lasciò cadere la spada e crollò in avanti.
Un brontolio da parte di St...