
- 160 pagine
- Italian
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eBook - ePub
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Il dissidio tra arte e vita borghese, tra creatività e normalità in uno dei capolavori brevi del grande narratore tedesco (1875-1955).
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Informazioni
Print ISBN
9788804486091eBook ISBN
97888520167901
Il sole invernale era solo un pallido riflesso, lattiginoso e stanco dietro le coltri di nuvole sulle strette vie della città. Le strade, fiancheggiate dai frontoni delle case, erano umide e ventose, e di tanto in tanto cadeva una specie di grandine molliccia, né ghiaccio né neve.
La scuola era finita. I liberati fluivano a sciami attraverso il cortile lastricato e, usciti dal cancello, si separavano affrettandosi a destra e a sinistra. I più grandi stringevano dignitosamente il loro pacco di libri alla spalla sinistra, mentre col braccio destro remigavano contro il vento, diretti al richiamo del pranzo; i piccoli trotterellavano allegri, facendo schizzare tutt’intorno la poltiglia ghiacciata e malmenando gli arnesi della scienza entro gli zaini di pelle di foca. Ma piccoli e grandi, atteggiandosi a compunzione, si toglievano ogni tanto i berretti di fronte al cappello alla Wotan o alla barba da Giove olimpico di qualche professore, che si allontanava compassato...
«Insomma, Hans, vieni o no?» domandò Tonio Kröger, che già da tempo stava aspettando in mezzo alla strada; e si diresse sorridendo verso l’amico che, intento a conversare con altri compagni, usciva dal portone e già era in procinto d’andarsene con loro. «Come?» fece questi, e guardò Tonio... «Già, è vero! Ora facciamo un po’ di strada insieme.»
Tonio ammutolì; i suoi occhi si offuscarono. Hans aveva già dimenticato il loro progetto di fare a mezzogiorno una passeggiatina insieme? Soltanto ora se ne ricordava? E pensare che lui, dal momento dell’intesa, non aveva quasi smesso di rallegrarsene!
«Be’, ciao, voialtri!» disse Hans Hansen ai compagni. «Adesso vado un po’ con Kröger.» E i due presero a sinistra, mentre gli altri se ne andavano lemme lemme verso destra.
page_no="23" Hans e Tonio avevano tempo di andare a passeggio dopo la scuola, perché nelle loro famiglie si pranzava solo alle quattro. I loro padri erano grossi commercianti investiti di pubblici uffici, e potenti nella città. Agli Hansen appartenevano, già da parecchie generazioni, i vasti depositi di legname presso la riva del fiume, ove, tra sbuffi e cigolii, potenti seghe meccaniche tagliavano i tronchi. Tonio invece era figlio del console Kröger, il cui nome si leggeva impresso, a letteroni neri, sui sacchi di grano che ogni giorno venivano trasportati su carri per le vie; e la grande vecchia casa dei suoi avi era la più signorile di tutta la città... A ogni istante gli amici dovevano sberrettarsi di fronte alle numerose conoscenze, anzi non di rado accadeva che qualche passante salutasse per primo i due quattordicenni...
Tutti e due portavano le cartelle a tracolla, tutti e due indossavano abiti belli e caldi: Hans vestiva una corta blusa marinaresca, sopra la quale il largo colletto turchino del vestito alla marinara gli scendeva sugli omeri e sul dorso; Tonio un cappotto grigio con cintura. Sul capo Hans portava un berretto da marinaio danese con corti nastri, sotto a cui sfuggiva un ciuffo di capelli color biondo lino. Era eccezionalmente bello e ben fatto, largo di spalle e sottile nei fianchi; i suoi occhi, azzurri come l’acciaio, splendevano di uno sguardo franco e penetrante. Ma sotto il rotondo berretto di pelo Tonio mostrava un visetto bruno, dai lineamenti disegnati con meridionale nettezza, e dove gli occhi scuri, dolcemente ombreggiati, apparivano sognanti e un po’ spauriti sotto le palpebre grevi, mentre la bocca e il mento portavano il segno di un’insolita mollezza... Il suo passo era indolente, ineguale, mentre le slanciate gambe di Hans Hansen, strette nelle calze nere, procedevano elastiche e ben ritmate.
Tonio non parlava. Gli doleva il cuore. Aggrottava le sopracciglia un po’ oblique e teneva le labbra appuntite come per fischiare, mentre col capo piegato lateralmente guardava lontano, in un atteggiamento e con un’espressione che gli erano consueti.
