Il giorno in più
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Il giorno in più

  1. 288 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il giorno in più

Informazioni su questo libro

Sveglia, caffè, tram, ufficio, palestra, pizza-cine-sesso... giornate sempre uguali, scandite da appuntamenti che, alla fine, si assomigliano tutti, persi nel cielo grigio di una metropoli che non sa più sorridere. È la vita di Giacomo, uno che non si è mai fatto troppe domande, che è andato incontro agli avvenimenti rimanendo sempre in superficie. Un giorno, però, Giacomo incontra sul tram una sconosciuta, e se la ritrova davanti il giorno dopo, e quello dopo ancora. Per mesi. E così, quelle tre fermate lungo il tragitto per andare in ufficio diventano un appuntamento importante della giornata. O meglio, diventano "l'appuntamento". Ma la sconosciuta ha un destino che la porta lontano, in un'altra città. E Giacomo? Per la prima volta nella vita decide di non rimanere in superficie, di prendersi anche il rischio di diventare ridicolo, e parte all'inseguimento di un sogno.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804582137
eBook ISBN
9788852014086
1

La ragazza del tram

Ogni volta che ho visto una donna che mi piaceva ho sempre cercato di conoscerla, ma soprattutto di farci l’amore. Sono pochissime quelle che mi piacevano e che ho lasciato stare. Perché avrei dovuto?
La ragazza del tram era una di queste. L’ho sempre preservata da me. Non è stata una scelta, è andata così. Non ho mai capito se era lei a condizionare il mio comportamento o se ero io che stavo cambiando. Per circa due mesi ci siamo incontrati sul tram tutte le mattine. Era un appuntamento fisso.
Io sono socio, insieme ad Alessandro, di una tipografia. Stampiamo cataloghi, libri a piccola tiratura, dépliant, brochure, volantini pubblicitari e alle ultime elezioni anche materiale elettorale di entrambi gli schieramenti: abbiamo solo cambiato il colore, per il resto non c’era una grande differenza. I politici parlano sempre di un futuro migliore. Forse si riferiscono al paradiso.
Ho iniziato qualche anno fa lavorando come dipendente da lui, poi sono entrato in società. È un po’ antipatico da dire, ma sono una persona che riesce in tutto quello che fa. Se mi prefiggo un obiettivo, difficilmente non lo raggiungo. Il motivo è semplice: tutto ciò che mi ha penalizzato nei rapporti sentimentali mi ha invece facilitato nella vita professionale. Per questo, in realtà, più che riuscire grazie a un talento, riesco per una mancanza. L’incapacità di gestire un’emotività fragile come la mia mi ha costretto a dedicarmi totalmente al lavoro. Sentimentalmente sono sempre stato un uomo difettato. Nel lavoro ho trovato il mio rifugio. Avevo un’arma in più, non ero mai distratto dall’innamoramento. Ho sempre avuto la convinzione di possedere l’assoluto controllo della mia vita e dei miei sentimenti, e così ho sempre pensato che l’avrei vissuta.
Ho lavorato anche all’estero. Soprattutto da ragazzo. È a Londra che ho imparato ad andare al lavoro con i mezzi pubblici.
L’incontro quotidiano con la ragazza del tram era una delle cose più emozionanti delle mie giornate. Il resto scorreva come sempre. Quei minuti sul tram erano limpidi, una finestra su un altro mondo. Un appuntamento colorato.
Nessuna persona che facesse parte della mia vita, o semplicemente della rubrica del mio telefonino, aveva la possibilità di emozionarmi più di quella misteriosa sconosciuta. Ero attratto da lei. Ma, pur provando una sincera curiosità nei suoi confronti, non mi sono mai avvicinato.
Quell’inverno, tutte le mattine, quando prendevo il tram per andare al lavoro, trovavo lei già seduta. Sembrava una nuvola. La ragazza del tram doveva avere più o meno trentacinque anni. Quando il tram arrivava alla mia fermata, prima di salire, mi mettevo in punta di piedi e allungavo il collo per controllare se lei c’era. Se non la vedevo aspettavo quello dopo. Nonostante questa piccola attenzione, talvolta è capitato di viaggiare senza lei.
