Passaggi di vita
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Passaggi di vita

Le crisi che ci spingono a crescere

  1. 324 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Passaggi di vita

Le crisi che ci spingono a crescere

Informazioni su questo libro

Ciascuno di noi, in ogni fase della propria esistenza, attraversa infiniti momenti di passaggio che segnano grandi o piccole trasformazioni nel nostro modo di vivere: il passaggio dall'infanzia all'adolescenza, dall'adolescenza alla maturità e poi alla mezza età e alla vecchiaia. I cambiamenti di scuola, di lavoro, di ruolo, di relazioni, la perdita di una persona casa, le separazioni.
In questi frangenti dobbiamo affrontare la fatica di "perderci per ritrovarci": perdere il vecchio equilibrio, costruito per una situazione precedente, per crearne a poco a poco uno nuovo. È come un processo di morte e rinascita, doloroso ma ricco di possibilità inaspettate, che ci porta a scoprire capacità e forze psicologiche finora latenti dentro di noi.
Alba Marcoli ci guida, attraverso una lunga serie di voci, riflessioni e testimonianze raccolte in anni di terapia, alla ricerca di uno sbocco a quello che può sembrare a prima vista un angoscioso tunnel senza uscita e si rivela invece come una straordinaria occasione di crescita.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804525691
eBook ISBN
9788852016820

