Ecco l’alba.
Sta sgranocchiando la notte per spuntare.
In questa (chiamiamola) stanza non ci sono finestre che danno sul mondo, ma io lo so.
Gli Insonni invidiano tutto ai Capaci Di Dormire: però almeno un talento ce l’hanno.
Non hanno bisogno di studiare il colore del cielo o le lancette di una sveglia. Possono distinguere l’una dalle tre di notte come i Capaci Di Dormire distinguono le sette di mattina dalle undici.
Questione di abitudine, mica chissà che. Semplicemente gli Insonni passano molto più tempo assieme a ore che tutti gli altri hanno modo di incontrare solo di sfuggita. Succede la stessa cosa che succede con le persone: quelle che frequenti tutti i giorni le riconosceresti pure da bendato, no?
Insomma più o meno saranno le quattro e cinquantuno.
Il che significa che fra poco più di tre ore arriverà l’avvocato Pavarotti e vedrà di tirarmi fuori di qui.
Abbiamo appuntamento per le otto.
Non credevo di riuscire a mettere in ordine tutto quello che dovrò raccontargli: ma mi sa che la parte più difficile arriva ora.
Perché proprio adesso che ci sono quasi, proprio adesso che la Verità Dei Fatti si fa più necessaria, proprio adesso, alle quattro e cinquantuno (o forse cinquantatré), s’è riaperto.
Il buco.
Pare sia nello stomaco, al solito. Ma la fame non c’entra.
Risucchia tutto e subito, il buco. Le facce, i pensieri, il bisogno di ordine: tutto.
Chiuditi ti scongiuro chiuditi ti scongiuro chiuditi chiuditi chiuditi ti scongiuro ti scongiuro chiuditi chiuditi chiuditi, ti scongiuro: chiuditi.
Niente. Anzi: continua ad allargarsi.
«Perché? Che cosa succede? Hai forse paura che ci sia Porcomondo, chiuso da qualche parte in questa stessa prigione, Mandorla? Ma se davvero fosse così dovresti stare tranquilla: barricato qui, che male può fare?»
No, no no. Non si tratta di questo. E comunque tu chi sei, scusa?
«Lascia stare chi sono, Mandorla. Rispondi. Ti è dispiaciuto ricordare quell’orribile riunione condominiale?»
Forse.
«Ma poi tutto si è sistemato!»
Certo, ma…
«Ma?»
Pavarotti.
«Che c’entra Pavarotti, Mandorla? Mica c’era, a quella riunione!»
Sì, è vero, non c’era. Ma se m’affaccio sul bordo del pozzo senza fondo che mi s’è aperto dentro, vedo i suoi occhialetti scintillare. Lui se li sistema e “Puoi stare certa che domani ti tirerò fuori di qui, Mandorla. Tu dovrai solo spiegarmi come sono andate le cose: al resto ci penso io. Poi, non appena risolveremo questo pasticcio, ti prometto che mi occuperò personalmente della tua situazione. Te lo giuro su Cate, guarda. Non è più possibile perdere tempo: è decisamente arrivato il momento che tu abbia ciò che tutti hanno il diritto di avere” dice.
«Be’? Pavarotti vuole aiutarti, no? Mica ti ha detto una parolaccia, mica ti ha detto “taroccata”!»
Aiuto.
«Una cosa per volta, Mandorla. Per cominciare, cerca di uscire da questo posto allucinante. Poi, su tutto il resto, avremo modo di ragionare con calma.»
Quale resto?
«La tua situazione, Mandorla. Quello che tutti hanno il diritto di avere. Il DNA di cui Cate ha avuto il coraggio di parlare in quella brutta riunione.»
Aiuto.
«Una cosa per volta, Mandorla.»
Aiuto.
«Respira forte Mandorla, respira, respira respira. Così, perfetto. Ora ripeti: sono innocente. Perché questa è la base da cui partire per comprendere: quello che succede oggi, quello che è successo undici anni fa. Soprattutto quello che è successo diciassette, anni fa. Ripetilo, forza. Sono innocente sono innocente sono innocente sono innocente sono innocente sono innocente.»
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«Bene, Mandorla. Brava bambina. Lo senti che il buco si sta già rimpicciolendo?»
Sì.
«Allora, dài. Stavi andando benissimo, finora: bisogna solo continuare. Una cosa per volta. Che è successo dopo quella brutta riunione? Forza.»
Dunque. Dopo quella brutta riunione… niente: non ci riesco! I pensieri mi scivolano via. Lontanissimi, se ne vanno. Il buco se li ingoia tipo una calamita.
«Be’, sai allora che ti dico, Mandorla? Arrangiati.»
Che?
«Sì, arrangiati. Mal che vada, se non vorrai raccontare a Pavarotti che cosa è successo, lui non convincerà il pubblico ministero a lasciarti andare e resterai un’altra notte in prigione. Si passerà alle indagini preliminari, giusto? Ok. Che sarà mai? Dovrai trascorrere un’altra notte qui, e ancora un’altra: va bene. Tanto non dovresti avere problemi ad abituarti a un letto, no?»
No. O meglio: sì. Cioè, no, non dovrei avere problemi. Però invece sì: ce li ho.
«Perché, Mandorla?»
Perché è diverso da tutti gli altri letti della mia vita, questo!
«Perché? Perché è diverso? Guarda il buco: ormai è davvero piccolo, piccolo come un pugno. Rispondimi e vedrai che si asciugherà ancora di più. Perché questo letto è diverso dagli altri letti della tua vita?»
Perché?
Perché. Perché, perché perché.
Perché se mi svegliassi nel cuore della notte per un incubo su Porcomondo e mi mettessi a gridare aiuto, nessuno arriverebbe di corsa qui, da un’altra stanza. Ecco perché. Perché non arriverebbe Tina: le margheritine bianche del suo vestito blu non rischiarerebbero il buio. Non arriverebbe Cate a farmi notare, carissima e lucida: “Non lo vedi, Mandorla, che sei in camera tua? Non lo vedi che non c’è nessun Porcomondo?”. Non arriverebbe Samuele, che ci metterebbe un po’ a capire che cosa succede, ma che comunque mi inviterebbe ad andare in cucina, a mangiare pane e Nutella. Non arriverebbero Paolo e Michelangelo, che mi porterebbero nel letto grande per continuare la notte in mezzo a loro, con la televisione accesa sul canale di un documentario così noioso da farmi riprendere sonno all’istante. Non arriverebbe Lidia, a interpretare l’incubo, e non arriverebbe Lorenzo, che penserebbe di consolarmi sostenendo che i sogni felici sono ancora peggio di quelli brutti, perché è il risveglio poi che ti frega. Non arriverebbe la signora Barilla, che mi metterebbe a sedere sulle sue ginocchia, anche se ormai ho diciassette anni, e non arriverebbe l’ingegnere, a cui basterebbe accendere l’abat-jour sul mio comodino per farmi capire che tutto è a posto.
Non arriverebbe mamma, certo: e avvolta nella sua nuvola di muschio bianco non potrebbe giurarmi è finito, era solo un incubo, adesso ci sono io.
«Adesso ci sono io, Mandorla.»
Mamma…
«Tesoro mio.»
Eri tu!
«Tesoro.»
Mamma. Sei tu.
«Il buco adesso pare una puntina da disegno: hai visto?»
Mamma. Mamma mamma, mamma.
«Ora stammi a sentire, tesoro mio. Una cosa per volta. Dunque.»
Mamma! Come stai? Che fai, dove sei?
«Amore, ora dobbiamo concentrarci solo su di te. Allora. Fa’ come ti dico. Uno: ripeti a memor...