È stato in quei giorni che ho iniziato a svegliarmi prima della sveglia. Se non la vedevo sul tram non volevo avere il dubbio che fosse già passata, per cui alla fermata andavo prima del solito orario.
Mi capitava spesso durante il giorno di fantasticare su di lei, ma soprattutto su di noi. È bello avere una persona sulla quale fare delle fantasie durante il giorno. Anche se è sconosciuta. Non so perché, ma quando pensavo a lei i miei pensieri non avevano mai il punto. Solo virgole. Erano una valanga di parole e immagini senza punteggiatura.
Mi faceva compagnia. Eppure il nostro rapporto era fatto solo di sorrisi appena accennati e piccoli sguardi muti.
Scendeva due fermate prima della mia. Ho avuto spesso la tentazione di seguirla, per scoprire qualcosa in più su di lei, ma non l’ho mai fatto. Non ho nemmeno mai avuto il coraggio di sedermi al suo fianco. Restavo distante il giusto, in base ai posti liberi e a una buona prospettiva. Giorno dopo giorno, ha allenato i miei occhi a guardare di traverso. A volte, quando era lontana e non volevo girare la testa verso di lei, la seguivo con lo sguardo di sbieco, e dopo un po’ gli occhi mi facevano male. A volte invece il tram si riempiva e capitava che una persona in piedi si mettesse proprio tra noi, impedendomi di vederla. Non passavo tutto il viaggio fissandola, mi piaceva semplicemente osservarla, distrarmi e poi appoggiare nuovamente lo sguardo su di lei. Sapere che era lì mi rassicurava. Il posto migliore dove sedersi era di fianco all’uscita. Se quel posto era libero, per me era una giornata fortunata, perché quando lei si alzava per scendere era costretta a venire verso di me e mi salutava sempre con un sorriso. Se non mi sedevo e rimanevo in piedi era ancora meglio: in quel caso stavamo vicini, l’uno di fianco all’altra, per qualche secondo. La respiravo. Era come l’aria di montagna quando apri la finestra al mattino. La respiravo da vicino senza poterla toccare. “Forse un giorno” mi dicevo. Un piccolo tocco, una volta, c’è stato. Una mattina, mentre aspettava che la porta si aprisse, il tram si è fermato in maniera brusca, e lei si è mossa verso di me. Il suo cappotto e la mia mano per un secondo si sono toccati e io l’ho chiusa in un piccolo morso. Fosse stato per me, l’avrei trattenuta per sempre. Anche lei a volte mi guardava quando era seduta.
Capitava spesso che i nostri sguardi si incrociassero, la nostra era una complicità tacitamente dichiarata. Ho avuto spesso paura che quegli sguardi e quei sorrisi che mi regalava fossero solamente frutto di una buona educazione.
Scriveva. Lo faceva spesso. Scriveva su un quaderno arancio con la copertina rigida.
“Chissà cosa scrive? Chissà se ha mai scritto qualcosa di me?” mi chiedevo.
Mi piaceva vederla scrivere. Innanzitutto perché per farlo si toglieva i guanti e poi perché si vedeva che era totalmente immersa in ciò che faceva. Tanto che ne ero persino geloso. È vero che quando scriveva non alzava mai la testa dal quaderno durante il tragitto, ma vederla così coinvolta in ciò che scriveva la rendeva ancora più affascinante. Avrei voluto far parte di quel suo mondo.
Anche quando leggeva non si distraeva mai. Per farlo si metteva gli occhiali. Le stavano bene. Mi piaceva osservarla mentre infilava un dito sotto la pagina destra e, facendolo scorrere, la sollevava dal resto del libro. Era un gesto naturale, ma mi catturava, era pieno di tutta la sua delicatezza.
A volte, invece, sempre con il dito destro si arrotolava un ciuffo di capelli.
La ragazza del tram era bella. Mi piaceva il suo viso, mi piacevano i suoi capelli, lisci, scuri, tanti. Il suo collo, i polsi e le mani. Al dito portava solamente una piccola fede. Niente anelli o braccialetti. Solo una piccola fede. Ma la cosa che mi attirava di più erano i suoi occhi, quello che si vedeva dentro incrociandoli anche solo per un istante. Scuri, profondi, inevitabili.