III

Un concerto di altre voci sulla crisi

Alcuni dolori servono come cura.
WILLIAM SHAKESPEARE, Cimbelino, III, ii, 33
La storia di Elzéard Bouffier
Quando penso che un uomo solo, ridotto alle proprie semplici risorse fisiche e morali, è bastato a far uscire dal deserto quel paese di Canaan, trovo che, malgrado tutto, la condizione umana sia ammirevole.
JEAN GIONO, L’uomo che piantava gli alberi
C’è un libretto delizioso che mi è stato regalato contemporaneamente anni fa da due persone diverse che non si conoscevano e non si erano mai incontrate e che ho trovato prezioso e consiglierei a tutti di leggere: è L’uomo che piantava gli alberi, di Jean Giono.1
È la storia di un pastore che l’autore incontra nel lontano 1913 nell’antica regione delle Alpi che penetra in Provenza, tra i milleduecento e i milletrecento metri di altitudine. A quell’epoca la regione è deserta, i vecchi villaggi abbandonati e l’unica vegetazione che vi cresce è la lavanda selvatica. L’autore la percorre a piedi e la sera trova rifugio nella piccola casa, ben tenuta e curata, di un pastore che vive da solo lassù con le sue trenta pecore e un cane. Dopo una cena frugale il pastore prende un sacco e rovescia in silenzio un mucchio di ghiande sul tavolo, poi si mette a separare quelle buone dalle guaste e le seleziona ulteriormente fino a trovare le cento più belle che conserva accuratamente. Il giorno dopo, prima di uscire, bagna in un secchio d’acqua il sacco con dentro le cento ghiande selezionate e poi si avvia verso il pascolo con le pecore e il cane, portando con sé, come bastone, un’asta di ferro lunga un metro e mezzo.
Arrivato nel punto che aveva scelto, comincia a piantare la sua asta di ferro in terra, fa un buco nel quale deposita una ghianda, poi lo richiude e passa oltre. Dice Giono:
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Piantava querce. Gli domandai se quella terra gli apparteneva. Mi rispose di no. Sapeva di chi era? Non lo sapeva. Supponeva che fosse una terra comunale, o forse di proprietà di gente che non se ne curava? Non gli interessava conoscerne i proprietari. Piantò così le cento ghiande con estrema cura.
Quando l’autore gli chiede da quanto tempo lo faccia, il pastore gli risponde che è da tre anni.
Da tre anni piantava alberi in quella solitudine. Ne aveva piantati centomila. Di centomila ne erano spuntati ventimila. Di quei ventimila contava di perderne ancora la metà, a causa dei roditori e di tutto quel che c’è di imprevedibile nei disegni della Provvidenza. Restavano diecimila querce che sarebbero cresciute in quel posto dove prima non c’era nulla.
Fu a quel momento che mi interessai dell’età di quell’uomo. Aveva evidentemente più di cinquant’anni. Cinquantacinque mi disse lui. Si chiamava Elzéard Bouffier. Aveva posseduto una fattoria in pianura. Aveva vissuto la sua vita. Aveva perso il figlio unico, poi la moglie. S’era ritirato nella solitudine dove trovava piacere a vivere lentamente, con le pecore e il cane. Aveva pensato che quel paese sarebbe morto per mancanza di alberi. Aggiunse che, non avendo altre preoccupazioni più importanti, s’era risolto a rimediare a quello stato di cose.
Quando l’autore torna a rivisitare quei luoghi, dopo la Prima guerra mondiale, è il 1920:
Le querce del 1910 avevano adesso dieci anni ed erano più alte di me e di lui. Lo spettacolo era impressionante. Ero letteralmente ammutolito e poiché lui non parlava, passammo l’intera giornata a passeggiare in silenzio per la sua foresta. Misurava, in tre tronconi, undici chilometri nella sua lunghezza massima. Se si teneva a mente che tutto era scaturito dalle mani e dall’anima di quell’uomo, senza mezzi tecnici, si comprendeva come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre alla distruzione.
In dieci anni quell’uomo solo, armato di un bastone e di un’idea, ha rimesso in movimento una vita che si era ormai fermata da tempo su quelle montagne:
Il processo aveva l’aria, d’altra parte, di funzionare a catena. Lui non se ne curava; perseguiva ostinatamente il proprio compito, molto semplice. Ma, ridiscendendo al villaggio, vidi scorrere dell’acqua in ruscelli che, a memoria d’uomo, erano sempre stati secchi. Era la più straordinaria forma di reazione che abbia mai avuto modo di vedere. Quei ruscelli avevano già portato dell’acqua in tempi molto antichi.
A settantacinque anni Elzéard Bouffier pianta ancora alberi, ormai lontano dalla sua piccola casa e l’anno successivo si costruisce una casupola di pietre per essere direttamente sul posto dove sta piantando una nuova foresta. Nel 1935 una delegazione governativa, sbalordita, viene a esaminare quella foresta «naturale», apparentemente sorta dal nulla e la mette sotto la tutela dello Stato, proibendo che se ne faccia carbone, cosa già successa in passato in quelle zone, diventate poi deserte. Vengono anche nominate tre guardie forestali per proteggerle dai boscaioli. Continua Giono:
Ho visto Elzéard Bouffier per l’ultima volta nel giugno del 1945. Aveva ottantasette anni … Ora tutto era cambiato – l’aria stessa. Invece delle bufere secche e brutali che mi avevano accolto un tempo, soffiava una brezza docile, carica di odori. Un rumore simile a quello dell’acqua veniva dalla cima delle montagne: era il vento nella foresta. Infine, cosa più sorprendente, udii il vero rumore dell’acqua scrosciante in una vasca … In generale, Vergons portava i segni di un lavoro per la cui impresa era necessaria la speranza. La speranza era dunque tornata. Avevano sgomberato le colline, abbattuto i muri crollati e ricostruito cinque case. La frazione contava ormai ventotto abitanti tra cui quattro giovani famiglie. Le case nuove, intonacate di fresco, erano circondate da orti in cui crescevano, mescolati ma allineati, verdure e fiori, cavoli e rose, porri e bocche di leone, sedani e anemoni. Era ormai un posto dove si aveva voglia di abitare.
