
- 364 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Artemis Fowl - 4. L'inganno di Opal
Informazioni su questo libro
Le creature fatate del Popolo hanno spazzato via ogni ricordo del loro mondo dal cervello dell'unico umano che temevano: il genio criminale Artemis Fowl. Ma adesso hanno bisogno di lui... e in fretta.
La perfida folletta Opal Koboi sta progettando la distruzione del mondo. Per fermarla bisognerà riscattare il capitano Spinella Tappo dalle accuse di omicidio, far evadere un nano cleptomane dalla prigione e conquistare l'alleanza di un centauro superintelligente che per il momento è all'oscuro di tutto.
Se solo Artemis potesse ricordarsi perché il destino di tutti quegli strani esseri dipende da lui...
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Informazioni
Print ISBN
9788804563518eBook ISBN
97888520156631
TUTTA MATTA
Clinica J. Argon, Cantuccio, Strati Inferiori, tre mesi prima
La Clinica J. Argon non era un ospedale statale. Nessuno entrava là dentro gratis. Argon e i suoi psicologi curavano solo chi poteva permetterselo. E fra tutti i danarosi pazienti, Opal Koboi occupava il posto d’onore. Più di un anno prima aveva stanziato un fondo d’emergenza a proprio nome, nel caso che le desse di volta il cervello e avesse bisogno di sottoporsi a un trattamento adeguato. Se non fosse stata così previdente, probabilmente la sua famiglia l’avrebbe trasferita in una struttura più economica. Non che – avendo passato l’ultimo anno sbavando e facendosi controllare i riflessi – a Koboi potesse importare granché di dove si trovasse. Il dottor Argon dubitava che Opal avrebbe notato un troll maschio che si battesse il petto di fronte a lei.
Ma non era soltanto il fondo a rendere unica Opal Koboi: era anche la paziente più famosa della clinica. In seguito al tentativo dei Mazza Sette di conquistare il potere, le quattro sillabe che componevano il suo nome erano diventate le più infami sotto la superficie. In fin dei conti, la folletta miliardaria si era alleata con l’amareggiato agente della LEP Briar Brontauro e aveva finanziato la guerra della triade goblin contro Cantuccio. Koboi aveva tradito la sua stessa specie… solo per essere tradita dalla sua stessa mente.
Per i primi sei mesi la clinica dov’era rinchiusa Koboi era stata presa d’assalto dai cronisti ansiosi di filmare ogni fremito della folletta. Squadre della LEP sorvegliavano a turno la sua cella, e tutto il personale della clinica era sottoposto a severi e continui controlli. Nessuno vi sfuggiva. Perfino il dottor Argon doveva subire esami casuali del DNA per accertare che fosse chi diceva di essere. La LEP non voleva correre rischi. Se Koboi fosse evasa dalla clinica, non solo gli agenti sarebbero diventati lo zimbello del Popolo, ma una pericolosa criminale sarebbe stata sguinzagliata fra gli ignari abitanti di Cantuccio.
Col passare del tempo, però, i telecronisti che ogni mattina si presentavano ai cancelli della clinica diminuirono. Dopotutto, quante ore di sbavamento può sopportare il pubblico? Lentamente, gli agenti della LEP preposti alla sorveglianza passarono da una dozzina a sei, e infine a uno solo per turno. Che poteva fare Opal? pensarono le autorità. In fin dei conti aveva puntate addosso dozzine di telecamere a circuito chiuso ventiquattr’ore su ventiquattro, un prendisonno sottocutaneo innestato nell’avambraccio, e il suo DNA veniva controllato quattro volte al giorno. E anche se qualcuno fosse riuscito a tirarla fuori dalla clinica, che se ne sarebbe fatto? La folletta neanche riusciva a stare in piedi senza aiuto, e i sensori affermavano che le sue onde cerebrali erano in pratica linee piatte.
Detto questo, il dottor Argon era estremamente fiero della sua paziente prediletta e ne menzionava spesso il nome durante le cene di gala. Da quando Opal Koboi si trovava nella sua clinica, era diventato quasi di moda mandarvi in cura un parente. Quasi tutte le famiglie più ricche nascondevano uno zio svitato in soffitta. Adesso quello zio svitato poteva ricevere le migliori cure in un ambiente lussuoso.