“Ci si può innamorare di una persona che non si conosce, ma che si vede solamente nel quotidiano tragitto di un tram?” mi chiedevo in quei giorni. Non lo so. Non lo so nemmeno adesso. Non ero innamorato. Ero attratto. Posso però dire con assoluta certezza che mi sentivo in qualche modo legato a lei, e che è stato facile fantasticare sul fatto che il destino stesse giocando con me. O addirittura con noi.
Una volta mi sono avvicinato alla ragazza del tram perché non c’erano posti a sedere e mi sono messo in piedi davanti a lei. Di spalle, però. Quella mattina, ho visto il suo sguardo riflesso dal finestrino. Mi guardava. Ci siamo incontrati lì, su quel vetro che, in trasparenza, riusciva a catturare le nostre immagini. E lì, nell’incontro dei nostri visi specchiati, ho scoperto che è molto più intimo uno sguardo incrociato di uno diretto. Come se si venisse scoperti a rubare una cosa. Come se quella superficie in realtà rendesse trasparente anche un volere fino allora taciuto. Quella volta, appena è scesa e il tram è ripartito, mi sono girato a guardarla. Lo ha fatto anche lei.
Due volte la settimana aveva la borsa della palestra, quasi sempre il lunedì e il giovedì. “Dovrei fare così anch’io” pensavo. Portarmi la borsa in ufficio anche se la palestra è vicino a casa, e andarci direttamente: allora sì che riuscirei ad allenarmi più spesso. Invece, dopo il lavoro, passo da casa a preparare la borsa e finisce che in palestra non ci vado più. Entro in casa dopo una giornata di lavoro e l’idea di uscire di nuovo per affrontare fatiche fisiche è una battaglia troppo grande. A parte che come entro in casa ho già fame e mangiucchio sempre qualcosa; poi alla fine mi dico che andrò in palestra il giorno dopo. È strano il mio rapporto con la borsa della palestra. Se la faccio la sera, mentre la riempio mi viene voglia di buttarmi dentro e dormire sull’accappatoio piegato. Poi dovrei imparare a svuotarla subito quando torno a casa. A volte me ne dimentico e mi viene in mente quando sono già a letto. Immagino la maglietta sudata e l’accappatoio bagnato insieme al costume, che indosso quando faccio anche la sauna. Spesso devo alzarmi a sistemarla perché altrimenti non dormo tranquillo. Se lo faccio il giorno dopo ho paura di trovare gli champignon dentro la borsa.
La ragazza del tram era più brava di me. Lei, la borsa, se la portava al lavoro.
Una mattina ricordo di essere salito e di averla vista per la prima volta con i capelli raccolti in una coda. La coda alta: una delle cose più femminili al mondo, mi fa perdere la testa. Si vedevano bene il collo, le orecchie, la linea della mandibola. Ricordo di aver pensato: “Adesso vado da lei e la guardo finché non si alza e iniziamo in silenzio a fissarci negli occhi. A dirci senza parlare tutto ciò che proviamo. Uno sguardo intenso, di quelli che scuotono l’anima. Poi ci baciamo. Ci stacchiamo e io le do un po’ di baci piccoli sugli occhi, sul naso, sulle guance e sulla fronte, poi l’ultimo ancora sulle labbra. Tutta la gente sul tram ci guarda e all’improvviso parte un lungo applauso. Si sente una musica, il tram si ferma e noi scendiamo allontanandoci nella città. Titoli di coda, le luci si accendono e la gente commossa esce dal cinema”.
Invece niente. Sono rimasto come sempre a distanza. Niente musica, niente applausi, solo i vetri appannati del tram.
Per lei ho fatto un sacco di cose senza senso. Un giorno, dopo che è scesa, ho aspettato qualche secondo e mi sono alzato. Mi sono messo dove stava lei e ho appoggiato la mano dove teneva la sua qualche secondo prima. Si poteva sentire ancora il suo calore. Avevo bisogno di qualcosa di più, quel giorno non mi era bastato guardarla. Il tatto chiedeva gli stessi diritti della vista. Per questo motivo ho cercato una traccia di lei. Il suo calore era qualcosa di intimo in quel momento, ho avuto il desiderio di sfiorare una piccola parte di un mondo che lei aveva già toccato, volevo essere il primo tocco dopo il suo. Mi è capitato di suonare il campanello del tram per lo stesso motivo. Mentre sentivo il suo calore mi sono chiesto: “Cosa siamo? Amici, complici, compagni di gioco, amanti platonici, semplici sconosciuti?”.