Quando penso che un uomo solo, ridotto alle proprie semplici risorse fisiche e morali, è bastato a far uscire dal deserto quel paese di Canaan, trovo che, malgrado tutto, la condizione umana sia ammirevole. Ma, se metto in conto quanto c’è voluto di costanza nella grandezza d’animo e d’accanimento nella generosità per ottenere questo risultato, l’anima mi si riempie di un enorme rispetto per quel vecchio contadino senza cultura che ha saputo portare a buon fine un’opera degna di Dio.
Elzéard Bouffier ha trasformato, da solo e in silenzio, una terra desolata, abbandonata da Dio e dagli uomini, in un luogo dove la vita è ritornata in tutte le sue forme, dove l’acqua ha ripreso a scorrere, dove le foreste sono ricresciute e si sono ripopolate di tutte le incredibili forme di vita che ogni foresta porta con sé, compresi dei vecchi villaggi abbandonati che ora sono risorti e in cui si ricominciano a sentire le voci dei bambini che vi sono nati.
Eppure Elzéard Bouffier non ha ricostruito quelle case, non ha ripulito i ruscelli, non ha ritracciato le strade che ora percorrono di nuovo quelle zone, né ha intonacato i muri o curato gli orti: lui ha semplicemente piantato alberi. Il resto è venuto da sé.
Lui ha solo continuato a essere ostinatamente e commoventemente fedele a un’idea, quella di riportare gli alberi su una terra desolata, sapendo benissimo che per avere dieci querce avrebbe dovuto piantare almeno cento ghiande selezionate con cura e continuando testardamente a provare, per tentativi ed errori. Un anno, ad esempio, aveva piantato più di diecimila aceri e li aveva persi tutti. L’anno dopo aveva scelto i faggi e i risultati erano stati ancora migliori che con le querce. Sempre per tentativi ed errori, armato testardamente di un’idea e di una lunga asta di ferro.
Credo che la storia di Elzéard Bouffier, questo vecchio pastorecontadino che non si lascia scoraggiare dalle avversità della vita, ma anzi le sfrutta per trovare soluzioni alternative possibili che lo aiutino nel suo progetto, sia un buon esempio dei tanti modi in cui si può affrontare una crisi. Anche lui, quando si ritira su quelle montagne solitarie, ha perso tutto: il suo unico figlio, sua moglie, la sua fattoria in pianura. Eppure, quando arriva lassù e vede tutta quella desolazione, sente che vale ancora la pena di fare qualcosa, prima che la sua vita si chiuda. E così testardamente, ostinatamente, inizia, e proprio a un’età in cui di solito si pensa di aver già compiuto i propri progetti. Se di diecimila aceri un anno non se ne salva nessuno, è evidente che è meglio non insistere e provare qualcos’altro e infatti l’anno dopo scoprirà che i faggi cresceranno benissimo, meglio delle querce, che pure già prosperavano. Ma anche qui bisogna dare per scontato che non tutto ciò che si pianta crescerà o sopravvivrà, per cui per avere una quercia bisogna interrare almeno dieci ghiande, già scelte e selezionate precedentemente con cura. Sempre per tentativi ed errori.
Se Jean Giono, in un lontano giorno del 1913, non si fosse avventurato da solo in quelle lande desolate e non avesse incontrato casualmente il vecchio pastore piantatore d’alberi, noi oggi probabilmente non conosceremmo questa storia, ma la foresta a cui lui ha dato vita continuerebbe a esistere. Penseremmo solo che si tratti di una foresta spontanea, come credeva la delegazione governativa che l’aveva visitata.
Ma quanti altri Elzéard Bouffier, silenziosi e sconosciuti, sono esistiti nella storia dell’uomo? Infiniti. Ognuno ne ha un pezzetto potenziale dentro di sé, da sempre.
A chi dobbiamo la scoperta del fuoco, l’invenzione della scrittura, quella della ruota e tutte le mille e mille scoperte e invenzioni che l’uomo ha collezionato e costantemente perfezionato nel corso del tempo? Chi ha costruito le prime palafitte, decorato le prime caverne, inventato i primi strumenti per coltivare la terra e cacciare? Come sono stati dati i nomi alle cose, o meglio, alle rappresentazioni che delle cose abbiamo nella nostra mente per creare il linguaggio?
Chi ha creato i miti e le fiabe e chi è stato il primo poeta? Chi ha inventato l’ago e il filo e cucito i primi abiti? E chi gli utensili per pescare e quelli per cucinare? Quanta inventività e creatività hanno usato da sempre gli artigiani, le casalinghe, gli scienziati nel loro silenzioso lavoro quotidiano? E tutto questo è sempre stata la risposta, una delle tante, infinite possibili, trovata dopo una lunga ricerca, messa in movimento da un problema, una cosa nuova da affrontare, esattamente come per ogni crisi del vivere.
È perciò che in questa parte del libro ho voluto raccogliere almeno alcune fra le tantissime testimonianze che ho incontrato nel corso del tempo su alcuni degli infiniti aspetti possibili che le crisi della interruzione della nostra continuità, quelle dei passaggi, dei cambiamenti, delle svolte di vita possono assumere nel corso del tempo, dalle più banali e semplici a quelle più drammatiche e forti.