A un tratto, Hans spinse il braccio sotto quello di Tonio, osservandolo di sottecchi; capiva benissimo la situazione. E Tonio, benché continuasse a camminare taciturno, si sentì d’improvviso tutto intenerito.
page_no="25" «Sai, Tonio, non me n’ero mica scordato» disse Hans, abbassando lo sguardo sul marciapiede davanti a sé, «solo pensavo che oggi non se ne sarebbe fatto nulla, con quest’umidità e questo vento. A me però non importa proprio niente, e poi trovo splendido che tu mi abbia aspettato lo stesso. Credevo che fossi già andato a casa, e mi rincresceva...»
A queste parole Tonio sentì che tutto dentro di lui si metteva a girare in una specie di tripudio.
«Bene, allora andiamo sui bastioni!» disse con voce concitata. «Sul Mühlenwall e sullo Holstenwall, e così ti accompagno a casa, Hans... Bada, non fa proprio niente che poi debba tornare a casa da solo; un’altra volta mi accompagni tu.»
In fondo non era molto convinto della verità di quello che Hans gli aveva detto, e sapeva benissimo che agli occhi del compagno quella passeggiata a due non rivestiva neanche la metà dell’importanza che aveva per lui. Ma, ciò nondimeno, vedeva che Hans si rimproverava la sua dimenticanza e si preoccupava di farsela perdonare; e tutto avrebbe voluto fuorché ostacolare quel desiderio di conciliazione.
Il fatto è che Tonio amava Hans Hansen e che già aveva sofferto molto per lui. Chi più ama è il soccombente e deve soffrire: aveva ormai appreso dalla vita questa semplice e dura verità la sua anima quattordicenne; ed egli era così fatto, che simili ammaestramenti s’incidevano profondi in lui; il suo spirito li annotava e in certo qual modo ne traeva gioia, senza che, d’altronde, egli li applicasse al suo caso personale e ne ricavasse pratico profitto. Così pure gli era caratteristico il fatto di trovare quelle verità molto più importanti e interessanti delle conoscenze che gli venivano impartite a scuola, tanto che le ore di lezione, nelle aule dalla vòlta gotica, erano per lo più da lui dedicate ad approfondire al massimo quelle certezze, a impregnarne totalmente il proprio pensiero. E l’appagamento che tale occupazione gli procurava era del tutto simile a quello ch’egli godeva quando, imbracciato il violino (poiché suonava il violino), andava su e giù per la sua stanza, e ascoltava i suoni – che si studiava di trarre i più dolci possibile dallo strumento – confondersi allo scroscio del getto d’acqua che giù nel giardino, sotto i rami del vecchio noce saliva zampillando...
Lo zampillo, il vecchio noce, il suo violino e il mare in lontananza – il mar Baltico del quale, nelle vacanze, poteva spiare i sogni estivi – queste erano le cose ch’egli amava, delle quali per così dire si circondava, e tra esse si svolgeva la sua intima vita: cose i cui nomi si possono mettere in versi con bell’effetto; e infatti risuonavano assidue nei versi che Tonio Kröger di quando in quando componeva.
Questa circostanza, che egli tenesse un quaderno di versi di sua composizione, era stata conosciuta proprio per sua colpa e gli tornava non poco nociva non solo tra i suoi compagni, ma anche di fronte ai professori. Da una parte, il figlio del console Kröger giudicava che sarebbe stato sciocco e volgare adontarsene, e accomunava nel disprezzo condiscepoli e insegnanti, la cui sgarbatezza per di più gli riusciva fastidiosa e le cui personali debolezze non sfuggivano alla sua singolare perspicacia. D’altro canto egli stesso si rendeva conto della stravaganza, della vera e propria sconvenienza che costituiva lo scrivere versi, e in certo modo non poteva non dar ragione a tutti quelli che giudicavano tale abitudine come indisponente. Però questa convinzione non era sufficiente a far sì che ne desistesse...
Poiché a casa sciupava il suo tempo, e durante le lezioni dava prova di spirito lento e svogliato, ed era in cattivo concetto presso gl’insegnanti, così avveniva ch’egli portasse regolarmente a casa pagelle scadentissime; al che suo padre, un distinto signore dagli azzurri occhi pensosi, alto di statura e accurato nel vestire, e che portava sempre all’occhiello un fiore di campo, mostrava ogni volta sdegno e disappunto. Invece alla madre di Tonio, la sua bella mamma dai capelli neri, che di nome si chiamava Consuelo ed era in tutto così diversa dalle altre signore della città, perché il babbo un giorno se l’era andata a prendere tanto in giù sulla carta geografica – a sua madre di quelle brutte pagelle non importava proprio niente...