Se solo ogni paziente fosse stato docile come Opal Koboi! Intubata com’era, non le serviva altro che un monitor e qualche flebo… il tutto più che abbondantemente pagato dalle parcelle mediche sborsate nei primi sei mesi. Il dottor Argon si augurava di cuore che la piccola Opal non si svegliasse mai. Perché, appena lo avesse fatto, la LEP l’avrebbe trascinata di peso in tribunale. E quando fosse stata condannata per tradimento, tutte le sue proprietà sarebbero state bloccate, incluso il fondo stanziato a favore della clinica. No, più si prolungava il pisolino di Opal, meglio sarebbe stato per tutti… specialmente per lei. A causa del cranio sottile e del volume del cervello, i folletti sono soggetti a un certo numero di malattie mentali: catatonia, amnesia, narcolessia. Ragion per cui era possibilissimo che il coma di Opal durasse parecchi anni. E anche se si fosse svegliata, era ancor più probabile che la sua memoria restasse rinserrata dentro qualche cassetto del suo voluminoso cervello.
Ogni sera il dottor J. Argon faceva il giro della clinica. Ormai era raro che si occupasse lui stesso delle terapie, ma era convinto che fosse bene far sentire la sua presenza al resto del personale. Se gli altri medici sapevano che Jerbal Argon stava all’erta, era più probabile che ci stessero anche loro.
Argon visitava sempre Opal per ultima. Chissà perché, lo rilassava vedere la folletta addormentata, sospesa nella sua imbracatura. Spesso, alla fine di una giornata particolarmente stressante, si scopriva a invidiarle quell’esistenza priva di preoccupazioni. Quando la realtà l’aveva sopraffatta, il suo cervello aveva chiuso i battenti, limitandosi a mantenere le funzioni vitali. Continuava a respirare, e di tanto in tanto i monitor registravano un guizzo onirico nelle onde cerebrali. A parte questo, e sotto ogni altro aspetto, Opal aveva cessato di esistere.
In quella notte fatale Jerbal Argon si sentiva più stressato che mai. Sua moglie aveva chiesto il divorzio, accusandolo di non averle rivolto più di sei parole consecutive nel corso degli ultimi due anni; il Consiglio minacciava di ritirare le sovvenzioni governative alla clinica perché stava facendo troppi soldi con i nuovi pazienti celebri; e lui aveva una fitta all’anca che nessuna dose di magia sembrava in grado di curare. Gli stregomedici avevano detto che probabilmente dipendeva tutto dalla sua testa. E sembravano pure trovare la cosa divertente.
Argon percorse zoppicando l’ala est della clinica, controllando la cartella al plasma di tutti i pazienti fissata alla porta delle rispettive stanze, e trasalendo ogni volta che il suo piede sinistro toccava il pavimento.
I due inservienti, i folletti Mervall e Descant Brill, erano impegnati a pulire il corridoio davanti alla stanza di Opal con spazzoloni statici. I folletti erano ottimi lavoratori: metodici, docili, determinati. Quando ordinavi a un folletto di fare qualcosa, potevi stare sicuro che l’avrebbe fatto. Ed erano anche graziosi, con quelle faccette infantili e la testa un pizzico troppo grande: una terapia ambulante, in pratica.
«’Sera, ragazzi» li salutò Argon. «Come sta la nostra paziente preferita?»
Merv, il gemello più anziano, staccò lo sguardo dallo spazzolone. «Come al solito, Jerry, come al solito. Poco fa mi è sembrato che muovesse un alluce, ma era solo uno scherzo della luce.»
Argon si sforzò di ridacchiare. Non gli andava che gli inservienti lo chiamassero Jerry. In fin dei conti, quella era la sua clinica e si meritava d’essere trattato con rispetto. Però i bravi inservienti valgono oro, e ormai da quasi due anni i fratelli Brill tenevano l’edificio tirato a lucido. In effetti, anche i Brill erano quasi celebrità. I gemelli erano rari fra il Popolo, e al momento Mervall e Descant erano gli unici folletti gemelli di Cantuccio. Erano comparsi in parecchi programmi televisivi, incluso “Canto”, il chiacchiera-show più ascoltato della tivù via cavo.
Quella sera era di turno il caporale Brucolo Algonzo. Quando arrivò Argon, il caporale stava guardando un film sui suoi videocchiali. Non che ci fosse da rimproverarlo: tenere d’occhio Opal Koboi era eccitante quanto osservarsi crescere le unghie dei piedi.
«Com’è il film?» chiese educatamente il dottore.
Brucolo tirò su le lenti. «Niente male. Uno di quei western umani pieni di sparatorie e scazzottate.»
«Magari dopo me lo presti.»