Ognuno le ha affrontate col proprio bagaglio, il proprio modo di essere e la storia che l’accompagna, compresa quella ereditata dalle generazioni che l’hanno preceduto, nella continuità di vita che sempre passa da una generazione all’altra, da che mondo è mondo.
L’entrata e l’uscita dalla crisi:
testimonianze di vita vissuta
L’entrata
Io non so ben ridir com’io v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.
DANTE ALIGHIERI, Inferno, Canto I
L’uscita
Lo duca e io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
e sanza cura aver d’alcun riposo
salimmo su, el primo e io secondo
tanto ch’i’ vidi delle cose belle
che porta il ciel, per un pertugio tondo;
e quindi uscimmo a riveder le stelle.
DANTE ALIGHIERI, Inferno, Canto XXXIV
Quello che colpisce frequentemente in un lavoro psicologico, che parte inevitabilmente sempre da una crisi, è la ricchezza di avvenimenti, di sentimenti, di riflessioni, di aspetti diversi del vivere che si possono trovare in ogni storia, sia personale che familiare e che emergono in terapia e in quel particolare incontro fra due o più persone quale è una seduta.
È la ricchezza delle facce della vita e dei percorsi che ognuno può fare, necessariamente limitati e parziali e che entrano in gioco in quel particolare incontro. Ogni incontro ne sollecita infatti certi piuttosto che altri, così come ogni terapia lavora su certi aspetti piuttosto che su altri, secondo la personalità dei singoli terapeuti e la scuola o l’indirizzo di formazione.
La personalità è un elemento così determinante che sembra a volte esserci maggiore affinità tra il lavoro di terapeuti di scuole diverse ma di personalità affine che tra quello di terapeuti appartenenti alla stessa scuola, ma con personalità differenti. E anche chi fa l’esperienza di più terapie successive, come oggi a volte capita, si rende conto che ogni percorso terapeutico tocca alcune parti e alcune aree piuttosto che altre.
Ogni terapia successiva gode anche quindi il frutto dei cambiamenti, per piccoli che possano essere stati, avvenuti nelle aree toccate dalle terapie precedenti. E, viceversa, i tentativi di terapia fatti con modalità anticrisi, inconsciamente finalizzati alla fuga e a lasciare le cose immutate, senza alcun cambiamento, sono in genere destinati a susseguirsi nel tempo, collezionando un fallimento dopo l’altro, dimostrando così, in realtà, l’inutilità della terapia stessa e l’impossibilità di cambiare.
Ma perché è così difficile cambiare?
Dice Racamier:
Tutti gli organismi malati non riescono ad evolvere, normalmente. Sono organismi fissati a modelli di funzionamento ripetitivo ed immutabile ... Ogni patologia è legata alla tendenza al non cambiamento, alla ripetizione ... Non ho mai incontrato persone, individui o famiglie che desiderino veramente che la situazione cambi. Tuttavia c’è un segnale di allarme quando l’equilibrio al quale la persona tiene, è minacciato e si chiede allo specialista di rimettere questo equilibrio nella condizione di prima. Allo stesso modo credo che un adulto come voi o me che vada da uno psicoanalista, abbia probabilmente il desiderio manifesto di cambiare, ma che il suo desiderio profondo lo contraddica.
Infatti, aspirerà a ritrovare, a migliorare il suo equilibrio nevrotico ... Credo che sia importante non credere che siano solo gli psicotici o le famiglie psicotiche a non voler cambiare. Ho osservato che in un modo più o meno rigido, assoluto o angosciato anche negli adulti non chiaramente perturbati il desiderio è di migliorare le nevrosi, non di abbandonarle.2
Come ben dice Racamier, quindi, la resistenza a cambiare l’abbiamo tutti e se non fosse perché ogni crisi ce lo fa inevitabilmente perdere, il nostro vecchio equilibrio ce lo terremmo ben stretto. E anche quando si affronta una crisi, l’illusione che ci anima agli inizi è quella di ritrovare il nostro vecchio equilibrio perduto, non uno nuovo che lo sostituisca. Ma è un’illusione inevitabilmente destinata a essere delusa: l’equilibrio che si ritrova dopo ogni crisi non potrà più essere quello di prima, sarà inevitabilmente e giustamente un altro, basato sulla nostra realtà esterna e interna, oppure solamente interna (a volte fuori non c’è apparentemente nulla di diverso!) che è cambiata, anche quando lo è solo in parte.
In un libro destinato ad accompagnare la crisi e il suo evolvere nel tempo, come è questo, ho pensato perciò di riunire anche tante testimonianze corali di molte persone diverse su alcuni degli innumerevoli passaggi e momenti di crisi, dalle più piccole alle maggiori, che si possono attraversare nella vita. È una selezione necessariamente limitatissima, che riguarda semplicemente una parte della mia esperienza personale e professionale su un tema che, come abbiamo visto, sembra caratterizzare tutta la vita e il suo divenire. Alcuni di questi temi ci riguardano tutti, altri sono specifici di ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Il perché di questo libro
  5. Premessa
  6. Le crisi e il tempo
  7. Perdite e conquiste della crisi
  8. Un concerto di altre voci sulla crisi
  9. Il sostegno indiretto ai figli in crisi
  10. Crescere con i figli, imparando a veleggiare
  11. Appendice
  12. Quando la crisi ha bisogno di aiuto
  13. Le crisi e il gruppo familiare
  14. Le crisi dell’adolescenza
  15. Conseguenze delle cattive separazioni in età evolutiva
  16. I gruppi per genitori di bambini in terapia di gruppo
  17. Due casi di sostegno scolastico
  18. Un servizio psicologico ospedaliero
  19. La nascita di un bambino sordo
  20. Nota all’Appendice
  21. Note
  22. Bibliografia