Tonio amava quella mamma bruna e piena di fuoco, che suonava così meravigliosamente il pianoforte e il mandolino, ed era lieto che non si affliggesse granché dell’incerta posizione ch’egli occupava in mezzo agli uomini. Ma nello stesso tempo sentiva bene che il corruccio di suo padre era di gran lunga più dignitoso e rispettabile; e in fondo, nonostante i rabbuffi, era perfettamente d’accordo con lui, mentre la gaia indifferenza materna gli sembrava un po’ pazzerella. Talora gli avveniva di pensare press’a poco così: “È già abbastanza che io sia quel che sono, e non voglia né possa mutarmi: negligente, scontroso, preoccupato di cose alle quali nessuno pensa. È giusto, almeno, che per questo mi si sgridi e mi si punisca, e non che ci si passi sopra con un po’ di baci e di musica. Non siamo degli zingari in un carrozzone verde, siamo gente per bene, il console Kröger, la famiglia dei Kröger...”. Non di rado pensava anche: “Perché mai sono così diverso e in conflitto con tutti, mal visto dai professori, estraneo in mezzo ai miei compagni? Guardali un po’, i bravi scolari, i tipi solidamente mediocri! Non trovano ridicoli i professori, non scrivono versi, pensano soltanto le cose che vanno pensate e che si possono esprimere a voce alta. Come devono sentirsi in regola e d’accordo con tutto e con tutti! Dev’essere bello... Ma io, allora, che cos’ho? E come finirà tutto questo?”.
Tale modo particolare di considerare se stesso e il suo rapporto con la vita aveva un ruolo importante nell’amore di Tonio per Hans Hansen. Egli lo amava, prima di tutto, perché era bello; ma poi, anche, perché scorgeva in lui, in ogni senso, il proprio contrasto e contrario. Hans Hansen era uno scolaro esemplare e, ciò nondimeno, un piacevole camerata: sapeva cavalcare, far ginnastica, nuotare come un campione, e godeva della generale simpatia. I professori lo trattavano quasi con tenerezza, lo chiamavano per nome e lo portavano in palma di mano, i compagni cercavano di entrare nelle sue grazie, e per strada signori e signore lo fermavano, lo prendevano per il ciuffo biondo lino che spuntava dal berretto danese alla marinara, e: «Buongiorno,» gli dicevano «Hans Hansen dal bel ciuffetto! Sei sempre il primo a scuola? Saluta papà e mamma, bel ragazzo che sei...».
Così era Hans Hansen, e Tonio Kröger, dacché l’aveva conosciuto, al solo vederlo era preso da uno struggimento, uno struggimento vicino all’invidia, che gli opprimeva il petto con una sensazione di bruciore. Poter avere gli occhi azzurri come i tuoi, pensava, e vivere come te, ordinatamente e in felice intesa col resto del mondo! Tu sei sempre occupato in qualche cosa di onesto e di generalmente rispettato. Quando hai finito i compiti, prendi lezioni di equitazione o lavori di traforo, e anche in vacanza, al mare, sai riempire il tuo tempo remando, nuotando, andando in barca a vela, mentre io giaccio ozioso e sperduto nella rena, intento al misterioso cangiar di espressioni che guizzano via sul volto del mare. Ma appunto per questo sono così chiari i tuoi occhi. Essere come te...
Non faceva alcun tentativo di diventare come Hans Hansen, e non vi aveva neppure mai aspirato seriamente. Ma provava dolorosamente il desiderio di essere amato da lui così com’era, e sollecitava quell’amore in un suo modo lento e intimo, pieno di dedizione, di pena e di mestizia: ma di quella mestizia che può ardere più profonda e logorante dell’impetuosa passionalità che le sue fattezze esotiche sembravano annunciare.
E la sua ricerca non era del tutto vana, poiché Hans, il quale del resto avvertiva in lui una certa superiorità, un’abilità di parola che permetteva a Tonio di esprimere cose difficili, si rendeva conto perfettamente di quel sentimento oltremodo intenso e delicato e, corrispondendovi con gratitudine, gli procurava non poche occasioni di felicità, ma, non di rado, anche le pene della gelosia, della delusione, del vano sforzo verso una reciproca intesa spirituale. Perché lo strano era questo: che Tonio, pur invidiando il modo di vita di Hans Hansen, cercava incessantemente di attirarlo verso quello che gli era proprio; ma a ciò non poteva riuscire che per istanti, e sempre solo in apparenza...