«Nessun problema, dottore. Però ci stia attento. È roba cara.»
Argon annuì. Adesso si ricordava di Brucolo Algonzo. L’agente della LEP era estremamente meticoloso riguardo alle sue cose. Aveva perfino scritto due lettere di protesta alla Direzione della Clinica a proposito di un chiodo che sporgeva dal pavimento e gli aveva graffiato gli stivali.
Il dottore consultò la cartella di Koboi. Lo schermo al plasma sulla parete mostrava informazioni costantemente aggiornate, fornite dai sensori incollati alle tempie della folletta. Nessun cambiamento, come previsto. Gli organi vitali erano in condizioni normali, l’attività cerebrale minima. All’inizio della serata aveva sognato, ma ora la sua mente si era stabilizzata. Per finire, il prendisonno inserito nel braccio della paziente lo informò – come se ce ne fosse stato bisogno – che Opal Koboi era proprio dove doveva essere. Di solito i prendisonno erano inseriti nella testa, ma il cranio dei folletti è troppo fragile per qualunque genere di chirurgia locale.
Jerbal digitò il suo codice personale sulla serratura e la porta blindata si aprì silenziosa su un’ampia stanza con luci soffuse incassate nel pavimento. Le pareti erano di plastica morbida, e sommessi suoni naturali sgorgavano da altoparlanti nascosti. Al momento si sentiva un ruscello sciabordare su lastre di pietra.
Opal Koboi penzolava al centro della stanza, sospesa a un’imbracatura avvolgente. Le cinghie rivestite di gel si adattavano automaticamente a ogni suo movimento e, se mai si fosse svegliata, potevano essere azionate a distanza per bloccarla e impedirle di farsi del male.
Argon controllò che le piastrine collegate al monitor fossero a stretto contatto con la fronte della folletta, poi le sollevò una palpebra e le puntò nell’occhio il raggio sottile di una piccola torcia. La pupilla si contrasse leggermente, ma l’occhio non si mosse.
«Allora, Opal, che mi racconti di bello?» chiese a voce bassa il dottore.
Gli piaceva parlare a Koboi, nel caso che potesse sentirlo. In questo modo, se e quando si fosse svegliata, fra loro sarebbe già stato stabilito un rapporto… o così sperava.
«Niente? Neanche un commento?»
Opal non reagì. Come non reagiva da quasi un anno.
«Ah, be’» disse Argon, tamponandole il palato con l’ultimo batuffolo di ovatta rimasto nella tasca del camice. «Magari domani, eh?»
Passò il batuffolo sul cuscinetto spugnoso dell’agenda elettronica, e pochi istanti dopo il nome di Opal lampeggiò sul piccolo schermo.
«Il DNA non mente mai» borbottò il dottore, gettando il batuffolo in un cestino di riciclaggio.
Poi, con un’ultima occhiata alla paziente, si voltò verso la porta.
«Sogni d’oro, Opal» disse quasi con affetto.
Era di nuovo rilassato, la fitta all’anca dimenticata. Koboi sarebbe rimasta fuori gioco ancora per un pezzo. Il Fondo Koboi era al sicuro.
Incredibile fino a che punto possa sbagliarsi uno gnomo.
Opal Koboi non era catatonica, ma neanche sveglia. Fluttuava in uno stato intermedio, immersa in un mondo liquido dove ogni ricordo era una bolla di luce multicolore che scivolava lenta all’interno della sua mente.
Fin dall’adolescenza Opal aveva seguito gli insegnamenti di Gola Schweem, il Profeta del Coma Rigeneratore. La teoria di Schweem era che esisteva un livello di sonno più profondo di quello sperimentato dalla maggior parte del Popolo: il cosiddetto Coma Rigeneratore, che di solito poteva essere ottenuto dopo decenni di pratica e di disciplina. Opal lo aveva raggiunto per la prima volta all’età di quattordici anni.
I benefici del Coma Rigeneratore erano parecchi: non solo ci si risve...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Artemis Fowl L’inganno di Opal
- Prologo
- 1 Tutta matta
- 2 Il magico ladro
- 3 Una scelta difficile
- 4 Per un pelo
- 5 Ti presento i vicini
- 6 Crudele come un Troll
- 7 Il Tempio di Artemide
- 8 Una conversazione intelligente
- 9 La cocchina di papà
- 10 Buonsenso equino
- 11 Un ultimo saluto
- Epilogo
- Il Popolo – Guida all’avvistamento
- Copyright