Una mattina, scendendo di corsa, ha perso un guanto, proprio di fronte a me. C’era poca gente e, come al solito, erano tutti addormentati. Nessuno se n’è accorto, nessuno mi ha visto quando l’ho raccolto. Avrei dovuto restituirglielo, ma il tram aveva già chiuso le porte e poi, non so perché, qualcosa mi aveva bloccato. Forse chiamarla avrebbe rotto il silenzio in cui mi cullavo, forse non ne ho avuto semplicemente il coraggio. Ho tenuto il guanto. Era di lana, color ciliegia. Sono stato fortunato, se fosse stato di pelle non avrebbe trattenuto il suo profumo. L’ho annusato tutto il giorno. Ho avuto paura che qualcuno lo venisse a sapere e che pensasse che io fossi un maniaco. Mi rendevo conto che facevo cose assurde, azioni che non avrei mai pensato di fare. Se me le avesse raccontate un amico, lo avrei preso per pazzo e non credo che avrei capito quel comportamento. Ma stava succedendo a me e non potevo farci niente. La ragazza del tram era sfuggita ai miei rapporti sotto controllo. Quando l’ho raccontato a Silvia si è messa a ridere, però non mi ha preso per pazzo.
Silvia è la mia migliore amica. Sa tutto di me. La ragazza del tram è stata spesso l’argomento delle nostre serate. Ha avuto solo da ridire sul fatto che tenessi il guanto in un sacchetto di plastica per alimenti, come quelli di csi: lo facevo per conservare più a lungo il suo profumo.
Mentre annusavo il guanto mi chiedevo: “Che stai facendo?”. Allora lo appoggiavo, ma poi mi rimaneva il pensiero e, passandoci vicino, cadevo nuovamente in tentazione. Come una persona che cerca di smettere di fumare. Forse avrei dovuto scriverci sopra: “Nuoce gravemente alla salute… mentale!”.
Alla fine ho smesso. Non di annusarlo, ma di sentirmi stupido. Volevo farlo e lo facevo. Mi godevo quel desiderio. Punto. Il giorno dopo averlo raccolto l’ho portato con me per restituirglielo. Chiaramente mi ero già fatto tutto un viaggio mentale. Il destino mi aveva dato la possibilità di rompere il silenzio con una scusa valida e meravigliosa. E con un guanto sarei entrato nella sua vita donandole un sentimento di gioia: “Ehi… sono il ragazzo che ti ha ritrovato il guanto”.
Quella mattina, quando il tram è arrivato, l’ho vista. Sono salito e mi sono seduto. Mentre cercavo il coraggio di avvicinarmi, ho p...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il giorno in più
  4. 1. La ragazza del tram
  5. 2. La “spesa non spesa”
  6. 3. Silvia
  7. 4. Un padre che non c’era
  8. 5. Ex (a volte ritornano)
  9. 6. Donne e guai
  10. 7. Una notte al pronto soccorso
  11. 8. Chissà dove sei
  12. 9. Waiting for Michela
  13. 10. Il diario
  14. 11. Cena romantica (hamburger e patatine fritte)
  15. 12. Il giorno dopo
  16. 13. Prima doccia insieme (e prima notte)
  17. 14. Il gioco
  18. 15. Le regole
  19. 16. Conoscersi (– 8)
  20. 17. Brunch (– 7)
  21. 18. Sexy Manhattan (– 6)
  22. 19. Picnic (– 5)
  23. 20. Il matrimonio (– 4)
  24. 21. Neve e figli (– 3)
  25. 22. Il bagno (– 2)
  26. 23. Game over (– 1)
  27. 24. Nonna
  28. 25. Mamma
  29. 26. Chiacchierata con Silvia
  30. 27. Alla propria altezza
  31. 28. Parigi
  32. Copyright