«Sai,» disse «ho letto una cosa stupenda, una cosa meravigliosa...» Camminavano mangiando delle caramelle di frutta che estraevano a turno da un cartoccio comperato per dieci soldi dal droghiere Iwersen nella Mühlenstrasse. «Devi leggerlo, Hans, è il Don Carlos di Schiller... Se vuoi, te lo presto...»
«No, no,» rispose Hans Hansen «lascia stare, Tonio, non è roba fatta per me. Io preferisco i miei libri di cavalli, lo sai. Vedessi che bellezza di figure ci sono. Se una volta vieni a casa mia, te le faccio vedere. Tutte istantanee, coi cavalli che trottano e galoppano e saltano, in tutte le posizioni che nella realtà non si possono mai vedere per la troppa velocità...»
«In tutte le posizioni?» domandò Tonio cortesemente. «Già, bello, senza dubbio. Ma, quanto al Don Carlos, è al disopra di ogni immaginazione. Ci sono punti, vedrai, così magnifici che si prova uno scossone, come se si sentisse uno schianto...»
«Uno schianto?» domandò Hans Hansen. «In che modo?»
«Ma sì, per esempio in quel punto quando il re ha pianto perché è stato tradito dal marchese... ma il marchese lo ha tradito solo per amore del principe, capisci? Perché si sacrifica per lui. E allora la notizia che il re ha pianto giunge dal suo studio nel vestibolo. “Ha pianto? Il re ha pianto?” Tutti i cortigiani sono terribilmente sorpresi, si sentono come fulminati, perché è un re talmente rigido e severo. Invece si capisce benissimo che abbia pianto, e a me anzi fa più pena lui del principe e del marchese insieme. È sempre talmente solo e senza affetto, e quando crede finalmente di aver trovato un essere umano, quello lo tradisce...»
Hans Hansen guardò di sottecchi il viso di Tonio, e qualcosa in quel viso dovette avvincerlo all’argomento: d’improvviso infilò nuovamente il braccio sotto quello dell’amico, e gli domandò:
«E com’è che lo tradisce, Tonio?»
Dentro a Tonio il rimescolio riprese.
«Ecco, devi sapere» cominciò a dire «che tutte le lettere per il Brabante e le Fiandre...»
«Guarda, c’è Erwin Jimmerthal» disse Hans.
Tonio ammutolì. Potesse inghiottirselo la terra, quel Jimmerthal, pensava. Perché mai deve venire a disturbarci? E se adesso fa la strada insieme a noi e non parla altro che di equitazione?... Poiché anche Erwin Jimmerthal andava a lezione di equitazione. Era figlio del direttore della banca e abitava lì vicino, fuori porta. Ed eccolo, già senza cartella, venir loro incontro attraverso il viale, con le gambe arcuate e gli occhi a mandorla.
page_no="35" «Ciao, Jimmerthal» disse Hans. «Sto facendo una passeggiatina con Kröger...»
«Io vado in città,» disse Jimmerthal «ho qualche commissione da fare. Ma vengo un pochino insieme a voi... Cosa sono, caramelle di frutta, quelle lì? Grazie, ne mangio un paio anch’io. Domani abbiamo di nuovo lezione, Hans.» Alludeva alla lezione di equitazione.
«Fantastico!» disse Hans. «Di’, sai che mi regalano le ghette di pelle perché ho avuto di recente dieci nel compito...»1
«E tu, Kröger, non impari a cavalcare?» domandò Jimmerthal; i suoi occhi erano solo due fessure lucenti.
«No...» rispose Tonio con voce molto incerta.
«Dovresti» osservò Hans Hansen «chiedere a tuo padre di prendere lezioni anche tu, Kröger.»
«Sì...» assentì Tonio precipitosamente e insieme con indifferenza. Per un istante un nodo gli strinse la gola: Hans lo aveva chiamato col cognome; e Hans parve accorgersene, perché aggiunse a mo’ di spiegazione:
«Ti chiamo Kröger perché hai un nome così buffo, scusa, sai, ma non posso proprio soffrirlo. Tonio... non è neanche un nome. Del resto, tu non ci hai nessuna colpa, figurati!»
«No, ti hanno chiamato così perché fa l’effetto di straniero, di qualcosa di speciale...» disse Jimmerthal, con l’aria di voler chiarire le cose.
La bocca di Tonio ebbe una contrazione. Ma egli si dominò:
«Sì,» disse «è un nome insulso, e Dio s...
Indice dei contenuti
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